2,4 milioni di lavoratori immigrati producono il 9% del Pil italiano: 154 miliardi di euro

Tra il 2023 e il 2026 altri 574 mila ingressi per lavoro, ma il fabbisogno di manodopera è più alto a causa di crisi demografica e gap di competenze

[20 Ottobre 2023]

Il Rapporto annuale 2023 sull’economia dell’Immigrazione, curato dalla Fondazione Leone Moressa, è stato presentato al Viminale e alla Camera dei Deputati e ne emerge che «La popolazione straniera residente in Italia si conferma stabile a quota 5 milioni ad inizio 2023, pari all’8,6% del totale. L’età media degli stranieri è 35,3 anni, contro i 46,9 degli italiani. Gli indicatori demografici spiegano bene la diversa tendenza: tra gli stranieri vi sono 11,0 nati ogni mille abitanti e 2,0 morti; tra gli italiani, 6,3 nati e 13,0 morti per mille abitanti. Significativo anche il numero di stranieri “naturalizzati” italiani: 133 mila nel 2022, per un totale di 1,4 milioni negli ultimi 11 anni».

Mentre il governo parla di invasione di clandestini, in realtà i lavoratori immigrati sono richiesti e necessari e gli ingressi per lavoro sono in aumento: «Nel 2022 sono stati 338 mila i Permessi di Soggiorno rilasciati dall’Italia, picco massimo dell’ultimo decennio – fa notare il rapporto –  In ripresa, soprattutto, gli ingressi per lavoro, che rappresentano quasi un quinto del totale. I 67 mila ingressi per lavoro del 2022 sono frutto del Decreto Flussi 2021 (Governo Draghi) e sono dunque destinati ad aumentare nei prossimi anni a seguito dei Decreti del Governo Meloni, che ha previsto 122 mila ingressi per lavoro nel 2023 e 452 mila nel periodo 2024-2026».

E viene fuor’ che il Paese Ue che ha più immigrati per lavoro è quello il cui governo ha (aveva) la peggiore politica anti-immigrati: la Polonia, seguita da Spagna e Germania. Mentre in  Italia «Il rapporto tra ingressi per lavoro e popolazione residente (11,3 ogni 10 mila abitanti) rimane inferiore rispetto alla media Ue (27,4). Il primo canale d’ingresso in Italia, infatti, rimane il ricongiungimento familiare (38,9% del totale)».

E che gli stranieri siano necessari alla nostra economia lo dice anche un altro dato: «Dopo la flessione dovuta alla pandemia, il tasso di occupazione degli stranieri (60,6%) torna a superare quello degli italiani (60,1%), pur rimanendo al di sotto dei livelli pre-Covid. Gli occupati stranieri sono 2,4 milioni e si concentrano nei lavori manuali: l’incidenza degli stranieri, infatti, è mediamente del 10,3% sui lavoratori totali, ma raggiunge il 28,9% tra il personale non qualificato. I lavoratori immigrati producono 154,3 miliardi di Valore Aggiunto, dando un contributo al PIL pari al 9%. L’incidenza sul PIL aumenta sensibilmente in Agricoltura (15,7%), ed Edilizia (14,5%)».

Intanto a certificare un’integrazione che segue gli stessi percorsi di quella degli emigrati italiani vecchi e nuovi, il rapporto evidenzia che «Continua l’aumento degli imprenditori immigrati, che nel 2022 sono 761 mila (10,1% del totale). In dodici anni (2010-22), gli immigrati sono cresciuti (+39,7%) mentre gli italiani sono diminuiti (-10,2%). Incidenza più alta al Centro-Nord e nei settori di Costruzioni, Commercio e Ristorazione».

Quello che è indubitabile, nel Paese dell’evasione e dell’elusione fiscale, è l’impatto fiscale positiovo dei lavoratori stranieri: «Dopo la pandemia, torna a crescere il numero di contribuenti immigrati. Si tratta di 4,3 milioni di contribuenti (10,4% del totale), che nel 2022 hanno dichiarato redditi per 64 miliardi di euro e versato 9,6 miliardi di Irpef. Rimane alto il differenziale di reddito pro-capite tra italiani e immigrati (circa 8 mila euro annui di differenza), conseguenza diretta della concentrazione occupazionale. Rimane positivo il saldo tra il gettito fiscale e contributivo (entrate, 29,2 miliardi) e la spesa pubblica per i servizi di welfare (uscite, 27,4 miliardi), con +1,8 miliardi di euro in attivo. Gli immigrati, prevalentemente in età lavorativa, hanno infatti un basso impatto sulle principali voci di spesa pubblica come sanità e pensioni.