Il potere biologico della creatività per la sopravvivenza delle specie
È indispensabile negli animali che hanno un cervello molto evoluto e che socialmente si trovano ad affrontare dei frequenti cambiamenti, ai quali si devono adattare repentinamente
[6 Marzo 2024]
Secondo una prospettiva evoluzionistica darwiniana, si può parlare di potere biologico della creatività per la sopravvivenza delle specie.
In sostanza, senza creatività la vita degli esseri viventi sarebbe veramente difficile e tutti correrebbero il pericolo di estinguersi. Allora la domanda è: come mai gli insetti, che non manifestano mai dei comportamenti creativi, ma i cui comportamenti sono assolutamente ripetitivi e istintivi, riescono a sopravvivere molto bene nel loro ambiente e a riprodursi senza problemi?
La risposta è che gli insetti non hanno bisogno di creatività, sono totalmente privi di stati emozionali e di sentimenti; fondamentalmente le loro condizioni ambientali rimangono sempre le stesse, consentendogli di sopravvivere senza la necessità di nessun cambiamento comportamentale, soprattutto nel contesto sociale.
Le formiche si comportano da milioni di anni sempre allo stesso modo, mentre l’uomo assolutamente no: in brevissimo tempo, poco più di due milioni di anni, si è evoluto e da Homo habilis è diventato Homo sapiens.
In sostanza la creatività è indispensabile solo negli animali che hanno un cervello molto evoluto e che socialmente si trovano ad affrontare dei frequenti cambiamenti, ai quali si devono adattare repentinamente.
È ovvio che in questi casi non è necessario che tutti i membri di una società siano altamente creativi e allo stesso livello. Basta che lo sia qualcuno, che poi riesce a diffondere nel suo gruppo di appartenenza tutte le sue scoperte utili a tutta la comunità.
Il fatto che l’uomo sia riuscito a sopravvivere e ad arrivare fino a oggi lo si deve, appunto, a qualcuno che prima di noi uomini contemporanei ha saputo trovare creativamente delle alternative per il superamento delle difficoltà della nostra esistenza.
Alcuni esempi: per il procacciamento del cibo non abbiamo avuto più bisogno di essere dei cacciatori-raccoglitori come lo erano i nostri antenati (abbiamo creato le monoculture, gli allevamenti intensivi degli animali domestici, i supermercati e altre filiere alimentari); per viaggiare il più velocemente possibile abbiamo costruito gli aerei; per diffondere più velocemente le informazioni abbiamo saputo sfruttare bene il linguaggio articolato, la semantica, la scrittura, i computer eccetera; per evitare disastri naturali, come i terremoti abbiamo costruito edifici antisismici; per evitare infezioni mortali abbiamo scoperto gli antibiotici e così via di seguito.
È stato sufficiente che poche persone o un gruppo di persone con un’elevata genialità e cultura abbiano creato tutti questi mezzi, per superare le nostre difficoltà. Persino in economia è andata in questo modo. Tra noi uomini si è stabilito un accordo, che abbiamo condiviso intenzionalmente: si è stabilita una convenzione, dando al denaro un valore oggettivo e autoreferenziale, altrimenti sarebbe diventato carta straccia.
Questo, ovviamente, non vale per gli animali, che non utilizzano il denaro. Però utilizzano altri strumenti di scambio, per esempio la condivisione del cibo, la protezione reciproca e la solidarietà sociale.
Aveva ragione lo psicologo Lev Vygotskij quando, all’inizio del secolo scorso, scrisse che la creatività è comunicazione, è informazione. Le creatività individuali spesso diventano collettive e quindi si possono comprendere solo nella loro dimensione sociale e culturale, sebbene le società umane e le loro culture siano diverse tra loro.
Pensiamo a quelle nordiche dell’Europa e confrontiamole con quelle orientali o africane per rendercene conto. In sostanza la creatività può assumere aspetti diversi e conformi ai gruppi in cui si diffonde, alle persone che ne fanno parte; l’importante è che sia innovativa, originale, non convenzionale, appropriata alle circostanze, che sia essenziale e che sia soprattutto fondamentale per la sopravvivenza della comunità o, se vogliamo, per un miglioramento delle condizioni di vita e, perché no, per un appagamento intellettuale ed esistenziale di tutti gli individui che fanno parte di un gruppo.
Pensiamo, per rendercene conto, per esempio, all’arte nell’uomo (pittura, scultura, scrittura, poesia eccetera), ma pensiamo anche al caso di “Imo” (in giapponese vuol dire patata), una famosa scimmia del Giappone (Macaca fuscata) che per la prima volta scoprì l’uso di lavare nella battigia delle patate per liberarle dalla sabbia e per renderle più saporite, data la salinità del mare.
Il fatto straordinario è stato che molte altre scimmie del gruppo cui apparteneva Imo compresero l’utilità del gesto e cominciarono a imitarla. Certo, le scimmie avrebbero potuto sopravvivere anche senza questa scoperta, ma pensiamo però al vantaggio che questo nuovo comportamento ha arrecato a tutta la comunità, velocizzando l’alimentazione, in sostanza facendo sprecare loro meno tempo per l’approvvigionamento degli alimenti.
Le scimmie, come noi esseri umani, oltre a mangiare, devono trovare il tempo per socializzare, per corteggiare, per diffondere il proprio patrimonio genetico, per proteggere la prole eccetera.
Analogamente, noi esseri umani potremmo teoricamente andare da Roma a Milano a piedi, ma pensiamo a quanto sia più utile farlo in aereo o in treno, mezzi che abbiamo costruito principalmente a questo scopo.
Una differenza tra Imo e l’uomo è che forse questa scimmia mentre faceva questa scoperta non si rendeva pienamente conto di quello che stava facendo. In mente non aveva un’intenzionalità specifica, non ne era nemmeno pienamente cosciente.
Però non dobbiamo pensare che quando questo comportamento divenne a tutti gli effetti patrimonio culturale del suo gruppo, Imo non realizzò coscientemente l’importanza del suo gesto, come poi lo compresero tutte le altre scimmie che la imitarono.
Certamente Imo lo fece, come fanno tutti gli animali che hanno un cervello particolarmente evoluto, appunto come quello delle scimmie, che mettono in campo delle scoperte utili a tutti.
La differenza tra la scoperta di Imo e una scoperta umana è sostanzialmente quantitativa, non qualitativa. Nella qualità si sta parlando di uno stesso fenomeno, sebbene quello di Imo fosse a un livello cognitivo inferiore rispetto a quello dei primi ominidi (per esempio la scoperta del fuoco nei nostri lontani antenati).
Però se pensiamo che alcuni scimpanzé sono stati capaci di acquisire il linguaggio dei segni, con cui sono poi riusciti a comunicare a chi glielo aveva insegnato i loro pensieri e i loro desideri (voglio una banana invece di una mela, voglio due penne invece di una, ne voglio una gialla e una verde, eccetera) e se pensiamo che altri scimpanzé sono stati capaci di acquisire il concetto di uguale, di diverso, del più e del meno (il cibo che oggi mi hai dato non è uguale a quello dell’ultima volta, è di meno o è di più) e il concetto di incastro e del prolungamento artificiale di un oggetto (collegare due canne attraverso una scanalatura per renderle più lunghe perché consentano di raggiungere un premio che prima non poteva essere raggiunto con una sola canna), dobbiamo fare molta attenzione a collocare, anche tassonomicamente, questi animali in un mondo a parte, a considerarli cioè biologicamente e cognitivamente inferiori a noi esseri umani.
In realtà non lo sono. Non potranno mai diventare dei geni come Leonardo da Vinci o Michelangelo, questo è ovvio, non potranno mai riscoprire il telegrafo senza fili, come fece per la prima volta Guglielmo Marconi, non potranno mai emozionarsi davanti a un quadro del Caravaggio, in quanto il loro concetto della bellezza, tra l’altro molto soggettivo, non è come il nostro (hanno criteri selettivi della bellezza biologicamente diversi da quelli umani), però, per comunicare tra loro utilizzano dei segnali sonori e comportamentali che a volte sono più sofisticati e più pieni di contenuti dei nostri.
Non solo riescono a segnalare agli altri membri dei loro gruppi un potenziale nemico in avvicinamento, ma da chi è rappresentato (se un leone, un serpente o un elefante), a quale distanza si trova, il suo livello di pericolosità e soprattutto come evitarlo.