Per l'assessora Monni «il punto è governare queste trasformazioni»

Dopo il fotovoltaico, gli agricoltori di Coldiretti Toscana dicono no anche all’eolico

La confederazione si dichiara «assolutamente non contraria alle rinnovabili», lamenta i danni da crisi climatica ma vuole fermare i nuovi progetti

[28 Febbraio 2024]

Mentre lamentano danni da crisi climatica per oltre 6 miliardi di euro all’anno a livello nazionale, gli agricoltori riuniti in Coldiretti continuano a portare avanti la loro battaglia contro gli impianti necessari a produrre energia rinnovabile, indispensabile proprio alla lotta contro la crisi climatica in corso.

Accade anche in Toscana, dove la presidente regionale della Coldiretti – Letizia Cesani – si è scagliata contro i pannelli fotovoltaici sin dal suo insediamento nell’agosto scorso. Una retorica che oggi coinvolge espressamente anche i progetti eolici.

«Sono oltre cento – dichiarano dalla Coldiretti regionale – i progetti dei player energetici per realizzare nelle campagne della nostra regione campi solari mangia suolo e parchi eolici il cui impatto è destinato a stravolgere per sempre la cartolina planetaria della Toscana felix».

A partire da questi presupposti, gli agricoltori chiedono alla Regione Toscana e al Governo di «fermare, prima che sia troppo tardi, la corsa senza freni alle rinnovabili».

Questo in un territorio che nel 2022 (ultimo anno censito dal rapporto Comuni rinnovabili di Legambiente) ha visto installare appena 105 MW di nuovi impianti sui 3,4 GW entrati in esercizio in Italia e i 12 GW/anno richiesti a livello nazionale per rispettare gli obiettivi di decarbonizzazione.

«Non siamo assolutamente contrari alle fonti rinnovabili – si affretta a precisare Cesani – e lo dimostra il nostro sostegno ai bandi agrisolari per installare il fotovoltaico su stalle e fabbricati, ma siamo assolutamente contrari a tutti quei progetti che divorano la possibilità di coltivare e pascolare o che stravolgono il paesaggio, che per una regione come la Toscana è una risorsa preziosa al pari del cibo. Serve una mappatura delle aree dove queste infrastrutture sono possibili e dove non possono invece essere costruite».

Eppure tecnologie come l’agrivoltaico permettono già di unire con successo la coltivazione dei campi coi pannelli fotovoltaici a terra, con mutui benefici: ad esempio l’ombra generata dai pannelli fotovoltaici riduce la temperatura del suolo e il fabbisogno idrico per le colture, e contemporaneamente l’agricoltore può usare e/o vendere l’energia rinnovabile che produce.

Guardando invece all’eolico, che ha ovviamente ricadute sull’ambiente come ogni altra tecnologia umana, secondo Arpat e Università di Firenze l’impatto sul paesaggio rientra tra gli «elementi talvolta esagerati e non in grado di giustificare un rallentamento nella corsa verso la transizione energetica».

Ma l’aspetto della transizione energetica più avversato dalla Coldiretti Toscana sembra muoversi sotto il profilo economico: «Ad inghiottire l’agricoltura toscana sono molto spesso i profitti assicurati dalle compagnie energetiche per l’affitto dei terreni o per l’acquisto, che sfruttano la fragilità di un settore che non sempre riesce a garantire un adeguato livello di reddito e sostenibilità economica alle imprese».

Se questo è il problema, non è chiaro però perché non si insista sulla necessità di un giusto prezzo per i prodotti agroalimentari – in molti casi gravemente sottopagati – anziché scagliarsi su imprese che offrono la possibilità di un reddito alternativo agli agricoltori.

A maggior ragione se – come ricordato dalla confindustriale Elettricità futura nei giorni scorsi, all’Università di Padova – per realizzare 85 GW di impianti rinnovabili in Italia al 2030 «servono 70-80.000 ettari, che corrispondono allo 0,2% del territorio italiano, che è di 30 milioni di ettari. Se ci si limita al territorio che non ha vincoli, che è un terzo di quello italiano, avremmo bisogno solo dello 0,6% del territorio italiano disponibile».

A fronte di questi dati, secondo Cesani «per raggiungere l’indipendenza energetica diventiamo ancora più dipendenti dall’estero dal punto di vista degli approvvigionamenti alimentari. Si possono ottenere entrambi i risultati ma servono regole e paletti individuando le aree dove questi impianti possono essere realizzati».

Il ministero dell’Ambiente è da mesi al lavoro sul decreto Aree idonee alle rinnovabili (dove per la Toscana si prevedono +4,2 GW al 2030), ma le ultime bozze parlano di un provvedimento che paradossalmente rischia di bloccare il settore.

Anche gli ambientalisti chiedono di finalizzare le Aree idonee, ma partendo dal presupposto di uno sviluppo armonico delle rinnovabili sui territori: «Non si tratta di aggredire il paesaggio, semmai di ripararlo, di ricucirlo – ha osservato nel merito il presidente di Legambiente Toscana, Fausto Ferruzza – di farlo co-evolvere in modo armonico con l’esigenza sacrosanta di decarbonizzare la nostra economia». E permettere anche all’agricoltura di prosperare in modo sostenibile.

«Non sono sufficienti gli impianti sui tetti», conclude nel merito l’assessora all’Ambiente della Regione Toscana, Monia Monni, che afferma di «condividere» le preoccupazioni espresse da Coldiretti Toscana: «Serviranno impianti fotovoltaici a terra, pale eoliche, centrali idroelettriche e geotermiche. E realizzarle certamente cambierà il nostro paesaggio, ma senza questa trasformazione alla lunga questo patrimonio meraviglioso cambierà inesorabilmente fino ad andare perso. Il punto è governare queste trasformazioni. Abbiamo chiesto al Governo di fornirci un obiettivo di produzione da fonti rinnovabili da installare, lasciando che siano le Regioni, assieme ai Comuni, a valutare la qualità progettuale e a decidere dove farlo. Ma il Governo non ci ha ascoltato, scegliendo la strada più accentratrice e meno condivisa: si è arrogato la decisione di identificare le aree idonee, senza peraltro averle ancora rese note, generando quindi un vuoto di competenze e strumenti che spiana la strada ad avventurieri e speculatori. Non solo questo provocherà danni al territorio, ma diffonderà una percezione ostile nei confronti della conversione ecologica, che potrebbe mettere seriamente in discussione gli obiettivi da raggiungere».