I terreni utilizzati per il pascolo possono sia contribuire al cambiamento climatico che combatterlo

Troppo bestiame su un determinato terreno può portare a perdite di carbonio, ma capi adeguati possono aiutare a sequestrare il carbonio

[20 Marzo 2024]

Secondo lo studio “Historical impacts of grazing on carbon stocks and climate mitigation opportunities” pubblicato su  Nature Climate Change da un team di ricercatori dell’Institute of Tibetan Plateau Research dell’Academia cinese delle scienze e del Department of civil and environmental engineering del Massachusetts Institute of Technology (MIT), Quando si parla di cambiamento climatico globale, il pascolo del bestiame può essere una benedizione o una maledizione. Se gestito correttamente, il pascolo può effettivamente aumentare la quantità di carbonio presente nell’aria che viene immagazzinato nel terreno e sequestrato a lungo termine. Ma se c’è troppo pascolo, può verificarsi l’erosione del suolo, e l’effetto netto è quello di causare maggiori perdite di carbonio, in modo che la terra diventa una fonte netta di carbonio, invece che un deposito di carbonio». E lo studio ha scoperto che purtroppo quest’ultimo effetto del pascolo di bestiame è quello attualmente più comune nel mondo.

Lo studio fornisce modi per determinare il punto di svolta tra i due effetti per i pascoli di una determinata zona climatica e tipo di suolo e una stima della quantità totale di carbonio che è stata persa negli ultimi decenni a causa del pascolo del bestiame e di quanto carbonio potrebbe essere rimosso dall’atmosfera se fosse attuata una gestione ottimizzata del pascolo.

Uno degli autori dello studio, Cesar Terrer del MIT e dell’Accademia cinese delle scienze, ricorda che «Questo è stato oggetto di dibattito nella letteratura scientifica per molto tempo. Negli esperimenti generali, il pascolo diminuisce le scorte di carbonio nel suolo, ma sorprendentemente, a volte il pascolo aumenta le scorte di carbonio nel suolo, per questo è concertante. Ciò che accade è che il pascolo potrebbe stimolare la crescita della vegetazione allentando i vincoli legati alle risorse come luce e sostanze nutritive, aumentando così l’apporto di carbonio dalle radici al suolo, dove il carbonio può rimanere per secoli o millenni».

Ma il team sino-statunitense ha scoperto che questo funziona solo fino a un certo punto: dopo un’attenta analisi di 1.473 analisi del carbonio nel suolo provenienti da diversi studi sul pascolo realizzati in molte località in tutto il mondo, è emerso che «Quando si supera una soglia relativa all’intensità del pascolo, o alla quantità di animali che pascolano lì, è quando si inizia a vedere una sorta di punto critico: una forte diminuzione della quantità di carbonio nel suolo – spiega ancora Terrer – Si ritiene che tale perdita sia dovuta principalmente all’aumento dell’erosione del suolo sulle terre denudate. E con questa erosione fondamentalmente si perde molto del carbonio che si è stoccato per secoli».

Gli studi analizzati dal team, sebbene differissero in qualche modo, utilizzavano essenzialmente una metodologia simile: recintare una porzione di terreno in modo che il bestiame non possa accedervi, quindi dopo un po’ di tempo prelevare campioni di terreno dall’area del recinto e da aree vicine comparabili che sono state pascolate e confrontare il contenuto di composti di carbonio.

Ma Terrer spiega che nel nuovo studio «Insieme ai dati sul carbonio nel suolo per gli appezzamenti di controllo e di pascolo, abbiamo anche raccolto una serie di altre informazioni, come la temperatura media annuale del sito, le precipitazioni medie annuali, la biomassa vegetale e le proprietà del terreno. suolo, come il pH e il contenuto di azoto. E poi, ovviamente, abbiamo stimato l’intensità del pascolo: la biomassa fuori terra consumata, perché questo risulta essere il parametro chiave».

Utilizzando modelli di intelligenza artificiale, gli autori del nuovo studio hanno quantificato l’importanza di ciascuno di questi parametri, i fattori che determinano l’intensità – temperatura, precipitazioni, proprietà del suolo – nel modulare il segno positivo o negativo e l’entità dell’impatto del pascolo sulle riserve di carbonio del suolo.

Il principale autore dello studio, Shuai Ren dell’Accademia cinese delle scienze e del MIT, sottolinea che «E’ interessante notare che abbiamo riscontrato che gli stock di carbonio nel suolo aumentano e poi diminuiscono con l’intensità del pascolo, piuttosto che con la risposta lineare prevista».

Dopo aver sviluppato il modello e averlo convalidato, anche confrontando le sue previsioni con quelle basate su principi fisici, i ricercatori lo hanno applicato per stimare gli effetti sia passati che futuri del pascolo di bestiame e Terrer evidenzia che «In questo caso, usiamo il modello per quantificare le perdite storiche di riserve di carbonio nel suolo derivanti dal pascolo. E abbiamo scoperto che negli ultimi decenni a causa del pascolo sono andati perduti 46 petagrammi [miliardi di tonnellate] di carbonio nel suolo, fino a una profondità di un metro». Per fare un confronto: la quantità totale di emissioni di gas serra all’anno provenienti da tutti i combustibili fossili è di circa 10 petagrammi, quindi la perdita derivante dal pascolo equivale a più di 4 anni di tutte le emissioni fossili del mondo messe insieme.

Quello che hanno scoperto i ricercatori cinesi e statunitensi è «Un calo generale delle scorte di carbonio nel suolo, ma con molta variabilità». L’analisi ha mostrato che l’interazione tra l’intensità del pascolo e le condizioni ambientali come la temperatura potrebbe spiegare la variabilità, con una maggiore intensità di pascolo e climi più caldi che comportano una maggiore perdita di carbonio.

Ren fa notare che «Questo significa che i decisori politici dovrebbero tenere conto dei fattori abiotici e biotici locali per gestire i pascoli in modo efficiente. Abbiamo scoperto che, Ignorando interazioni così complesse, l’utilizzo delle linee guida dell’IPCC [Intergovernmental Panel on Climate Change] sottostimerebbe la perdita di carbonio nel suolo indotta dal pascolo di un fattore 3 a livello globale».

Utilizzando un approccio che incorpora le condizioni ambientali locali, il team ha prodotto mappe globali ad alta risoluzione dell’intensità di pascolo ottimale e della soglia di intensità alla quale il carbonio inizia a diminuire molto rapidamente e gli scienziati sono convinti che «Queste mappe fungeranno da importanti parametri di riferimento per valutare le pratiche di pascolo esistenti e fornire indicazioni agli allevatori locali su come gestire efficacemente i loro pascoli».

Utilizzando quella mappa, il team ha stimato la quantità di carbonio che potrebbe essere catturata se tutti i terreni da pascolo fossero utilizzati alla loro intensità di pascolo ottimale e dicono che «Attualmente, circa il 20% di tutti i pascoli hanno superato la soglia, con conseguenti gravi perdite di carbonio. Tuttavia, a livelli ottimali, i pascoli globali sequestrerebbero 63 petagrammi di carbonio». Ren commenta: «E’ incredibile. Questo valore è più o meno equivalente a un accumulo di carbonio di 30 anni derivante dalla ricrescita delle foreste naturali globali».

Naturalmente, nn sarebbe un compito semplice: il team ha scoperto che «Per raggiungere livelli ottimali, circa il 75% di tutte le aree di pascolo necessitano di ridurre l’intensità del pascolo».  Terrer riassume: «Nel complesso, se il mondo riduce seriamente la quantità di pascolo, bisogna ridurre la quantità di carne a disposizione delle persone. Un’altra opzione è spostare il bestiame dalle aree più gravemente colpite dall’intensità del pascolo, ad aree meno colpite. Queste rotazioni sono state suggerite come un’opportunità per evitare diminuzioni più drastiche degli stock di carbonio senza necessariamente ridurre la disponibilità di carne. Questo studio non ha approfondito queste implicazioni sociali ed economiche. Il nostro ruolo è semplicemente quello di indicare quale sarebbe l’opportunità. Dimostra che i cambiamenti nelle diete possono essere un modo efficace per mitigare il cambiamento climatico».

Ben Bond-Lamberty, uno scienziato che si occupa di ecosistema terrestre al Pacific Northwest National Laboratory e che non ha partecipato al nuovo studio, ha commentato su MIT News: «Si tratta di un’analisi rigorosa e attenta che fornisce la nostra migliore visione fino ad oggi sui cambiamenti di carbonio nel suolo dovuti al pascolo del bestiame praticato in tutto il mondo. L’analisi degli autori ci fornisce una stima unica delle perdite di carbonio nel suolo dovute al pascolo e, cosa interessante, dove e come il processo potrebbe essere invertito. Un aspetto interessante di questo lavoro sono le discrepanze tra i suoi risultati e le linee guida attualmente utilizzate dall’IPCC, linee guida che influenzano gli impegni dei Paesi, i prezzi del mercato del carbonio e le politiche. Tuttavia, come notano gli autori, la quantità di carbonio che i suoli storicamente pascolati potrebbero essere in grado di assorbire è piccola rispetto alle emissioni umane in corso. Ma ogni piccola cosa aiuta!»

Anche secondo Jonathan Sanderman, direttore del programma carbonio del Woodwell Climate Research Center di Falmouth, che non ha partecipato allo studio, «Una migliore gestione dei terreni può essere un potente strumento per combattere il cambiamento climatico. Questo lavoro dimostra che, sebbene, storicamente, il pascolo abbia contribuito in larga misura al cambiamento climatico, esiste un potenziale significativo per ridurre l’impatto climatico del bestiame ottimizzando l’intensità del pascolo per ricostruire il carbonio perduto nel suolo».

Terrer conclude: «Abbiamo avviato un nuovo studio, per valutare le conseguenze dei cambiamenti nelle diete per gli stock di carbonio. Penso che questa sia la domanda da un milione di dollari: quanto carbonio potremmo sequestrare, rispetto al business as usual, se le diete passassero a più vegane o vegetariane? Le risposte non saranno semplici, perché il passaggio a diete basate maggiormente sui vegetali richiederebbe più terreni coltivati, che possono anche avere impatti ambientali diversi. I pascoli occupano più terra delle colture, ma producono diversi tipi di emissioni. Qual è l’impatto complessivo del cambiamento climatico? Questa è la domanda che ci interessa».