Le foreste delle zone boreali e temperate sono diventate i principali serbatoi di carbonio

Un aumento annuo di 500 milioni di tonnellate di carbonio stoccato, grazie ai giovani alberi delle foreste temperate e boreali

[4 Ottobre 2023]

 Grazie a un nuovo metodo di analisi delle immagini satellitari, lo studio “Global increase in biomass carbon stock dominated by growth of northern young forests over past decade”, pubblicato su Nature Geoscience  da un team di ricerca internazionale coordinato dal Commissariat à l’énergie atomique et aux énergies alternatives (CEA) e dall’l’Institut national de recherche pour l’agriculture (INRAE) ​​ha mappato per la prima volta i cambiamenti annuali della biomassa forestale globale tra il 2010 e il 2019, scoprendo che «Le aree boreali e le foreste temperate sono diventate i principali serbatoi di carbonio a livello globale. Le foreste tropicali, più vecchie ma degradate, in particolare dalla deforestazione, dagli incendi e dalla siccità, sono ora quasi a zero emissioni di carbonio».

All’INRAE  ricordano che «L’aumento della biomassa vegetale svolge un ruolo fondamentale nel sequestro del carbonio per mitigare il cambiamento climatico. L’impronta di carbonio della biomassa risulta dai guadagni derivanti dalla crescita delle piante e dall’aumento della copertura forestale, e dalle perdite derivanti dalla raccolta, dalla deforestazione, dal degrado, dalla mortalità naturale degli alberi e dai disturbi naturali. Monitorare l’evoluzione delle riserve di carbonio in questa biomassa è essenziale per comprendere e prevedere meglio gli effetti dei cambiamenti climatici attuali e futuri, nonché gli impatti diretti delle attività umane sugli ecosistemi. E’ anche una questione importante per la costruzione di politiche di mitigazione del cambiamento climatic»o.

I dati dell’indice della vegetazione L-band vegetation optical depth (L-VOD) e ottenuti dalle osservazioni spaziali del satellite SMOS sono gli unici che permettono di stimare globalmente gli stock medi di carbonio aereo. Ma l’applicazione diffusa dell’L-VOD in tutto il mondo è stata limitata dall’interruzione del segnale dovuta alle interferenze radio (emesse da dispositivi elettronici) e dalla sua sensibilità al contenuto di acqua della vegetazione. Per superare questo problema, gli scienziati hanno progettato un metodo di doppio filtraggio, basandosi in particolare su un metodo di scomposizione temporale del segnale (variazioni stagionali, tendenze, ecc.) per eliminare questi due effetti. Quindi, dalla biomassa fuori terra, hanno stabilito la biomassa sotterranea (radici ad esempio) utilizzando una mappa globale del rapporto tra biomassa fuori terra e biomassa sotterranea stabilita nel 2020. Hanno quindi calcolato le distribuzioni spaziali e temporali del carbonio della biomassa totale della vegetazione vivente negli ecosistemi terrestri dal 2010 al 2019 e hanno prodotto mappe globali del cambiamento annuale della biomassa vegetale. Grazie a queste mappe, gli scienziati hanno prima valutato i bilanci regionali del carbonio su aree di 25 × 25 km, poi hanno attribuito le perdite e i guadagni di carbonio ai cambiamenti nella copertura forestale dovuti agli incendi e ai cambiamenti nell’uso del suolo per studiare infine come l’età delle foreste controlla lo stoccaggio del carbonio terrestre.

Il risultato è stato che «Nel complesso, gli stock di carbonio della biomassa terrestre sono aumentati tra il 2010 e il 2019 di circa 500 milioni di tonnellate di carbonio all’anno. I principali contributori al deposito di carbonio terrestre sono le foreste boreali e temperate, mentre le foreste tropicali sono diventate piccole fonti di carbonio a causa della deforestazione e del degrado legato in particolare agli incendi e alla mortalità conseguente a ripetute siccità. Le foreste tropicali antiche, i cui alberi hanno in media più di 140 anni, sono quasi a zero emissioni di carbonio, mentre le foreste temperate e boreali giovani (meno di 50 anni) e di mezza età (tra 50 e 140 anni) sono le più carbon neutral, grandi pozzi di carbonio».

I ricercatori fanno notare che «Questi nuovi risultati differiscono da quelli degli attuali modelli di previsione della biomassa vegetale che indicano che tutte le foreste secolari sono pozzi di carbonio, tenendo scarsamente conto della demografia dei boschi e degli impatti della deforestazione e del degrado delle piante tropicali che stanno perdendo biomassa».

Lo studio conclude: «Questi risultati sottolineano l’importanza di tenere meglio conto del degrado subito dalle foreste e della loro età per prevedere meglio l’evoluzione di questi pozzi di carbonio a livello globale e quindi orientare meglio le politiche di mitigazione del cambiamento climatico».