Il cambiamento climatico provoca guerre in tutto il mondo

Modificare lo Statuto di Roma per includere il reato internazionale di ecocidio

[30 Ottobre 2023]

Richard J Rogers direttore esecutivo di Climate Counsel e  Moneim Adam direttore del Sudan Human Rights  hanno scritto la lettera aperta “Analysing Climate Security and Prosecuting Environmental Atrocity Crimes: Opportunities for the Prosecutor of the International Criminal Court”, inviata a Karim Khan, Procuratore capo della Corte penale internazionale (ICC) e sostenuta da Sudanese Lawyers for Justice, Sudanese Center for Legal Aid, Darfur Bar Association, Darfur Network for Monitoring and Documentation, Darfur IDPs and Refugees Coordination Body e Human Rights and Advocacy Network for Democracy.

Roger e Adam spiegano che «La lettera aperta riguarda due questioni distinte ma correlate: il cambiamento climatico come motore del conflitto (“sicurezza climatica”) e i crimini di atrocità ambientale come conseguenza del conflitto».

La sicurezza climatica si riferisce ai vari rischi per la sicurezza globale indotti, direttamente o indirettamente, dai cambiamenti nei modelli climatici. L’idea generale è che alcuni effetti del cambiamento climatico potrebbero esacerbare i rischi esistenti che già mettono in pericolo la sicurezza umana e/o crearne di nuovi.  Il termine “crimini di atrocità ambientali” è utilizzato per indicare casi di crimini di guerra o crimini contro l’umanità commessi mediante, o che danno come risultato, sgombero forzato illegale, sfruttamento delle risorse o grave degrado o distruzione dell’ambiente naturale. Secondo lo Statuto di Rom, in quanto crimini di guerra, possono includere, ad esempio, casi di bombardamento indiscriminato o di danni eccessivi all’ambiente naturale e – fino alla guerra di Gaza – Sudan e Ucraina erano i casi attualmente più pertinenti, ma, in quanto crimini contro l’umanità, possono includere casi in cui i crimini vengono commessi nel contesto di un danno ambientale di massa.

Come evidenzia Katie Surma  su Inside Climate News, «Siccità, inondazioni e condizioni meteorologiche estreme stanno provocando e amplificando conflitti violenti in tutto il mondo. Allo stesso tempo, la guerra ha devastato gli ecosistemi, messo in pericolo l’accesso a risorse vitali e lasciato dietro di sé eredità tossiche che fanno ammalare le popolazioni civili».

Gli esempi, oltre al Darfur e all’Ucraina non mancano. Nel bacino del Lago Ciad, la siccità e le condizioni meteorologiche estreme hanno fatto aumentare la povertà tra le comunità agricole, favorendo il reclutamento dei giovani in gruppi armati jihadisti come Boko Haram. in Afghanistan, 40 anni di guerra quasi continua – pur con diversi attori e invasori –  hanno distrutto il territorio e scatenato conflitti per i diritti fondiari, l’acqua e altre risorse naturali, mentre l’inquinamento causato dalle operazioni militari ha fatto ammalare le popolazioni civili dilaniate dalla guerra. La terribile guerra nella più grande prigione a cielo aperto del mondo, Gaza, viene combattuta da Israele anche usando l’acqua e l’energia in un’area che è la più colpita al mondo per il depauperamento delle risorse naturali dovute al cambiamento climatico che ha innescato anche l’infinita guerra in Siria.

Negli ultimi anni, la Procura dell’ICC ha ricevuto almeno 5 richieste che invitavano il pubblico ministero a indagare su presunti crimini contro l’umanità che comportavano danni ambientali, come in Cambogia e Brasile. Lo Statuto di Roma non elenca esplicitamente la distruzione ambientale come un atto di crimini contro l’umanità, ma gli studiosi di diritto sostengono che l’Ufficio del Procuratore ha l’autorità di perseguire i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra che comportano la distruzione ambientale. Da quando il tribunale ha iniziato ad operare nel 2002, né Khan né i suoi due predecessori hanno perseguito alcun crimine ambientale.

Il Comitato Internazionale della Croce Rossa, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, la NATO e una serie di organismi dell’Onu, compreso il Consiglio di Sicurezza e l’United Nations environment programme (Unep), hanno lanciato a vari livelli l’allarme sul fatto che il cambiamento climatico, pur non essendo ancora una causa di guerra in sé e per sé, sta rendendo più probabile la violenza su larga scala in tutto il mondo e peggiorando i conflitti esistenti.

Nella lettera aperta si legge che «Entrambe le questioni sono direttamente rilevanti per il lavoro della Corte penale internazionale. Un’opportunità per l’ufficio del Procuratore (“OTP”) in generale, e per la situazione nel Darfur, in Sudan, in particolare. Inoltre, con il suo mandato, le sue risorse e le sue competenze, l’OTP è in una posizione unica per promuovere (i) una migliore comprensione di come il cambiamento climatico influisce sui crimini di massa, raccogliendo dati pertinenti, e (ii) la prevenzione dei crimini di atrocità ambientale, perseguendo i più responsabili. Eppure, nonostante le chiare opportunità, i suoi predecessori all’OTP hanno ampiamente ignorato entrambe le questioni».

La lettera aperta ricorda che per quanto riguarda la sicurezza climatica: «Il cambiamento climatico è ora riconosciuto come un moltiplicatore di minacce per la pace e la sicurezza internazionali: aumenta la probabilità di conflitti violenti e crimini atroci che rientrano nella giurisdizione della Corte penale internazionale. In effetti, quasi ogni crisi geopolitica sulla terra è oggi segnata, in un modo o nell’altro, da conflitti ambientali».

Già nel 2017, l’ex Segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon descrisse la guerra nel Darfur come «una crisi ecologica, derivante almeno in parte dal cambiamento climatico» e per  Roger e Adam  «E’ un esempio ovvio (ma non eccezionale) di un conflitto causato in parte dal cambiamento climatico. modifica; i crimini derivanti da quel conflitto che includono il genocidio. Mentre la terra diventa più calda, il Darfur potrebbe essere un presagio di cose a venire. In questo contesto, una maggiore comprensione dell’interconnessione tra riscaldamento globale, conflitti e crimini di massa aiuterà i governi e l’Onu a prepararsi alle atrocità e a prevenirle. Esaminando le questioni relative alla sicurezza climatica nell’ambito delle sue indagini, l’OTP può contribuire in modo sostanziale a questo processo e collocare la sua analisi dei crimini nel contesto adeguato».

Nel Darfur i combattimenti iniziarono nel 2003, quando le forze governative sudanesi e le milizie loro alleate si scontrarono con i gruppi ribelli, spingendo il Consiglio di sicurezza dell’Onu a presentare il suo primo caso alla Corte penale internazionale. Dal 2005, il pubblico ministero dell’ICC ndaga su accuse di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità che comportano uccisioni di massa, sfollamenti forzati, stupri e altri attacchi diffusi contro i civili.

Dopo la fine nel 2019 della trentennale dittatura di Omar al-Bashir, il Sudan sembrava avviato verso la democrazia, ma prima ci sono stati un paio di golpe militari che hanno impedito la transizione e, a metà aprile di quest’anno, è scoppiata la guerra tra l’esercito e le milizie della Rapid Support Force (RSF) che erano state sue alleate sia nel Darfur che nei golpe. In 6 mesi, i combattimenti hanno provocato milioni di sfollati e ucciso circa 9.000 persone. A luglio, Khan ha annunciato che il suo ufficio stava indagando su nuove accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità nella regione. Khan ha detto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu che «Secondo ogni analisi, non siamo sull’orlo di una catastrofe umana, ma nel bel mezzo di essa» e ha assicurato che il suo ufficio stava esaminando le accuse riguardanti saccheggi, incendi di case e omicidi, compresa la strage di 87 persone a Masalit da parte delle RSF e dei suoi alleati nel Darfur occidentale.

Anche se la sanguinosa guerra civile in corso da mesi in Sudan – che impallidisce rispetto a quanto successo in poche settimane a Gaza e nei kibbutz israeliani vicini –  sia una lotta di potere, i gruppi per i diritti umani della società civile sudanesi  dicono che gli impatti climatici – siccità, desertificazione, aumento delle temperature e scarsità d’acqua – sono una causa principale e un amplificatore della violenza.

Per quanto riguarda i crimini ambientali atroci, la lettera aperta evidenzia che «Gravi instabilità e conflitti armati spesso comportano crimini atroci che provocano un grave degrado o distruzione dell’ambiente naturale». Come ha già fatto notare lo stesso OTP, «I reati commessi mediante, o che comportano, tra l’altro, la distruzione dell’ambiente, lo sfruttamento illegale delle risorse naturali o l’esproprio illegale dei terreni hanno un impatto particolarmente significativo sulle comunità locali».

La lettera aperta sottolinea che «In Sudan, i gruppi armati che cercano di trarre profitto dall’estrazione illegale dell’oro avvelenano il suolo e le fonti idriche di intere comunità con mercurio e cianuro; in Ucraina le forze russe hanno distrutto la diga di Kakhovka, allagando vaste aree di terreno fertile. Sebbene lo Statuto di Roma fornisca un quadro giuridico per perseguire i crimini ambientali sia in tempo di pace che nei conflitti armati, l’OTP non ha perseguito un solo caso in tutta la sua esistenza. Con l’intensificarsi dei fattori climatici e il moltiplicarsi dei crimini ambientali atroci, è necessaria un’azione urgente. Esortiamo l’OTP a iniziare a fare pieno uso dei suoi poteri ai sensi dello Statuto di Roma per analizzare i fattori climatici e dare priorità al perseguimento dei crimini di atrocità ambientale rispetto a tutte le situazioni, compreso il Darfur».

Roger e Adam e le organizzazioni che li appoggiano raccomandano al Procuratore capo dell’ICC di prendere le seguenti iniziative: a. Nominare un esperto interno di sicurezza climatica (consulente speciale) per valutare l’impatto del cambiamento climatico sul carico di lavoro dell’ICC; b. rivalutare, rivedere ed espandere le attuali politiche dell’OTP e i metodi investigativi per includere un approccio forense basato sulla sicurezza climatica; c. in ciascun caso rilevante, presentare prove che dimostrino come le questioni legate alla sicurezza climatica siano rilevanti per i crimini perseguiti; d. dare priorità al perseguimento dei crimini di atrocità ambientale, in linea con la politica dell’OTP del 2016 sulla selezione e la definizione delle priorità dei casi; e. sostenere pubblicamente la modifica dello Statuto di Roma per includere il reato internazionale di “ecocidio”.

L’ufficio di Kahn alla Corte penale internazionale dell’Aia non risponderà alla lettera aperta, ma in una dichiarazione scritta ha affermato che l’ufficio sta preparando una nuova politica sui crimini ambientali e che «Questa politica elaborerà il modo in cui l’Ufficio utilizzerà la propria giurisdizione per affrontare i danni ambientali che si verificano nel contesto dei crimini dello Statuto di Roma».

Inoltre, la dichiarazione dell’ICC afferma che «La nuova politica non si limiterà al danno ambientale commesso come crimine di guerra, già elencato nello Statuto di Roma, ma esplorerà anche come altri crimini previsti dallo Statuto di Roma possano essere commessi attraverso o dando come risultato un danno ambientale».