Senza mitigazione i morti da eventi meteo estremi potrebbero superare i 50mila l'anno in Italia
Approvato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, resta da finanziarlo
Legambiente: «Per attuare il Pnacc sarà fondamentale stanziare le risorse economiche necessarie e ad oggi ancora assenti, non previste neanche nell’ultima legge di Bilancio»
[3 Gennaio 2024]
A quasi sette anni di distanza dall’apertura della prima fase di consultazione pubblica, l’Italia ha approvato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc).
La notizia è arrivata ieri dal ministero dell’Ambiente, che dopo anni di attesa aveva ripreso in mano il tema già nel dicembre 2022.
«L’obiettivo principale del Pnacc – spiega il documento – è fornire un quadro di indirizzo nazionale per l’implementazione di azioni finalizzate a ridurre al minimo possibile i rischi derivanti dai cambiamenti climatici, a migliorare la capacità di adattamento dei sistemi socioeconomici e naturali, nonché a trarre vantaggio dalle eventuali opportunità che si potranno presentare con le nuove condizioni climatiche».
Una preziosa cornice di riferimento dunque, che ad oggi si presenta però pressoché vuota di contenuti. Nel dettaglio, il Pnacc si articola infatti lungo 361 azioni, riassunte in un ampio file Excel che alla colonna R presenta la voce costi: peccato che larga parte delle caselle sia vuota, così come mancano i necessari finanziamenti.
«Ricordiamo al ministro dell’Ambiente e al Governo Meloni che per attuare il Pnacc sarà fondamentale stanziare le risorse economiche necessarie e ad oggi ancora assenti, non previste neanche nell’ultima legge di Bilancio – dichiara nel merito Stefano Ciafani, presidente di Legambiente nazionale – Altrimenti il rischio è che il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici resti solo sulla carta».
Anche perché aspettare non è a costo zero, mentre i danni legati alla crisi climatica continuano a crescere: nell’ultimo anno gli eventi meteo estremi sono cresciuti del 22%, e solo due di questi – le alluvioni che hanno colpito l’Emilia-Romagna e la Toscana – hanno provocato perdite rispettivamente per 9 e 2 miliardi di euro. L’equivalente di oltre un terzo della legge di Bilancio presentata dal Governo Meloni.
Allargando il quadro d’osservazione, è lo stesso Pnacc a certificare che l’Italia vanta «il triste primato del valore economico delle perdite subite» in Ue negli ultimi 40 anni a causa degli eventi meteo estremi, oscillando tra i 74 e i 90 miliardi di euro. Pericoli in crescita, in un mondo sempre più caldo.
Per quanto riguarda il fronte idrico, il Pnacc spiega ad esempio che «i modelli climatici suggeriscono che siccità e scarsità d’acqua andranno aumentando in diverse regioni, generando seri problemi di accesso all’acqua potabile», come peraltro noto da tempo.
Anche lo stress da caldo sulla popolazione è previsto in «decisa crescita», tanto che in uno scenario Rcp 4.5 (ovvero con riduzioni consistenti nelle emissioni e una stabilizzazione, non mitigazione, della crisi climatica) si stima «un aumento della mortalità tra l’86% e il 137% con un impatto sul Pil che salirebbe da circa l’1% attuale al 2%».
Ma non c’è “solo” il caldo tra le conseguenze del riscaldamento globale: «In Italia – continua il Pnacc – il numero di morti associate a fenomeni climatici estremi (soprattutto ondate di calore) potrebbe crescere fino a 60 volte rispetto al presente entro la fine del secolo in uno scenario assimilabile a Rcp 6.0/Rcp 4.5. Tale aumento porterebbe il tasso di mortalità prematuro causato da eventi climatici estremi a superare quello dovuto all’inquinamento atmosferico», che ad oggi provoca nel nostro Paese oltre 50mila morti l’anno.
In sintesi l’Italia «rischia di pagare un prezzo altissimo in termini di capacità produttiva, perdita di Pil e di posti di lavoro» a causa della crisi climatica, mette nero su bianco il Pnacc.
Che fare dunque? La risposta è nota e la riporta lo stesso Piano nazionale: «Servono azioni sistemiche, che attraverso lo stanziamento di risorse in modo strutturato vadano a mitigare gli impatti negativi sulle comunità», oltre a «maggiori incentivi, anche fiscali, per i sistemi di produzione innovativi, sostenibili ed a impatto climalterante ridotto».
In questo modo sarà possibile unire la tutela del clima a un maggiore benessere per la popolazione. In un simile contesto, le priorità indicate da Ciafani sono chiare: approvare un Piano nazionale integrato clima ed energia (Pniec) con «obiettivi più ambiziosi di produzione di energia rinnovabile e di riduzione di gas climalteranti al 2030; una legge sullo stop al consumo di suolo che ancora manca all’appello dopo oltre 11 anni dall’inizio del primo iter legislativo, semplificando anche la demolizione e la ricostruzione degli edifici esistenti ed entro tre mesi si emani il decreto che attiva l’Osservatorio nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici, con funzione di coordinamento tra i livelli di governo del territorio e dei vari settori; intensificare le politiche territoriali di prevenzione e le campagne di sensibilizzazione sulla convivenza con il rischio, per far diventare il nostro Paese dal più esposto al centro del mar Mediterraneo a un esempio per gli altri».