The ClimateMusic Project: la lotta alla crisi climatica tradotta in musica

Un progetto innovativo per dare un microfono al rumore assordante dello scioglimento dei ghiacciai, al sibilo dell’inquinamento atmosferico, all’urlo della perdita di biodiversità

[22 Agosto 2023]

Provare a salvare il mondo con la musica? Per quanto impossibile possa sembrare, c’è già chi lo sta facendo. Si chiama The ClimateMusic Project, è una no profit di San Francisco (California) che produce musica con un messaggio ambientale per spiegare la crisi climatica e sensibilizzare il pubblico alle pratiche di sostenibilità.

La loro storia è come un concerto, iniziato quasi in sordina dieci anni fa grazie a Stephan Crawford. Come ricorda la consulente del progetto Marianna Grossman, che l’ha seguito fin dall’inizio, la sfida era spiegare i cambiamenti climatici, coi loro tecnicismi e complessità matematiche, a dirigenti come a tutte le persone senza background scientifici. E visto che Stephan è anche un artista e musicista, oltre che esperto di policy ambientali, fu facile per lui avere questa illuminazione: e se fosse possibile unire questi due ambiti in un’unica voce?

Dopo questa epifania, raccolse un team di amici e conoscenti con le più svariate formazioni professionali: designer, scienziati, esperti di promozione, climatologi e compositori, per capire come questa idea potesse essere messa in pratica.

Da quel momento in poi c’è stato un crescendo di performance e collaborazioni in tutti gli Stati Uniti e oltre: musei della scienza a Oakland, al Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici di Milano, Università a Toronto, forum a Città del Messico, consigli per il clima a Porto Rico, teatri ad Amsterdam, workshop norvegesi, mostre d’arte in Germania, cattedrali a San Francisco, e tante altre strofe.

Il processo di produzione musicale è sempre lo stesso: la squadra multi-disciplinare si incontra e decide un tema caldo (o freddo) tra i tanti che compongono la crisi climatic; gli scienziati spiegano grafici e dati studiando attentamente le fonti più autorevoli, mentre i musicisti creano ritmi e melodie per descriverli e sonificarli, cioè metterli in musica.

Uno dei più affascinanti ed efficaci nella comunicazione è Climate, in cui il compositore Erik Ian Walker ha messo in musica il grafico delle variazioni della concentrazione di CO2 equivalente, della temperatura media e infine del bilancio energetico terrestre, tutti e tre in uno spazio di tempo che va dalle stime del 1800 alle proiezioni del 2250.

Per creare questa particolare sinfonia, ad ognuno di tali indicatori è stato assegnato un analogo musicale: ad ogni aumento di CO2 equivale un’accelerazione del tempo musicale, mentre la temperatura crescente si può “sentire” con maggiori stonature o complessità armoniche. Le variazioni del bilancio energetico terrestre, ovvero l’equilibrio tra l’energia in entrata dal Sole e il calore in uscita dalla Terra, sono udibili come distorsione e modulazione anulare, cioè un suono metallico traballante, dando una generale impressione di perdita dell’armonia della canzone. Infine, il pH dell’oceano è rappresentato dalla forma compositiva, che si degrada ogni qual volta l’oceano si è acidificato negli anni.

Un’altra parte fondamentale e onnipresente nelle performance del The ClimateMusic Project è quella visuale. Nel caso di Climate, sullo schermo si vedono i tre grafici, gli anni che scorrono e in sottofondo immagini della nostra Terra che descrivono l’epoca e i cambiamenti climatici in corso in essa.

Ma la recente collaborazione col graphic designer italiano Angelo Chiacchio ha portato anche motion graphic, animazioni e altri contenuti digitali, perché c’è sempre un video che accompagna ed esplicita i contenuti musicali e scientifici, rendendo ancora più potente la loro divulgazione allo spettatore.

In effetti, come nota Chris Luebkeman, collaboratore di vecchia data e strategic advisor dell’hub Eth di Zurigo, noi esseri umani siamo animali multi-sensoriali, quindi un messaggio mette radici più facilmente se coinvolge più di due sensi alla volta. E quali sensi migliori della vista e dell’udito durante un concerto dal vivo?

La difficoltà più grande della crisi ambientale è il semplice fatto che non possiamo sentirla, che i suoi effetti sono silenziosi e per questo la loro letalità è messa in secondo piano, sminuita o addirittura negata.

Il ClimateMusic Project cerca proprio di colmare questo divario, di mettere un microfono al rumore assordante dello scioglimento dei ghiacciai, al sibilo dell’inquinamento atmosferico, all’urlo della perdita di biodiversità. Dobbiamo imparare ad ascoltare i nostri compagni non-umani e gli ecosistemi, affinché le nostre azioni private e globali cambino e la sinfonia del nostro mondo non finisca mai.

di Matilda Stefanini per greenreport.it