Riceviamo e pubblichiamo

L’orso bruno marsicano deve cibarsi solo di risorse “naturali”?

La Società italiana per la storia della fauna risponde al Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise

[8 Maggio 2024]

Il Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise ha recentemente contestato l’utilità del foraggiamento in supporto degli orsetti orfani di Amarena, svolto questo inverno da un privato cittadino.

È da premettere che l’autore del gesto non è un “passante per caso” ma si tratta di uno zoologo, che segue da anni sul campo – con passione e competenza – le vicende dell’orso bruno marsicano e che ha ritenuto, a fronte dell’apparente inerzia degli Enti preposti, di intervenire personalmente.

Ora, se da un lato è comprensibile la preoccupazione dell’Ente in merito a un possibile effetto emulativo, con conseguenze pericolose per gli stessi orsi qualora tali interventi venissero condotti da cittadini in buona fede ma privi di conoscenze scientifiche, dall’altro, conoscendo la realtà del Parco dalla seconda metà degli anni Settanta, riteniamo doveroso portare un contributo alla discussione.

Richiamare, come fa l’Ente, le esperienze messe in campo dal Parco riducendole a un anno e mezzo (1985-86), è del tutto riduttivo.

Infatti le campagne alimentari sono state attuate fin dal lontano 1969 e sono proseguite almeno fino al 2011 mentre i punti di alimentazione temporanei sono stati eseguiti per tutti gli anni Ottanta e fino al 1994.

Detti siti (carnai, carotai ecc.) venivano predisposti non solo nei periodi pre e post ibernazione, ma ogni qualvolta se ne verificava l’occasione e la disponibilità di risorse. Bovini, equini e selvatici come i cervi, vittime di incidenti o di patologie non trasmissibili all’orso venivano, indipendentemente dal periodo dell’anno, messi a disposizione della fauna del Parco.

Appare evidente che essendo quest’ultima composta da animali opportunisti fosse del tutto normale l’utilizzo anche da parte di cinghiali, volpi, lupi, cervi ecc. Ciò non vuol dire che non siano stati utili per l’orso.

Oltretutto, andare a pescare tre rapporti di controllo dei siti tutti eseguiti tra ottobre e novembre 1983 per motivare una presunta inefficacia di tali pratiche è, quantomeno, fuorviante.

Esiste tra l’altro un’ampia documentazione fotografica della presenza dell’orso sui siti di alimentazione. Significative, a tal proposito, le foto realizzate dal capoguardia Giuseppe Di Nunzio.

Per quanto riguarda l’attività di alimentazione supplementare questa venne ripresa nel 1999 con un bando quinquennale (1999-2003), alla cui scadenza fu avviato un piano di monitoraggio sulle piante da frutto selvatiche (meli, peri e susini) e si decise di riavviare la coltivazione, dietro incentivo, di piccoli campi agricoli.

Lo stesso accadde nel 2008 con il progetto di campagna alimentare “Un orso per amico” in collaborazione con l’associazione “Montagna grande onlus”. L’anno dopo venne pubblicato un bando triennale (2009-2011) per la semina di essenze appetite dall’orso e venne anche realizzato un campo sperimentale a Pescasseroli, utilizzando il “recinto Finamore” una tecnica costruttiva che consentiva l’accesso al coltivo (carote, mais ecc.) esclusivamente al plantigrado, impedendolo ad altri potenziali fruitori come cervi e cinghiali.

Nel 2010 poi la realizzazione di un frutteto nel territorio di Bisegna con un finanziamento di 10.000 euro nell’ambito del progetto “La mela dell’orso” sostenuto da Federparchi ed Enel.

Nel 2012 infine, in collaborazione con le Associazioni, Montagna Grande e Orso and Friends, vennero recuperati frutteti abbandonati dagli agricoltori, riattivando circa 470 piante di melo e pero selvatico e sorbo e piantate ex novo 100 piante di ramno, corniolo ed uva spina.

Ma, proprio in quegli anni, l’arrivo al Centro Studi dei ricercatori della Sapienza di Roma produsse un radicale cambio di paradigma: l’orso bruno marsicano doveva alimentarsi esclusivamente con risorse “naturali” modificando, dall’oggi al domani, abitudini consolidate in secoli di frequentazione con l’uomo e le sue attività.

Nel frattempo, nel 2007, il Corpo Forestale dello Stato aveva effettuato uno studio[1] sulla fruttificazione delle principali risorse trofiche per l’orso, faggiola e ghianda.

Lo stesso PATOM (Piano di azione nazionale per la tutela dell’orso bruno marsicano) nel prendere atto dell’importanza dei dati così acquisiti auspicava “un monitoraggio pluriennale della produzione e quindi della fluttuazione della produzione di ghianda e faggiola, parallelamente al monitoraggio delle femmine con piccoli dell’anno, potrebbe quindi anche permettere di valutare quanto la produttività della popolazione di orso sia correlata all’abbondanza di queste risorse”.

Ma a oggi non risulta che tali studi siano presi in considerazione dal Parco, che continua ad affermare che non esiste un problema di risorse trofiche per l’orso, neanche nelle annate di scarsa o nulla fruttificazione della faggiola, l’alimento principale per l’orso.

Da qui le pratiche di dissuasione poste in essere nei confronti degli individui, soprattutto giovani e femmine con i piccoli, che nelle annate di scarsa produttività di frutta selvatica e faggiola, tendono a frequentare maggiormente i centri abitati.

Una modalità che noi riteniamo estremamente pericolosa per gli orsi, perché li costringe a spostarsi di paese in paese esponendosi così a rischi di ogni genere.

Un esempio valga per tutti: Amarena, che dopo il parto quadrigemino era diventata un’attrazione tanto che le era consentito di frequentare in tranquillità i centri del Parco, alimentandosi senza problemi, è riuscita a crescere e a portare oltre il secondo anno tutti e quattro i piccoli, una performance eccezionale per un plantigrado.

Ma il successivo parto di “soli” due piccoli non le ha conferito l’attenzione e, di conseguenza, l’immunità di cui aveva goduto in precedenza, con la conseguenza che gli spostamenti a cui è stata costretta hanno avuto il drammatico epilogo che tutti conosciamo.

Ma la posizione del Parco continua a rimanere ferma sulla inesistenza di un problema alimentare con affermazioni che hanno più del fideistico che dello scientifico come, ad esempio: “inoltre, come si può parlare di carenze alimentari se tra tutti gli orsi che monitoriamo o che abbiamo catturato, nonché tutti quelli oggetto di foto o video che riempiono i social, non ce n’è uno denutrito?”.

Ora, per sostenere una correlazione tra orsi catturati e orsi denutriti bisognerebbe presentare a corredo uno studio che incroci epoca di cattura, età e genere dei soggetti, perché è chiaro, ad esempio, che un maschio adulto ha più possibilità di un giovane o di una femmina di competere per le fonti alimentari.

Altrettanto disinteresse si deve rilevare in merito alla competizione alimentare nei confronti dell’orso da parte di ungulati che hanno la stessa dieta (cervi e cinghiali), presenti in gran numero nel territorio del Parco. Ma anche su questo tema non sono noti studi effettuati dall’Ente che pure è dotato di un Servizio scientifico che dovrebbe essere a ciò preposto.

Così come non si può scartare l’ipotesi che a contribuire al 40% di decessi dovuti a cause ignote (dati del Parco su 112 decessi censiti tra il 1971 e il 2015), possa esserci anche la malnutrizione.

Il Giappone, ad esempio, che vanta consistenti popolazioni di orso bruno (Ursus arctos lasiotus) oltre 10.000 individui nella sola isola di Hokkaido e di orso nero asiatico (Ursus tibetanus japonicus) in tutto il territorio altri e 10.000 esemplari, oltre a istituire banche genetiche per attenuare possibili rischi futuri, studiano come prevedere la presenza degli orsi nei centri abitati in conseguenza del livello di fruttificazione di alcune essenze appetite dai plantigradi[2], tutto ciò in funzione di una mitigazione di eventuali conflitti.

Altrettanto fideistica appare l’affermazione “Siamo sicuri che gli orsi avrebbero superato i mesi invernali anche senza cibo supplementare”. Infatti dopo aver tentato inutilmente, per quattro giorni, di catturare i piccoli si è deciso di lasciarli al loro destino premettendo, a futura memoria, che il 50% dei piccoli normalmente non sopravvive.

A quando uno studio sulle cause di questa mortalità? Infatti chi può escludere che la ridotta produzione di latte da parte di femmine sottoalimentate non concorra, in quota parte, alla citata percentuale?

I mantra ora di moda negli ambienti del Parco recitano “non dobbiamo interferire con la Natura” oppure “la Natura deve fare il suo corso”, enunciazioni queste ultime che possono essere senz’altro condivisibili a fronte di una popolazione di diverse migliaia di individui, ma con un nucleo superstite di appena una cinquantina di esemplari, di una sottospecie unica al mondo minacciata di estinzione, appare un atteggiamento irresponsabile.

Noi continueremo a sostenere con fermezza che non possiamo permetterci di perdere anche un solo esemplare e che la dissuasione deve essere applicata principalmente nei confronti dell’uomo e dei suoi comportamenti errati.

Così come ribadiamo la necessità di istituire una banca genetica dell’orso bruno marsicano che consenta, in caso di eventi drammatici che mettano in pericolo la residua popolazione, di ricostruire nuclei vitali della sottospecie.

Proposta quest’ultima già contestata dall’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) che, al contrario, suggerisce di “importare” orsi della sottospecie europea cancellando in tal modo un esperimento evolutivo che la Natura sta conducendo da millenni. Una ipotesi a nostro avviso “irricevibile” alla luce di una corretta politica di conservazione.

Per concludere è assolutamente vero che sul tema della integrazione alimentare esistono posizioni diverse ed esperienze contrastanti, ma non si comprende perché il Parco prenda per buone solo quelle negative a favore delle sue tesi.

In appendice riportiamo alcuni lavori che, al contrario, valutano positivamente questa pratica e citiamo il brano di un recente studio, che ha coinvolto esperti di orsi di diverse nazionalità, e che sembra convalidare quanto attuato a favore dei piccoli di Amarena:

Se l’alimentazione deviata deve essere utilizzata per la mitigazione dei conflitti tra uomo e orso, una revisione completa della letteratura suggerisce che la massima efficacia con effetti collaterali minimi si ottiene con il posizionamento temporaneo, stagionale e al bisogno di alimenti naturali (Taylor & Phillips 2019). L’impiego di questa strategia incoraggia lo sfruttamento delle fonti alimentari naturali e scoraggia la dipendenza da alimenti supplementari di origine antropica.”[3]

 di Corradino Guacci, presidente della Società italiana per la storia della fauna

Bibliografia

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GarsheLis D.L., Baruch-Mordo S., Bryant A., Gunther K.A., Jerina K. (2017) Is diversionary feeding an effective tool for reducing human-bear conflicts? Case studies from North America and Europe. Ursus, 28(1), pp. 31-55.

Mansfield S. A. and L. L. Rogers (2005) Behavior, wild diets, and weight gains of supplementally-fed black bears in northeastern Minnesota. [Poster]. 15th Eastern Black Bear Workshop, Tallahassee, FL. Apr 2005.

Mansfield S. A. (2007) Effects of supplemental food on weights and reproductive success of black bears in northeastern Minnesota. Unpublished master’s thesis. Antioch University New England, Keene, New Hampshire. 49pp. plus Appendix.

Rogers L.L. (1983) Effects of food supply, predation, cannibalism, parasites, and other health problems on black bear populations. In: F. Bunnell, D.S. Eastman & J.M. Peek (eds.) “Symposium in Natural Regulation of Wildlife Populations”, Forest, Wildlife, and Range Experiment Station Proceedings, University of Idaho, USA, pp. 194-211.

Rogers L.L. (1987) Effects of food supply and kinship on social behavior, movements, and population growth of black bears in northeastern Minnesota. Wildlife Monographs, 97, pp. 1-72.

Rogers L. L. and S. A. Mansfield (2011) Can food lead black bears out of trouble? [invited talk]. 20th International Conference on Bear Research & Management, Ottawa, Ontario. July 17-23, 2011.

Rogers L. L. and S. A. Mansfield (2011) Behavior of supplementally-fed black bears in Eagles Nest Township, Minnesota. [Poster]. 20th International Conference on Bear Research & Management, Ottawa, Ontario. July 17-23, 2011.

Rogers L. L. (2011) Does diversionary feeding create nuisance bears and jeopardize public safety? Human-Wildlife Interactions. 5(2): 287-295.

Roger A. Powell, Susan A. Mansfield and Lynn L. Rogers (2022) Comparison of behaviors of black bears with and without habituation to humans and supplemental research feeding. Journal of Mammalogy Vol. 103, Issue 6, December 2022, pages 1350-1363

Steyaert S.M., Kindberg J., Jerina K., Krofel M., Stergar M., Swenson J.E., Zedrosser A. (2014) Behavioral correlates of supplementary feeding of wildlife: Can general conclusions be drawn? Basic and Applied Ecology, 15, pp. 669-676.

Stringham Stephen F., Lynn L. Rogers, Ann Bryant (2017). Semantic vs. Empirical Issues in the Bear Diversionary Baiting Controversy. Environment and Ecology Research, 5, 436 – 442. doi: 10.13189/eer.2017.050604.

Stringham S.F., Bryant A. (2015) Distance-dependent effectiveness of diversionary bear bait sites. Human-Wildlife Interactions, 9(2), pp. 229-235.

Stringham S.F., Bryant A. (2016) Commentary: Distance-dependent effectiveness of diversionary bear bait sites. Human-Wildlife Interactions, 10, pp. 128-131.

Taylor J.D. & Phillips P. (2019). Black bears. Wildlife Damage Management Series. U.S. Department of Agriculture Animal and Plant Health Inspection Service: Wildlife Services.

Ziegltrum G.J. (2004) Efficacy of black bear supplemental feeding to reduce conifer damage in western Washington. Journal of Wildlife Management, 68, pp. 470-474.

Ziegltrum G.J. (2008) Impacts of the black bear supplemental feeding program on ecology in western Washington. Human-Wildlife Conflicts, 2, pp. 153-159.

 

[1] Potena G. et al.  Fruttificazione del faggio (Fagus sylvatica) e delle querce (Quercus cerris, Quercus pubescens) nel Parco nazionale d’Abruzzo e nella zona di protezione esterna nel 2007, Corpo Forestale dello Stato, Ufficio Foreste Demaniali di Castel di Sangro, L’Aquila.

[2] Daisuke Fujiki (2017) Can frequent occurrence of Asiatic black bears around residential areas be predicted by a model-based mast production in multiple Fagaceae species? Journal of Forest Research, Volume 23, 2018 – Issue 5.

Daisuke Fujiki (2021) A model to predict the occurrence of Asiatic black bears at the municipal level using mast production data, Ursus, 2021(32e6) :1-11 (2021).

[3] Miha Krofel, Marcus Elfström, Hüseyin Ambarlı, Giulia Bombieri, Enrique González-Bernardo, Klemen Jerina, Andrés Laguna, Vincenzo Penteriani, James P. Phillips, Nuria Selva, Seth M. Wilson, Alejandra Zarzo-Arias, Claudio Groff, Djuro Huber, Alexandros A. Karamanlidis, Yorgos Mertzanis, Eloy Revilla, Carlos Bautista (2020), Human–Bear Conflicts at the Beginning of the Twenty-First Century: Patterns, Determinants, and Mitigation Measures, in “Bears of the world” a cura di Vincenzo Penteriani e Mario Melletti, cap. 15, parte III, Human-Bear Coexistence, Cambridge University Press. “If diversionary feeding is to be used in HBC mitigation, a comprehensive review of the literature suggest that the highest efficacy with minimal side effects is through temporary, seasonal, and as-needed placement of natural foods (Taylor & Phillips 2019). Employing this strategy encourages exploitation of natural food sources first and discourages dependence on anthropogenic supplementary foods”.