Gli investimenti nel petrolio e nel gas sono sempre più a rischio
La transizione energetica è ben avviata, con le energie rinnovabili che sostituiscono petrolio e gas
[29 Gennaio 2024]
Mentre Giorgia Meloni riunisce i leader africani per parlare del Piano Mattei basato sul gas e il petrolio e trasformare l’Italia nell’hub delle energie fossili europeo, il rapporto “Private Eyes Wide Shut: Private Equity Investments in Oil and Gas at Risk from Energy Transition” pubblicato da Carbon Tracker evidenzia che «Le proiezioni sulla domanda di petrolio e gas presentano un quadro desolante per il settore: l’International energy agency (IeaA) prevede ora che la domanda globale di petrolio, gas e carbone raggiungerà il picco entro la fine di questo decennio. Questo cambiamento epocale nel consumo di energia avrà conseguenze significative per gli investitori nel settore energetico, in tutte le classi di attività”.
Il rapporto è rivolto principalmente agli investitori di private equity – sia General Partner (GP) che Limited Partner (LP) – ed evidenzia «I rischi unici che devono affrontare dal continuo investimento in Upstream, insieme a quelli che devono affrontare gli investitori azionari quotati». Si basa sulle metodologie e analisi esistenti di Carbon Tracker per fornire agli investitori di private equity gli strumenti per valutare la fattibilità dei loro investimenti e «Dimostra l’ impatto della sostituzione della domanda di un’accelerazione della transizione energetica sulla fattibilità del progetto. Delinea le strategie aperte per le private equity upstream portfolio companies ed evidenzia i principali rischi rilevanti nei diversi ritmi di transizione. Esamina i rischi a cui sono esposti i GP e gli LP sono esposti in modo univoco tramite gli investimenti a monte. Evidenzia le strategie per i GP e gli LP per mitigare la possibilità di potenziali rendimenti inferiori derivanti dall’erosione del valore indotta dalla transizione».
Per farlo il rapporto utilizza i giacimenti del Mare del Nord del Regno Unito e della Norvegia , che negli ultimi anni sono stati un hotspot di attività di private equity, per presentare un caso di studio su come questi rischi potrebbero materializzarsi per 10 compagnie sostenute da private equity nel bacino e «Quantifica gli impatti di una transizione lenta e moderata sui futuri flussi di cassa, investimenti e produzione delle società sostenute da private equity. Identifica le considerazioni chiave per i policy maker e i regolatori finanziari. Mette in luce il ruolo delle società sostenute da private equity nelle nuove licenze».
Il rapporto del think tank finanziario evidenzia che «Se il riscaldamento globale si mantenesse a 1,7° C, le società di private equity che investono nel Mare del Nord potrebbero vedere un calo dei flussi di cassa derivanti da petrolio e gas di oltre il 60% al di sotto delle aspettative».
Carbon Traker fa notare che «Molte compagnie petrolifere e del gas stanno tenendo conto solo degli impegni climatici esistenti nei loro investimenti, ipotizzando una transizione energetica lenta coerente con un percorso di 2,4° C. Tuttavia, le tecnologie pulite, sostenute dalle politiche climatiche dei governi, stanno erodendo la domanda globale di petrolio e gas e l’International energy agency prevede che raggiungerà il picco entro la fine del decennio. La transizione energetica è irreversibile e che l’accelerazione del calo della domanda farà scendere i prezzi delle materie prime, e con essi i flussi di cassa e il valore delle compagnie petrolifere e del gas».
Private Eyes Wide Shut Identifica 10 società sostenute da private equity attive nel Mare del Nord: NEO Energy, Sval e Vår Energi (tutte sostenute da HitecVision); Harbour Energy e Repsol (entrambe sostenuti da EIG); Pandion Energy e Star Energy Group (sostenute da Kerogen Capital); Neptune Energy (sostenuta da Carlyle e CVC Capital Partners); ONE-Dyas (AtlasInvest); Wellesley Petroleum (Bluewater) e rivela che: «8 aziende con progetti esistenti o approvati rischierebbero di perdere tra il 63% e il 100% del loro flusso di cassa aggregato tra il 2024 e il 2030 in una transizione a ritmo moderato in linea con un aumento della temperatura di 1,7° C, rispetto a quanto si aspetterebbero in una transizione lenta in linea con 2,4° C. (Wellesley ha solo progetti non approvati e Star detiene solo una licenza). La maggior parte delle aziende ha un portafoglio significativo di progetti ancora da approvare che non sono nemmeno coerenti con una transizione lenta. Queste sono le uniche opzioni a disposizione di Star. Senza nuovi sviluppi, la produzione della maggior parte delle aziende nel 2030 sarà inferiore al 25% rispetto ai livelli del 2022».
Per una delle autrici del rapporto, Maeve O’Connor, autrice e analista di petrolio, gas e estrazione mineraria a Carbon Tracker, «Il Mare del Nord fornisce un caso di studio sui rischi che i produttori upstream sostenuti da private equity affrontano sia nei nuovi campi che in quelli esistenti. Le aziende stanno inseguendo barili di petrolio marginali e più costosi in un contesto di costi già difficile. La probabilità che questi barili dal costo più elevato rimangano economici in uno scenario di rapida transizione sembra diminuire».
Le società di private equity ottengono la maggior parte del loro capitale da investitori come compagnie assicurative, fondi pensione e gestori patrimoniali. Il rapporto avverte che «Gli investimenti potrebbero essere a rischio a meno che non vengano esaminate attentamente le valutazioni del private equity degli investimenti nel petrolio e nel gas per garantire che tengano adeguatamente conto dei rischi della transizione energetica. La produzione del Mare del Nord è in declino da due decenni e i suoi giacimenti maturi stanno raggiungendo la fine della loro vita produttiva. Le major petrolifere e i servizi di pubblica utilità hanno svenduto i loro asset e le società sostenute dalle 10 società di private equity ora controllano circa il 13% di tutta la produzione».
NEO dovrebbe prendere una decisione finale di investimento nel 2024 su 2 progetti del Regno Unito che difficilmente riusciranno a raggiungere il pareggio in una transizione moderata: l’Affleck Redevelopment da 249 milioni di dollari; e il progetto Leverett da 171 milioni di dollari, che coinvolge anche Harbour. Sval, Neptune e Vår dovranno decidere se dare il via libera agli investimenti su 2 progetti più piccoli nelle acque norvegesi che non sarebbero nemmeno economici in una transizione lenta. Tuttavia, Pandion e Vår hanno una produzione significativa vincolata da progetti esistenti, lasciandoli particolarmente esposti a futuri cali dei prezzi delle materie prime.
Ora, le società di private equity devono decidere se indirizzare le compagnie fossili ad aumentare la produzione, una strategia che, secondo il rapporto, «E’ sempre più rischiosa quando queste società già affrontano minacce ai flussi di cassa derivanti dai loro progetti esistenti. Investire per prolungare la durata dei giacimenti o sviluppare nuovi giacimenti è costoso e la nuova produzione potrebbe richiedere dai tre ai cinque anni per entrare in funzione ed essere esposta alle fluttuazioni dei prezzi delle materie prime negli anni ’30 e oltre».
Mike Coffin, responsabile del settore Oil, Gas e Mining di Carbon Tracker, conclude: «La transizione energetica sta accelerando ed eroderà la domanda di petrolio e gas, con gravi ripercussioni sulla salute finanziaria di molte compagnie petrolifere e del gas. Le società di private equity che investono in tali compagnie in questa fase della transizione stanno facendo una scommessa seria. Le imprese potrebbero rimanere a a detenere società il cui valore è crollato, senza che nessun acquirente sia disposto a togliertele dalle mani. Anche in un contesto di transizione che procede a un ritmo moderato, il valore di questi investimenti nel petrolio e nel gas potrebbe essere significativamente inferiore al previsto».