Il Darfur è di nuovo una calamità umanitaria e una catastrofica crisi dei diritti umani
La guerra del Sudan dimenticata dal mondo mentre aumentano i ritrovamenti di fosse comuni, gli stupri e le violenze di milizie ed esercito
[15 Dicembre 2023]
Mentre il mondo assiste attonito ala strage di Gaza e alla continuazione della guerra in Ucraina, mentre la terza guerra mondiale a pezzetti evocata da Papa Francesco insanguina il mondo, l’opinione pubblica mondiale sembra ignorare un conflitto – quello del Darfur – che 20 anni fa portò alla mobilitazione di moltissime persone comuni, star di Hollywood e musicali e politici a rimorchio. Infatti, secondo un alto funzionario dell’Onu lo scoppio della guerra civile 7 mesi fa in Sudan «Ha portato a una convergenza tra un peggioramento della calamità umanitaria e una catastrofica crisi dei diritti umani», e l’irrequieta regione del Darfur è stata particolarmente colpita.
Con la tregua di fatto nello Yemen, il dimenticato Sudan è diventata la più grande tragedia umanitaria del mondo, eclissando purtroppo anche Gaza. Quasi 9 milioni di persone necessitano di assistenza umanitaria e i rapporti Onu e delle ONG suggeriscono che «Circa 4.000 persone sono state prese di mira e uccise a causa della loro etnia. Ora si teme che il Darfur stia tornando agli anni di combattimenti brutali e di crescenti atrocità testimoniate l’ultima volta due decenni fa, che provocarono la morte di circa 300.000 persone e milioni di altri sfollati».
Ma cosa sta succedendo in Darfur? E qual è il contesto storico del nuovo conflitto?
Il nome “Darfur” deriva da “dar fur”, che in arabo significa “la terra della pelliccia”. La tribù Fur ha governato il Sultanato islamico del Darfur fino al 1916, quando venne assassinato l’ultimo sultano del Darfur. Oggi nel Darfur vivono circa 80 tribù e gruppi etnici, sia comunità nomadi che sedentari. Anche se i conflitti tribali ed etnici non erano rari, la situazione si aggravò nel 2003 quando i ribelli antigovernativi della Sudan Liberation Army (SLA) e del Justice and Equality Movement (JEM) presero preso le armi contro il governo dittatoriale sudanese, protestando contro l’ineguale distribuzione delle risorse economiche. Le forze armate sudanesi, sostenute dalla milizia araba Janjaweed attaccarono chiunque si ribellava al governo autocratico dell’ex presidente Omar al-Bashir e il bilancio della guerra fu devastante: circa 300.000 morti, milioni di sfollati, 400.000 rifugiati solo in Ciad. villaggi rasi al suolo, innumerevoli stupri e violenze di ogni genere compiuti dalle milizie Janjaweed.
E’ in risposta a queste atrocità che la Corte penale internazionale (CPI) emise mandati di arresto contro al-Bashir e molti suoi fedelissimi accusati di crimini contro l’umanità e crimini di guerra in Darfur.
Dopo la fine di quella strage il Darfur ha passato anni di pace inquieta, soprattutto durante il periodo in cui sul territorio operava l’United Nations – African Union Hybrid Operation in Darfur (UNAMID).
Il mandato dell’UNAMID, istituita dal Consiglio di sicurezza dell’Onu nel luglio 2007, comprendeva, tra le altre cose, la protezione dei civili e la facilitazione della fornitura di assistenza umanitaria da parte delle Nazioni Unite e altre organizzazioni umanitarie. La missione ha concluso le sue operazioni il 31 dicembre 2020 e. in seguito a un importante accordo di pace raggiunto tra le autorità sudanesi e due gruppi armati del Darfur il governo del Sudan si era assunto la responsabilità di proteggere i civili in tutta la regione. Venne così istituita l’United Nations Integrated Transition Assistance (UNITAMS), una missione politica per sostenere il Sudan per un periodo iniziale di 12 mesi durante la sua transizione verso un governo democratico. Un sostegno includeva l’istituzione della Commissione permanente per il cessate il fuoco (PCC), che è stata fondamentale per l’attuazione del Darfur Track dell’accordo di pace di Juba dell’ottobre 2020 e per prevenire il ripetersi del conflitto politico e armato nel Darfur. Ma l’esercito sudanese ha fatto un nuovo golpe per impedire che la transizione portasse al potere un governo civile.
Nel dicembre 2023 il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha deciso di porre fine al mandato dell’UNITAMS e di iniziare a ridurre le sue operazioni per un periodo di tre mesi che terminerà il 29 febbraio 2024.
Ma la situazione è drammaticamente cambiata ad aprile, con lo scoppio della nuova guerra tra gli ex alleati golpisti che avevano impedito la ricostutuzione di un governo civile nel sudan: le milizia delle Rapid Support Forces (RSF) e l’esercito al potere. leSudanese Armed Forces (SAF).
intervenendo a novembre al Consiglio di sicurezza dell’Onu, Martha Ama Akyaa Pobee, vicesegretaria generale dell’Onu per l’Africa, ha avvertito che «Le ostilità si sono intensificate» e che «Il Sudan sta affrontando una convergenza tra un peggioramento della calamità umanitaria e una catastrofica crisi dei diritti umani».
La guerra civile dalla capitale Dar El Salaam si è estesa a tutto il Paese ed è nuovamente arrivata nel Darfur, dove la brutale escalation della violenza fa temere che possano ripetersi le atrocità commesse 20 anni fa.
A novembre, l’ United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR) ha lanciato un allarme per le notizie di continue violenze sessuali, torture, uccisioni arbitrarie, estorsioni e attacchi contro specifici gruppi etnici. Secondo Volker Türk, Alto Commissario Onu per i diritti umani, «Nel Darfur occidentale centinaia di persone sono morte in attacchi di matrice etnica da parte delle RSF e delle milizie loro alleate. Tali sviluppi riecheggiano un passato orribile che non deve ripetersi, segnando mesi di inutile sofferenza, morte, perdita e distruzione».
A luglio, in seguito alla scoperta di fosse comuni di circa 87 persone della comunità etnica Masalit, presumibilmente uccise dalle RSF e da una milizia loro alleata, il procuratore della CPI ha avviato un’indagine su presunti crimini di guerra e crimini contro l’umanità nella regione,.
L’United Nations Joint Human Rights Office ha comunicato di aver recentemente ricevuto «Rapporti credibili sull’esistenza di almeno 13 fosse comuni a El Geneina, nel Darfur occidentale, e nelle aree circostanti, a seguito degli attacchi della RSF e delle milizie arabe contro i civili, con il la maggior parte di questi civili proveniva dalla comunità Massalit. Questi atti, se accertati, potrebbero costituire crimini di guerra».
L’Onu si dice particolarmente preoccupata per la situazione in Darfur, «Dove i bambini muoiono negli ospedali, i bambini e le madri soffrono di grave malnutrizione e i campi per sfollati sono stati rasi al suolo».
Martha Ama Akyaa Pobee, assistente del segretario generale dell’Onu per l’africa nei dipartimenti Peacebuilding e Political Affairs e per le operazioni di pace ha dichiarato al Consiglio di Sicurezza che «La violenza sessuale e di genere continua, con accuse di violenza sessuale al personale delle Rapid Support Forces e stupri e molestie sessuali che coinvolgono le forze armate sudanesi».
Le agenzie umanitarie dell’Onu sono state costrette a lasciare il Darfur ad aprile, quando è scoppiata la guerra civile tra l’esercito e i suoi ex alleati e molte delle loro strutture sono state saccheggiate o distrutte. Alcuni operatori umanitari dell’Onu sono tornati occasionalmente per fornire aiuti quando la situazione della sicurezza lo ha consentito. A novembre, i partner dell’Onu sono riusciti a raggiungere lo Stato del Central Darfur con un convoglio di camion e auto che ha impiegato 5 giorni per arrivarci, portando forniture mediche da Kosti, nello Stato del White Nile, per la prima volta dallo scoppio della nuova guerra. E l’United Nations Humanitarian Affairs Office (OCHA) ha riferito dell’arrivo dei primi aiuti transfrontalieri per sostenere 185.000 persone dal Ciad a El Fasher, la capitale dello Stato del North Darfur.
Molti operatori umanitari sono stati uccisi in Darfur, mentre altri lavorano in condizioni estremamente difficili per sostenere i civili del posto. E mentre questi eroi sconosciuti si battono per portare un po’ di speranza dove ogni umanità sembra scomparsa, l’OCHA denuncia che «Il Sudan rappresenta la più grande crisi umanitaria del mondo, ma il piano di risposta è finanziato solo al 33%. Senza ulteriore sostegno migliaia di persone moriranno».