La protezione di un territorio rallenta di cinque volte la perdita di biodiversità tra i vertebrati

Un governo efficace è fondamentale per garantire che le aree protette salvaguardino davvero la biodiversità

[5 Ottobre 2023]

Secondo il recente studio “Protected areas slow declines unevenly across the tetrapod tree of life”, pubblicato su Nature da un team di ricercatori statunitensi e della Zoological Society of London, «Proteggere vaste aree del territorio terrestre può aiutare ad arginare l’ondata di perdita di biodiversità, anche per vertebrati come anfibi, rettili, mammiferi e uccelli». Lo studio, guidato dallo Smithsonian Environmental Research Center (SERC) e da Conservation International, sottolinea l’importanza di una corretta governance per il successo di gterritori protetti e fornisce un sostegno tanto necessario all’iniziativa “30X30” dell’Onu per conservare la biodiversità mondiale.

Al SERC ricordano che «L’attività umana ha accelerato di 22 volte il tasso di estinzione naturale dei vertebrati. Tale perdita di biodiversità può destabilizzare le reti alimentari e mettere a repentaglio i numerosi benefici che la biodiversità offre alle persone, tra cui l’impollinazione delle colture, le diete sane e il controllo delle malattie» e il principale autore dello studio, il biologo Justin Nowakowsk del SERC, aggiunge che «Per sopravvivere gli esseri umani dipendono indissolubilmente dalla biodiversità. Fornisce cibo, carburante, fibre e altri servizi ecosistemici da cui dipendiamo per la vita».

Il team di Nowakowski ha acquisito dati su oltre 1.000 specie in tutti i continenti tranne l’Antartide, raccogliendo le informazioni da due database: Living Planet e BioTIME, che contengono studi sulla biodiversità compilati da tutto il mondo. Gli autori dello studio  hanno esaminato come si sono comportate nel tempo 2.239 popolazioni di vertebrati, sia all’interno che all’esterno delle aree protette. Per controllare le variabili confondenti, gli autori hanno fatto attenzione che i siti protetti rispetto a quelli non protetti fossero il più simili possibile sotto altri aspetti. Ne è venuto fuori che «In media, i vertebrati sono diminuiti dello 0,4% all’anno all’interno delle aree protette, quasi 5 volte più lentamente rispetto ai vertebrati al di fuori delle aree protette (1,8% all’anno)».

Uno degli autori dello studio, il biologo Luke Frishkoff dell’università del Texas – Arlington. Fa notare che «Le aree protette ci portano da una situazione in cui la biodiversità non sta scomparendo così lentamente, a una in cui le popolazioni sono almeno vicine alla stabilità. Ci fanno guadagnare il tempo necessario per capire come invertire la crisi della biodiversità. A questi ritmi, le popolazioni che vivono al di fuori delle aree protette potrebbero vedere il loro numero dimezzarsi in soli 40 anni. Nel frattempo, ci vorranno 170 anni perché una popolazione di un’area protetta subisca lo stesso destino».

A beneficiare maggiormente delle aree protette sono alcune classi di vertebrati: «Gli anfibi e gli uccelli all’interno delle terre protette hanno goduto delle maggiori tregue», dicono i ricercatori che  sospettano Ciò sia dovuto al fatto che quelle classi affrontano alcune delle più grandi minacce provenienti dall’esterno. Ad esempio, gli uccelli delle zone umide sono frequenti vittime della perdita di habitat. Gli anfibi, nel frattempo, stanno morendo in massa a causa del fungo chitride mentre combattono la perdita di habitat e il cambiamento climatico. Anche le loro dimensioni più piccole possono contribuire».

Un’altra coautrice dello studio, Jessica Deichmann, ecologista della Liz Claiborne & Art Ortenberg Foundation, fa notare che «Gli anfibi in genere hanno territori locali piuttosto piccoli e sono anche molto sensibili ai piccoli cambiamenti nell’ambiente. Quindi, con gli anfibi che vivono all’interno di aree protette, siamo davvero in grado di proteggere una parte maggiore dell’habitat che utilizzano rispetto a quanto si potrebbe fare, ad esempio, con un mammifero che ha un territorio molto ampio».

Tuttavia, la conversione dei terreni  delle aree protette vicine allo sviluppo dell’agricoltura o urbanistico ha diminuito i benefici delle aree protette e il cambiamento climatico sta aggravando il problema. Si è scoperto che «I rettili sono particolarmente vulnerabili ai cambiamenti climatici, anche all’interno delle aree protette. Gli anfibi soffrirono maggiormente della conversione dei terreni vicini. Questo rende le connessioni tra le aree protette ancora più cruciali per la conservazione, soprattutto perché il cambiamento climatico continua a farsi sentire».

Nowakowski evidenzia che «Le aree protette sono legate a un luogo specifico. Ma le specie sono in movimento. Dobbiamo progettare aree protette che siano connesse e tengano conto di questa realtà».

Lo studio conferma l’importanza del lavoro dell’Onu per proteggere la biodiversità. Alla COP15 della Convention on biological diversity tenutasi a Montreal nel dicembre 2022, quasi 200 nazioni si sono impegnate a contrastare le rapide estinzioni proteggendo il 30% delle terre e delle acque entro il 2030. L’impegno “30X30” ha creato una corsa per istituire più aree protette. Ma secondo molti esperti della conservazione, «Occuparsi semplicemente della quantità di territorio protetto non è sufficiente. E’ fondamentale confermare che le aree protette stanno raggiungendo il loro obiettivo primario: conservare la biodiversità al loro interno». La Deichmann è d’accordo: «I Paesi possono conformarsi al 30X30 creando “parchi di carta”, parchi che esistono sulle mappe ma sono in gran parte inefficaci. Ma questo non raggiungerà i risultati desiderati dal 30X30. Questo studio ci aiuta a capire meglio come possiamo effettivamente raggiungere il 30X30, attraverso la creazione di aree protette e altre efficaci misure di conservazione basate sull’area”»

I dati mostrano che per funzionare bene le aree protette hanno bisogno di un altro ingrediente essenziale: un governo stabile ed efficace. Dalle analisi svolte dagli autori dello studio risulta che «Il buon governo ha avuto un impatto altrettanto potente sui vertebrati quanto vivere in un’area protetta. Le nazioni con governi efficaci vedono spesso una migliore applicazione delle leggi ambientali. I governi liberi dalla corruzione hanno anche meno probabilità di appropriarsi indebitamente del denaro destinato alla conservazione e quindi hanno maggiori probabilità di ottenere per primi denaro internazionale per la conservazione».

Secondo uno degli atori dello studio, lo scienziato sociale di Conservation International Carlos Muñoz Brenes, «La trasparenza del governo può aiutare anche l’empowerment della comunità,. Quando le comunità locali hanno voce in capitolo nelle leggi sulla conservazione, comprese quelle relative alle terre protette, tali tutele spesso funzionano meglio».

Ma le aree protette da sole non bastano. Gli scienziati ambientalisti riconoscono sempre più che «La Terra ha bisogno di un portafoglio di approcci per salvaguardare la biodiversità, soprattutto di fronte ai rapidi cambiamenti ambientali» e per Muñoz Brenes «Esistono meccanismi più flessibili che potrebbero contribuire a proteggere i valori della biodiversità e dei valori ecosistemici al di fuori delle aree protette».

Ad esempio, i programmi di “pagamento per i servizi ecosistemici”, come quello che il Costa Rica, dove è nato Muñoz Brenes, porta avanti dal 1996, finanziato da una tassa nazionale sul gas e grazie al quale i proprietari terrieri vicini alle aree protette ricevono dal governo un pagamento per preservare le foreste sulle loro proprietà. Muñoz Brenes dice che «Grazie a questo programma, siamo riusciti a invertire la in gran parte deforestazione in Costa Rica. Ma non solo, siamo riusciti ad aumentare la copertura forestale attraverso questo meccanismo al di fuori delle aree protette».

Altre misure flessibili includono corridoi biologici e aree protette gestite dai popoli indigeni che limitano ma non del tutto l’attività umana.

Come fa notare Anthropocene in una recensione dello studio, «Mentre alcuni potrebbero pensare che questo lavoro affermi semplicemente l’ovvio, il lavoro di Frishkoff e di altri scienziati dello Smithsonian Institution, della Zoological Society di Londra e di una manciata di università mette alla prova scientifica la visione incentrata sull’habitat. E scopre differenze intriganti a seconda del tipo di animale».

Se da un lato i risultati dello studio rafforzano la richiesta di protezione degli habitat, dall’altro dimostrano anche che il semplice accantonamento della territorio per “proteggerlo” non è sempre sufficiente.