Il dramma del lago Ciad che evapora, ultima spiaggia per 15 milioni di rifugiati climatici
[20 Dicembre 2013]
Il lago Ciad rischia di scomparire dopo aver perso i tre quarti della sua superficie, passando dagli oltre 26.000 km2 degli anni ’60 ai meno di 5.000 km2 di od oggi, e intanto le sue sponde si sono trasformate in una delle aree a massima concentrazione di rifugiati climatici ed ospitano circa la metà dei 30 milioni di abitanti del bacino lacustre.
In un intervista concessa recentemente all’agenzia ufficiale cinese Xinhua, Boubakary Mana, della segreteria esecutiva della Commission du Bassin du Lac Tchad (Cblt), spiega: «E’ anche una zona prediletta dai rifugiati climatici. Oggi, nel lago Ciad si parla di una popolazione di 30 milioni. Direi che la metà sono certamente dei rifugiati climatici. Anche gli altri sono più o meno colpiti nelle loro attività. La popolazione lavora nell’agricoltura, erano pescatori e sono diventati allevatori».
La Cblt è stata istituita nel 1964 ed ha sede a N’Djamena, la capitale del Ciad, si tratta di una organizzazione alla quale partecipano Camerun, Libia, Niger, Nigeria, Repubblica Centrafricana e Ciad, in qualche modo interessati dal quello che ormai era il grande bacino del Lago Ciad.
I 30° milioni di persone che, nei diversi Paesi, vivono nell’area del lago in continuo regresso sono sotto costante minaccia di siccità e quindi di sussistenza.
Mana, coordinatore del progetto di deviazione delle acque del fiume ‘Oubangui verso il lago Ciad, è convinto che si debba parlare di rifugiati climatici perché il global warming è una drammatica realtà della regione: mentre il lago si riduceva ad un quinto della sua superficie originaria, «Le persone hanno naturalmente lasciato la zona; altre sono venute, per esempio gli allevatori alla ricerca di pascolo. Ed abbiamo persone che hanno completamente cambiato professione. Erano pescatori ed oggi sono diventati dei semplici artigiani o dei commercianti che portano i pesci alla città N’Djamena o anche alla città di Maiduguri in Nigeria».
Il rappresentante della Banca africana di sviluppo in Camerun, Racine Kane, evidenzia i gravi rischi di una situazione ormai fuori controllo: «Il bacino del lago Ciad è caratterizzato da un degrado degli ecosistemi produttivi e delle risorse naturali e tutti i Paesi sono toccati da gradi diversi di erosione, insabbiamento, siccità, desertificazione e dagli effetti delle azioni antropiche. Secondo diversi studi, il lago Ciad e le zone umide adiacenti classificate come zone ecologiche di importanza internazionale potrebbero scomparire a medio termine se non verranno prese misure energiche di protezione per invertire la tendenza già catastrofica». La Bad è a capo della cordata di finanziatori della Cblt per la salvaguardia degli ecosistemi del bacino del Ciad e dopo un primo finanziamento di 45 milioni di euro nel 2004 per il Programme de développement durable du lac (ancora in corso) ha annunciato lo stanziamento di altri 180 milioni di euro per il 2014 per il Plan d’investissement quinquennal 2013-2017 della Cblt.
Ma Kane ha deplorato l’inquietante calo della produzione alieutica in quel che resta del lago: «Più del 90% delle specie sono sovra-sfruttate, i pascoli sono molto degradati, provocando un deficit di materia secca ed una diminuzione considerevole della taglia del bestiame. A livello ambientale e sociale, il degrado sempre più avanzato delle foreste, la salinizzazione crescente dei suoli, la proliferazione di vegetazione acquatica, la forte concentrazione di popolazione intorno al lago e alle zone umide esacerbano lo sfruttamento anarchico delle risorse ed attizzano i conflitti sociali.
Nonostante questo dramma ambientale e sociale, durante il meeting della Cblt che si è tenuto da 9 all’11 dicembre a Yaoundé, in molti hanno chiesto che il lago Ciad venga inserito nel Patrimonio culturale mondiale dell’Unesco e designato a riserva della biosfera Unesco, ma il premier del Camerun Philemon Yang ha preferito porre l’attenzione su un’altra cosa: «Il problema della sicurezza attorno al bacino del lago Ciad è preoccupante, tenuto conto delle numerose catture di ostaggi e degli atti di banditismo avvenuti nella regione L’operatività dal Force mixte multinationale de sécurité du Bassin du lac Tchad potrebbe essere una soluzione al riguardo». Ma c’è anche un altro problema: Yang ha anche sottolineato l’urgenza di riprendere i lavori per la demarcazione delle frontiere internazionali nell’area, «Per permettere di risolvere definitivamente i problemi legati alla determinazione delle frontiere nel lago CIad». Insomma: le risorse scarseggiano, i profughi ambientali aumentano, decidiamo a chi toccano.
La Cblt, con l’aiuto della Bad e di altri donatori, si è impegnata a concretizzare nei prossimi anni un progetto per trasferire acqua dalla Repubblica Centrafricana per risolvere il problema dell’essiccamento del lago Ciad ed una tavola rotonda di donatori per finanziare questo progetto è prevista per l’inizio del 2014 a Roma, ma intanto la Repubblica Centrafricana è diventata impraticabile dopo il colpo di stato dei ribelli della Séléka che poi si sono ammutinati anche con il nuovo governo che avevano portato al potere. Il nord del Paese è sconvolto da scontri ed in mano alle milizie e nel resto del Paese gli eccidi tra cristiani e musulmani hanno costretto la Francia ad un nuovo intervento armato in Centrafrica.
Inoltre il coordinatore di questo grande progetto, Boubakary Mana, avverte che «Per quanto riguarda progetto di trasferimento delle acque, i consulenti ci hanno detto che potrà aumentare il lago Ciad di poco più di un metro, dunque arriveremmo con questo a poco più di 5.500 km2. Con il miglioramento della pluviometria, alcuni dicono che si potrebbe arrivare a circa 7.000 – 8.000 km2. Quindi saremmo lontani dai 12.000 – 13.000 km2 che sarebbero ampliamente sufficienti per poter pensare alle azioni di sviluppo».
Intanto il lago evapora, l’ambiente muore e i profughi climatici crescono.