A che punto sono le coltivazioni promosse da Eni in Africa per produrre biocarburanti
Secondo un’indagine condotta da T&E, in Kenya e Congo i progetti vanno molto a rilento rispetto agli obiettivi annunciati
[26 Febbraio 2024]
Il Piano Mattei presentato in pompa magna dal Governo Meloni fa grande affidamento sullo sviluppo della filiera per i biocarburanti Eni in Africa, ma i progetti della multinazionale a controllo statale sembrano incontrare molte difficoltà secondo un’indagine sul campo effettuata dagli ambientalisti di Transport&Environment (T&E) insieme al settimanale africano The continent.
Eni ha promesso di creare un’intera filiera di “oli sostenibili” da colture agricole e ha strutturato accordi con sei Paesi africani per sviluppare degli “agri-hub” che forniranno olio vegetale per le sue raffinerie italiane.
La principale coltura su cui Eni sta scommettendo, quella del ricino, è stata presentata come resistente alla siccità e adatta alla coltivazione su terreni di scarsa qualità: un modo per dare reddito agli agricoltori locali senza consumare terre fertili, allontanandosi al contempo da un’economia fossile.
Nei Paesi dove Eni sostiene che i progetti sono più avanzati – Kenya e Repubblica del Congo – sembrano però esserci molti ritardi, secondo l’indagine.
«L’analisi dei dati in Kenya mostra che l’Eni non è riuscita a raggiungere nemmeno un quarto dei suoi obiettivi di produzione per il 2023, mentre nella Repubblica del Congo i progetti dell’Eni sono fermi allo stadio pilota da più di 18 mesi», spiegano da T&E.
In particolare, in Kenya i dati doganali analizzati da T&E nel periodo gennaio-novembre 2023, indicano che sono state spedite dal Kenya in Italia 7.348 tonnellate di olio di ricino, il che suggerisce che Eni avrebbe esportato appena il 24,5% delle 30.000 tonnellate/anno inizialmente pianificate per il 2023 (poi ribassate a 20mila t/a), puntando a 200mila t/a nel 2026.
In risposta alle domande poste dal team investigativo di Transport & Environment, Eni però «ha rifiutato di fornire cifre sui volumi di produzione spediti dal Kenya in Italia nel 2023».
Al contempo le testimonianze degli agricoltori kenioti, raccolte da T&E, mostrano come l’azienda abbia appaltato la semina e il raccolto delle colture a una complessa rete di intermediari e cooperative, ma in assenza di un supporto adeguato e a causa della peggiore siccità degli ultimi 40 anni – che arriva sull’onda della crisi climatica in corso, alimentata dai combustibili fossili – tanto i raccolti quanti i ricavi degli agricoltori «sono stati gravemente colpiti».
In Congo la situazione non sembra molto migliore, dato che il flusso di olio vegetale dal Paese centrafricano verso l’Italia non è ancora iniziato. Gli obiettivi di produzione di Eni in Congo sono solo leggermente meno ambiziosi rispetto al Kenya: 170.000 tonnellate all’anno previsti dal 2026, ma dopo 18 mesi di fase pilota nessun olio vegetale risulta essere stato prodotto, secondo quando emerso dall’indagine ambientalista. Nel merito, Eni ha comunicato a T&E che «le attività sono in preparazione per la stagione agricola 2024».
«Nel discorso di presentazione del Piano Mattei, la premier Meloni ha esplicitamente fatto riferimento al progetto di Eni in Kenya, che dovrebbe arrivare a coinvolgere 400.00 agricoltori locali – dichiara Carlo Tritto, policy officer per T&E Italia – Le ricerche sul campo mostrano come tanti di questi agricoltori starebbero già abbandonando le coltivazioni di Eni poiché non profittevoli. La multinazionale italiana vuole arrivare a importare 700mila tonnellate all’anno dagli agri-feedstock africani nei prossimi anni, ma lo scorso anno ha raccolto poco più di 7mila tonnellate dai suoi progetti più avanzati. Difficile non interrogarsi sulla solidità della sua strategia in Africa, così come sugli orizzonti di sviluppo paventati dal governo italiano».
In risposta alle domande di T&E, Eni ha negato di aver importato dall’Africa meno di quanto annunciato e ha sottolineato i «miglioramenti attesi sui rendimenti agricoli» con l’introduzione di nuove varietà vegetali. Tuttavia, le testimonianze dei partner del progetto e di esperti dirigenti agricoli kenioti sollevano dubbi sulla possibilità che l’introduzione di nuove varietà sia risolutiva dei problemi strutturali che il progetto ha incontrato finora.
In attesa che queste prospettive possano misurarsi con le performance raccolte sul campo, resta comunque apertissimo l’enorme divario tra gli investimenti promossi da Eni in Africa sul fronte dei combustibili fossili e quelli sui biocarburanti.
«A fronte dei 25 miliardi di euro che l’azienda intende destinare nel quadriennio 2023-2026 per nuove esplorazioni e per lo sviluppo di nuovi progetti, nonché per mantenere le attività estrattive esistenti, sono 3,4 invece i miliardi di euro – concludono da T&E nel merito – che saranno spesi nello stesso periodo per sviluppare la capacità di produzione di biocarburanti».