Una ricerca coordinata dai paleontologi dell’università di Pisa e pubblicata su Nature
Scoperto in Perù l’animale più pesante mai vissuto: il cetaceo Perucetus colossus
Il Perucetus colossus pesava 340 tonnellate, il doppio della balenottera azzurra e oltre 4 volte l’argentinosauro
[3 Agosto 2023]
Lungo la costa meridionale del Perù, nel deserto di Ica, sono riaffiorati i resti fossilizzati di uno gigantesco animale risalente a quasi 40 milioni di anni fa: un antenato delle balene e dei delfini con ossa grandissime e pesantissime che fanno pensare a un mostro marino dalle proporzioni titaniche.
Una scopetta illustrata nel nuovo studio “A heavyweight early whale pushes the boundaries of vertebrate morphology”, pubblicato su Nature da un team internazionale di ricercatori guidato da Giovanni Bianucci del Dipartimento di scienze della Terra dell’università di Pisa e che presenta una prima analisi di questo eccezionale cetaceo che è stato chiamato Perucetus colossus in onore del paese sudamericano in cui è stato rinvenuto e in riferimento alla sue dimensioni colossali.
Allo studio hanno partecipato gli italiani Marco Marella e Alberto Collareta dell’università di Pisa, Giulia Bosio ed Elisa Malinverno dell’università di Milano-Bicocca e Claudio Di Celma e Pietro Paolo Pierantoni dell’università di Camerino, affiancati da ricercatori peruviani e di diversi Paesi europei
All’ateneo pisano sottolineano che «le ossa fossili di questo cetaceo primitivo sono state recuperate in successive campagne di scavo e sono ora conservate presso il Museo di storia naturale di Lima. Consistono di 13 vertebre, 4 costole e parte del bacino, quest’ultimo a indicare che Perucetus era ancora provvisto di piccole zampe posteriori, una condizione riscontrata anche negli altri Basilosauridi, il gruppo di cetacei arcaici a cui è stato riferito questo nuovo mostro marino».
Bianucci aggiunge: «Sebbene lo scheletro da noi studiato non sia completo, stime rigorose basate sulla misurazione delle ossa conservate e sulla comparazione con un ampio database di organismi attuali e fossili, indicano che la massa scheletrica di Perucetus era di circa 5-8 tonnellate, un valore perlomeno doppio rispetto alla massa scheletrica del più grande animale vivente, la balenottera azzurra. Il pesantissimo scheletro di Perucetus, che in vita avrebbe raggiunto i 20 metri di lunghezza, suggerisce che la massa corporea di questo antico cetaceo potesse raggiungere le 340 tonnellate, quasi il doppio della più grande balenottera azzurra e oltre quattro volte quanto stimato per l’Argentinosauro, uno dei più grandi dinosauri mai rinvenuti”. Perucetus rappresenta dunque un ottimo candidato al ruolo di animale più pesante di tutti i tempi, un record da cui verrebbe scalzata proprio la balenottera azzurra. Le implicazioni paleobiologiche di una simile scoperta sono di estrema importanza. “L’enorme massa corporea di Perucetus – prosegue Bianucci – indica che i cetacei sono stati protagonisti di fenomeni di gigantismo in almeno due fasi: in tempi relativamente recenti, con l’evoluzione delle grandi balene e balenottere che popolano gli oceani moderni, e circa 40 milioni di anni fa, con la radiazione dei Basilosauridi di cui Perucetus è il rappresentante più straordinario».
Studiare un peso super-massimo di questo tipo è stato non privo di difficoltà. Marella evidenzia che «ciascuna delle vertebre di Perucetus è talmente pesante (la più leggera pesa oltre 100 kg) da richiedere diverse persone robuste per ogni minimo spostamento. Oltre a rendere più difficili le fasi di scavo e preparazione, ciò ha complicato fortemente l’analisi osteoanatomica dei reperti. Ci siamo quindi rivolti alle innovative metodologie della paleontologia virtuale e in particolare alla scansione a luce strutturata, per acquisire ed elaborare modelli tridimensionali di dettaglio di tutte le ossa raccolte. Questi modelli ci hanno poi permesso di proseguire lo studio una volta ritornati a Pisa; infatti, è proprio grazie alla scansione a luce strutturata che è stato possibile stimare in maniera rigorosa il volume dello scheletro, fornendo così un supporto quantitativo alla ricostruzione della forma del corpo e del modo di vita di questo eccezionale cetaceo estinto».
Collareta fa notare che «la taglia titanica delle ossa di Perucetus rappresenta certamente il tratto più appariscente di questa nuova specie. ma l’enorme massa ricostruita per l’intero scheletro riflette anche l’alto peso specifico della tipologia di tessuto osseo di cui esso si compone. Tutte le ossa di Perucetus, infatti, sono costituite da osso estremamente denso e compatto, simile a quello che si rinviene, anche se in maniera decisamente meno marcata, nei sireni attuali. Questi mammiferi abitano in acque costiere poco profonde, dove uno scheletro particolarmente pesante funziona da ‘zavorra’, facilitando così l’alimentazione al fondale ed aumentando l’inerzia all’azione delle onde. L’ispessimento e appesantimento dello scheletro, in termini tecnici pachiosteosclerosi, che accomuna Perucetus ai sireni non si rinviene in nessun cetaceo attuale. Dunque, benché sia difficile fornire un’interpretazione paleoecologica di questo straordinario adattamento, è probabile che esso fornisse a Perucetus la stabilità necessaria per abitare acque agitate prossime alla linea di costa. Perucetus si alimentava probabilmente presso il fondale, forse privilegiando la ricerca di carogne di altri vertebrati marini come fanno oggi alcuni grandi squali».
Gli studi realizzati all’università di Milano-Bicocca si sono concentrati sulla ricostruzione della stratigrafia e sulla datazione dell’antico antenato delle balene, e la Malinverno e la Bosio rivelano che «sulla base di studi micropaleontologici di specie planctoniche e di una datazione radiometrica di una cenere vulcanica trovata nelle vicinanze del reperto, abbiamo potuto stimare un’età compresa tra 39.8 e 37.84 milioni di anni per questo fossile. Perucetus colossus viveva quindi nell’epoca denominata Eocene, quando gli antenati dei cetacei attuali stavano abbandonando lo stile di vita terrestre a favore di quello marino».
Claudio Di Celma e Pietro Paolo Pierantoni della sezione di Geologia dell’università di Camerino hanno realizzato lo studio geologico-stratigrafico dell’area in cui è stato scoperto Perucetus colossus e Di Celma racconta che «attraverso lo studio delle rocce sedimentarie che lo contenevano, abbiamo contribuito alla ricostruzione dell’ambiente in cui questo antico mammifero marino ha vissuto. Dove oggi c’è un deserto che si estende per centinaia di chilometri lungo la costa del Perù meridionale, in passato si trovava un ampio bacino marino, il Bacino di Pisco, caratterizzato da una notevole abbondanza di nutrienti e una ricca biodiversità».
Bianucci spiega ancora che «per quanto la scoperta di Perucetus sia stata inaspettata, non lo sono il luogo e le modalità con cui essa è avvenuta. Il ritrovamento delle prime ossa di Perucetus risale a tredici anni fa ed è merito di Mario Urbina, ricercatore di campo e vera e propria leggenda vivente della paleontologia peruviana, ed è solo grazie alla perseveranza di Mario che lo scavo pluriennale di questo straordinario (e pesantissimo) fossile è stato possibile. E’ stato proprio Mario a realizzare che il Deserto di Ica – una delle aree più aride del pianeta – è sede di uno dei più grandi giacimenti di vertebrati fossili del mondo».
All’Ateneo pisano ricordano che «da una quindicina d’anni, grazie a una serie di progetti di ricerca nazionali e internazionali (molti dei quali a guida dell’Università di Pisa), questo eccezionale patrimonio paleontologico viene adeguatamente valorizzato attraverso la ricerca scientifica portata avanti da un gruppo affiatato e multidisciplinare di cui i paleontologi peruviani sono parte integrante. Il Deserto di Ica è quindi diventato scenario di molte scoperte da record: dal più antico cetaceo quadrupede ad aver raggiunto l’Oceano Pacifico, al più antico antenato delle attuali balene, senza dimenticare l’enorme capodoglio predatore Livyatan melvillei; scoperte che confermano il ruolo di primissimo piano della paleontologia pisana nel campo dei mammiferi marini. Lo studio dei cetacei del Deserto di Ica e delle condizioni eccezionali che hanno portato alla formazione di questo straordinario giacimento fossilifero proseguirà negli anni a venire, anche grazie ad un nuovo finanziamento ministeriale (Prin) coordinato proprio dall’Università di Pisa».
Bianucci conclude: «Scommetto che le sorprese non sono finite».