Per proseguire il dibattito sul pacchetto clima Ue, sul quale greenreport.it si è già espresso, ospitiamo anche il punto di vista di Assocarta
Pacchetto clima energia, Assocarta: «Quale è il “nostro” obiettivo?»
[7 Febbraio 2014]
Come, ormai noto, la Commissione Ue ha pubblicato lo scorso 22 gennaio l’atteso pacchetto Clima Energia. Il pacchetto segue il precedente pacchetto del 2009, noto come 20-20-20.
Gli elementi caratterizzanti sotto il profilo degli obiettivi sono:
1) nuovo obiettivo di riduzione delle emissioni: -40% al 2030;
2) nuovo obiettivo per l’energia rinnovabile: 27% ma non vincolante per gli Stati membri;
3) nessun obiettivo sull’efficienza energetica.
A seguito di ciò si è scatenata una vera e propria bagarre sugli obiettivi.
Il Parlamento europeo e gli ambientalisti vogliono innalzarli oltre il 50, c’è chi propone di introdurre quelli vincolanti sull’efficienza e c’è, infine, chi vuole abbassarli (e tra questi, ovviamente, ci sono i retrogradi e gli inquinatori).
Eppure in questa discussione sembra mancare un elemento fondamentale: che l’obiettivo non è tanto importante in quanto esprime un traguardo ambizioso, ma è rilevante se concretizza quegli obiettivi di sviluppo sostenibile a cui dovremmo tendere come europei.
In questo dibattito manca, poi, l’esigenza di collegare gli obiettivi climatici con gli “altri”. Infatti, lo stesso 22 gennaio, la Commissione ha presentato anche una Comunicazione per lo sviluppo industriale.
Questo “pacchetto” per la prima volta pone l’attenzione su una politica industriale europea, sbloccando finanziamenti e rilanciando l’obiettivo del 20% di valore generato in Europa proveniente dall’industria.
Ma di obiettivi come europei ne abbiamo anche altri, anch’essi rispettabilissimi. Ad esempio, riciclare entro il 2020 il 50% dei rifiuti urbani nei diversi Stati membri con l’obiettivo di costruire la “Recycling Society” in Europa.
Già collegare questi tre tipi di obiettivi potrebbe essere problematico. Ad esempio riciclare significa avere industrie di base dove questo possa avvenire (e ciò in linea con l’obiettivo del pacchetto Industria), ma non è in linea con il pacchetto climatico che torna a insistere sulla riduzione delle emissioni per l’industria.
Occorre poi guardarsi attorno per capire…. dove siamo. L’Europa come macro area è, ormai quella che contribuisce meno alle emissioni inquinanti, anche a causa di una progressiva delocalizzazione. Ogni giorno c’è qualche fabbrica che chiude in Italia e in Europa. E questo è in contrasto con il pacchetto Industria che prevede un obiettivo del 20% del PIL entro il 2020. Ma soprattutto è contro alle ragioni degli europei (e degli italiani) che vedono immiserire non solo la propria ricchezza, ma anche il sistema di welfare vero vanto europeo.
Le ragioni di questa situazione? Molte.
Ad esempio la UE ha creato uno sconcertante numero (2.314) di nuovi regolamenti e direttive negli ultimi 5 anni mentre ha prodotto 700 misure per ridurre i ritardi della burocrazia (si veda il sito www.getbackontrack.info).
A ciò va aggiunto un sistema di costi dell’energia a livello più alto di quello dei competitor (negli Usa il costo del gas costa 3 o 4 volte in meno) e in Italia è più alto ancora.
Peraltro, il mercato dell’energia soffre ancora di molti ritardi (infrastrutture che ci sono in alcune aree, altre mancanti, alcune non ben utilizzate, reti con tracciati molto fantasiosi) ed è ormai reso poco efficiente anche perché buona parte del prezzo è costituito da oneri in bolletta (si veda in particolare la situazione dell’Italia per l’elettricità. Con questi meccanismi di formazione del prezzo anche la concorrenza può veramente poco…
Certamente nuovi e più ambiziosi obiettivi climatici non potranno avere altro effetto che innalzare i costi dell’energia, a causa della necessità di finanziare altri incentivi verdi.
Le bollette, quindi, torneranno a crescere.
Altre imprese, anche quelle che hanno sempre creduto nell’internazionalizzazione… passeranno alla delocalizzazione (si veda il Corriere della Sera del 7 febbraio, “Il malessere a Padova. Bolletta elettrica su del 40%”, pag. 6).
Come le aziende di base energivore che sono chiamate a riciclare in virtù delle sopra citate direttive europee in materia di rifiuti.
Meno aziende che riciclano, meno industria (e quindi minori emissioni nella EU), maggiori esportazioni di rifiuti e materie prime raccolte in Europa in altri Paesi extra UE (con maggiori emissioni a livello globale in conseguenza del trasporti) che nel frattempo dovremo comunque raccogliere per attuare le direttive in materia di rifiuti.
Insomma, sembra proprio che l’attuale regolamentazione Emissions Trading (ed anche quello futuro da quello che si può capire) non incentivi lo sviluppo di tecnologie innovative ma soltanto l’installazione delle stesse nelle aree che il sistema arbitrariamente rende più avvantaggiate. Il “drenaggio” di risorse prodotto dallo stesso toglie alle imprese risorse che potrebbero impiegare per investimenti nel medio e lungo termine. Infatti, solo tecnologie già sviluppate e con ritorni dell’investimento molto brevi sono compatibili con il sistema Emissions Trading in quanto le aziende sono pressate dall’esigenza di restituire le quote a cadenza annuale e dispongono di minori risorse.
In conclusione, c’è da riflettere molto prima di decidere. Fissare gli obiettivi è importante, ma questo è il momento finale che segue la valutazione degli effetti che ci aspettiamo possano scaturire da quella misura.
Valutazione che non può prescindere da tutte le altre politiche europee (e annessi obiettivi).
Massimo Medugno, direttore generale Assocarta