Poche luci e molte ombre
Certificazione energetica degli edifici, qual è la situazione in Italia
Il Comitato Termotecnico Italiano (CTI) ha presentato lo stato dell’arte nel corso di un evento organizzato al Mise
[23 Dicembre 2013]
“La promozione dell’efficienza energetica del patrimonio immobiliare nazionale attraverso il completamento e il miglioramento dello strumento normativo della certificazione energetica”. Se ne è discusso al Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) In occasione della presentazione del Rapporto 2013 sullo Stato di Attuazione della Certificazione Energetica degli Edifici- redatto dal Comitato Termotecnico Italiano (CTI)- per quanto riguarda i risultati conseguiti nel 2012.
Nel corso dell’appuntamento -moderato dal Presidente del CTI, Cesare Boffa – sono stati evidenziati gli obiettivi raggiunti a livello nazionale non solo in termini di riduzione strutturale dei consumi energetici ma anche di stimolo alla crescita economica, di spinta all’utilizzo di tecnologie e materiali avanzati, di creazione di nuove possibilità occupazionali per gli specialisti del settore.
«In questo quadro –si legge sul sito del MISE- la pubblicazione, nel corso del 2013, della legge n. 90 che recepisce la Direttiva 31/2010 (EPBD) potenzia, insieme ad altre misure approvate dal governo, gli strumenti di sostegno fiscali alla promozione dell’efficienza energetica degli edifici».
L’impegno assunto dal MISE è di continuare anche nei prossimi mesi la collaborazione con gli enti tecnici e scientifici del settore per armonizzare la legislazione nazionale e regionale e per rendere operative tutte le misure normative, puntando a dare più respiro al mercato della certificazione energetica.
«Il Rapporto 2013 –ha detto Sara Romano, Direttore Generale per l’Energia Nucleare, le Energie Rinnovabili e l’Efficienza Energetica del MISE, nella presentazione dello studio- costituisce un indispensabile strumento per migliorare l’informazione sul tema della certificazione energetica e per accrescere la consapevolezza dei vantaggi che offre ai cittadini e alle imprese del settore».
Cercando di districarsi tra gli acronimi che delineano il percorso della certificazione energetica nel nostro paese, AQE (attestato di qualificazione energetica), ACE (attestato di certificazione energetica) e infine l’APE (attestato di prestazione energetica), si evince che il quadro di riferimento non è ancora del tutto definito, a distanza di quattro anni dalla pubblicazione delle Linee guida nazionali.
Nel Rapporto presentato dal CTI emerge tuttavia che la certificazione energetica in Italia ha dato qualche risultato, almeno in termini quantitativi per quanto attiene al numero ufficiale dei certificati emessi, che ha superato i due milioni di unità, e per le decine di migliaia di tecnici certificatori che svolgono, in modo spesso esclusivo, tale attività professionale.
L’analisi condotta dal CTI sull’attuazione della certificazione energetica in Italia è stata svolta tramite un questionario rivolto alle Regioni e, in caso di informazioni mancanti o non trasmesse, i dati sono state ottenuti e/o desunti dai siti ufficiali delle Regioni stesse. I provvedimenti legislativi considerati sono quelli al 30 ottobre 2013.
Un problema che è emerso nella stesura del rapporto, deriva dalla possibilità che è stata riconosciuta alle Regioni e alle Province Autonome (con la cosiddetta Clausola di cedevolezza) di dotarsi di una propria normativa per recepire autonomamente la Direttiva 2002/91/CE sul rendimento energetico nell’edilizia. La clausola di cedevolezza ha determinato come conseguenza una disomogeneità delle procedure a livello regionale, pertanto norme, disposizioni, regole e competenze richieste risultano essere molto differenti da regione a regione, persino con criteri di classificazione e metodologie di calcolo diverse.
Sebbene la certificazione sia di fatto obbligatoria su tutto il territorio nazionale, a livello locale si possono dunque configurare diverse situazioni: recepimento, con legge regionale, della Direttiva 2002/91/CE; emanazione di Regolamento regionale per l’attuazione delle Linee Guida Nazionali (LGN); assenza di recepimento della Direttiva 2002/91/CE e di regolamenti regionali o delle province autonome.
Le Regioni Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Puglia, Umbria, Valle d’Aosta, Toscana, Veneto, Trento e Sicilia adottano il protocollo Itaca per la valutazione della sostenibilità energetica e ambientale degli edifici. La provincia autonoma di Bolzano ha predisposto invece il protocollo provinciale “Casa Clima Nature”.
Il Friuli Venezia Giulia è l’unica regione che ha reso obbligatorio, a partire dal 31 di ottobre 2011, la redazione della certificazione sulla base del protocollo VEA (Valutazione Eenergetica Ambientale) per i casi di nuova costruzione, ampliamento e ristrutturazione edilizia di immobili a destinazione d’uso direzionale (uffici) e residenziale.
L’ambito che ha avuto maggiori sviluppi nel 2013 è quello dei catasti energetici; sono nove le regioni che hanno realizzato appositi catasti per il deposito e la gestione dei contenuti degli APE (Attestati di Prestazione Energetica) e diventeranno12 il prossimo anno.
Ne risultano invece sprovviste la Basilicata, la Campania, il Lazio, il Molise, la Puglia, la Sardegna la Toscana e la provincia autonoma di Bolzano, mentre la Calabria, l’Umbria e la Sicilia stanno avviando la predisposizione. Bolzano, Lazio, Sardegna e Toscana comunque dispongono di database interni.
Le Regioni con la base dati più completa sono le prime ad aver istituito il catasto: Lombardia (2007), seguita da Piemonte e Emilia Romagna (2009).
Le Regioni che oggi dispongono di un catasto degli impianti di climatizzazione sono solo cinque: Emilia Romagna, Lombardia, Sicilia, Trento e Veneto. Ne prevedono la costituzione Abruzzo, Bolzano, Calabria, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Umbria e Valle d’Aosta.
Dato questo quadro ciò che emerge dal Rapporto è l’impossibilità di operare una comparazione delle classi di prestazione energetica fra le Regioni, elemento questo che non consente un confronto tra edifici che si trovano in località diverse e soprattutto non facilita la crescita di una reale sensibilità negli utenti, tanto che viene indicato come auspicabile l’utilizzo di uno standard unico di classificazione per tutto il territorio nazionale oppure, se questo non fosse possibile, che si inserisca negli attestati regionali anche la classificazione nazionale.