Tuvalu sopravviverà virtualmente all’innalzamento del livello del mare
Ma fa discutere l’accordo con l’Australia in cambio di sovranità: tempi troppo lunghi e nessun impegno climatico
[29 Dicembre 2023]
L’accordo raggiunto a novembre tra Tuvalu e l’Australia consentirà a circa 280 residenti del piccolo Paese insulare che sta scomparendo piano piano nell’Oceano Pacifico di trasferirsi in Australia. Ma così ci vorranno 40 anni perché gli attuali 11.900 abitanti di Tuvalu abbandonino l’arcipelago di 26 Km2, che l’innalzamento del mare causato dal riscaldamento globale sta sommergendo a metà strada tra le Hawaii e l’Australia. Ma Tuvalu potrebbe diventare inabitabile ben prima di allora.
A ottobre, Tuvalu aveva modificato la sua Costituzione per dichiarare che, anche se verrà inghiottita dall’oceano, la nazione resterà uno Stato sovrano con le sue zone marittime, il che significa che continuerà ad affermare la sua statualità e cittadinanza anche se non avrà più terra sulla quale esercitarla. Un anno fa, Tuvalu ha annunciato l’intenzione di creare una sua versione digitale, replicando isole e luoghi iconici nel metauniverso. Se questa trasformazione verrà realizzata, sarà il primo Paese a replicarsi nel metaverso.
Intervenendo alla COP28 Unfccc di Dubai, il primo ministro di Tuvalu Kausea Natano ha sottolineato che «Mentre ci riuniamo per testimoniare l’incessante marcia del cambiamento climatico, riconosciamo che il mondo intero ne ha già avvertito gli effetti brutali. …Ma lasciate che vi ricordi ancora una volta che Tuvalu e altre piccole nazioni insulari a bassa quota affrontano gli impatti peggiori e più immediati. Questo è un fatto. Immaginate uno stato insulare con una superficie di soli 26 chilometri quadrati e un’altezza massima di 2 metri sul livello del mare. Infatti, durante i periodi di alta marea, l’acqua di mare si intromette e copre il 40% della capitale di Tuvalu, l’isola di Funafuti. Camminiamo e andiamo in bicicletta su strade coperte di acqua di mare. Il cambiamento climatico è la più grande minaccia per l’esistenza di Tuvalu. Ogni anno, Tuvalu e altre piccole nazioni insulari partecipano alle riunioni della COP per ricordare al mondo, in particolare ai maggiori responsabili delle emissioni di gas serra, della nostra incessante sofferenza. Di quante altre riunioni della COP abbiamo bisogno per trasmettervi questo messaggio della nostra perdita e angoscia? Come nazione siamo giunti alla scioccante consapevolezza che ora esistiamo per mitigare e adattarci agli effetti del cambiamento climatico. Nei termini più forti possibili, Tuvalu desidera riaffermare l’urgenza della crisi climatica che le piccole isole in via di sviluppo del Pacifico si trovano ad affrontare, nonostante il nostro insignificante contributo alle emissioni globali».
Ma Natano ha anche ricordato che «Nonostante le nostre dimensioni, Tuvalu ha intrapreso azioni significative per conto proprio e con altre piccole nazioni e stati insulari nella lotta contro il cambiamento climatico. Siamo stati in grado di affrontare in modo proattivo le complicate sfide del cambiamento climatico, attraverso diverse iniziative e programmi. Dobbiamo essere lungimiranti e proattivi, in modo da preservare e mantenere la nostra terra, il nostro stato, la nostra sovranità, la nostra cultura e la nostra identità. Pertanto, abbiamo avviato o diventiamo parte di iniziative e programmi come Rising Nations Initiative (RNI), Future Now Project, LongTerm Adaptation Plan, COSIS, Unlocking Blue Pacific Prosperity e altri».
Poi ha illustrato il recente Falepili Union Treaty (Falepili significa buon vicinato) tra Tuvalu e l’Australia: «Uno degli aspetti principali del Trattato è il nostro impegno a salvaguardarci e sostenerci a vicenda mentre affrontiamo la minaccia esistenziale del cambiamento climatico. E’ anche una “testimonianza della nostra posizione proattiva nei confronti della migrazione pianificata, dignitosa e volontaria. Le numerose iniziative legate al cambiamento climatico intraprese da Tuvalu sono un’indicazione della nostra grave preoccupazione, del nostro profondo impegno e della nostra serietà riguardo alla crisi climatica. Significa la nostra paura di una perdita imminente, nel contesto della rapida accelerazione del cambiamento climatico. Ma mentre lavoriamo diligentemente per mitigare le perdite e sostenere il nostro futuro, gli abitanti di Tuvalu sono anche realisti. Comprendiamo che la maggior parte di queste iniziative e programmi, compresi i milioni di dollari promessi, non risolveranno la causa principale del riscaldamento globale e del cambiamento climatico. L’Accordo di Parigi, infatti, parla del controllo delle emissioni, ma non parla della produzione di combustibili fossili, che sono la principale causa del riscaldamento globale. Sosteniamo quindi la richiesta di una graduale eliminazione globale dei combustibili fossili».
Natano ha concluso. «La priorità del popolo tuvaluano è restare e continuare a vivere nella terra dataci da Dio. Pertanto, abbiamo bisogno non solo di speranza e rassicurazione, ma anche di un’azione determinata. In questo momento sono necessari ogni iniziativa, ogni dollaro, ogni impegno e qualsiasi assistenza per combattere questa crisi climatica».
Ma l’accordo con l’Australia e come garantire il futuro dei suoi cittadini è diventata la questione chiave per le elezioni generali di Tuvalu che si terranno il 26 gennaio 2024 ed è probabile che si tenga un referendum sul Falepili Union Treaty che, oltre ai visti ai tuvaluani prevede circa 11 milioni di dollari per il ripristino delle coste, oltre all’impegno ad aiutare Tuvalu in caso di disastro naturale, pandemia o aggressione militare. Il tutto con un occhio al contenimento dell’espansionismo cinese, visto che Tuvalu e uno dei Pochi Paesi rimasti a riconoscere la Repubblica della Cina (Taiwan) invece della Repubblica popolare cinese.
Infatti, l’accordo con l’Australia comporta però anche dei costi potenziali: se Tuvalu volesse aderire a una cooperazione in materia di difesa, Canberra dovrebbe approvarla e secondo il Washington Post «La questione è ampiamente vista come un tentativo di bloccare la Cina, che ha allarmato l’Occidente con la sua crescente presenza nel Pacifico meridionale, in particolare nelle Isole Salomone, dove Pechino ha ottenuto il riconoscimento diplomatico nel 2019 e ha concluso un accordo di sicurezza». Recentemente, primo ministro australiano, il laburista Anthony Albanese, ha detto che l’intesa con Tuvalu punta a «Garantire che le garanzie di sicurezza dell’Australia siano efficaci».
Inoltre, nonostante l’accorato appello di Natano alla COP28 di Dubai, l’accordo non obbliga l’Australia, uno dei maggiori esportatori mondiali di combustibili fossili, a intraprendere ulteriori azioni contro il riscaldamento globale, la causa principale dei problemi di Tuvalu.
Enele Sopoaga, leader dell’opposizione di Tuvalu, che ha promesso di stracciare l’accordo se vincerà le elezioni, ha sottolineato che «Se l’Australia crede nell’offrire un percorso umanitario ai Tuvaluani, il modo migliore per farlo è ridurre le sue emissioni, smettere di aprire miniere di carbone, smettere di esportare carbone. E’ vergognoso che l’Australia si alzi all’improvviso e dica: ‘Tuvalu, posso offrirti una mano salvifica”».
Anche un altro politico tuvaliano dell’opposizione, Simon Kofe, che in precedenza aveva partecipato al governo di Natano e che ha rinunciato alla cittadinanza australiana, ha criticato l’accordo: «Sebbene l’Australia e Tuvalu condividano molti valori, il Paese non dovrebbe essere coinvolto in una lotta geopolitica. Le isole di Tuvalu, che ospitavano gli aeroporti americani durante la seconda guerra mondiale, sono state bombardate».