E' la tesi di "State of the World 2014"
Worldwatch: non c’è sostenibilità senza governance responsabile e cittadinanza informata
Ma a noi non ci convince del tutto: ecco perché
[29 Aprile 2014]
Secondo il Worldwatch Institute «i cittadini che si aspettano che i loro governi si mettano alla guida della sostenibilità sono stati gravemente delusi negli ultimi anni. Dalle politiche in gran parte inefficaci e le conferenze internazionali sul clima, alla mancata approvazione di una significativo legislazione sul clima negli Usa, i progressi dei governi sono stati spesso poco brillanti (…). L’azione sul cambiamento climatico, la perdita delle specie, l’ingiustizia e le altre crisi sono state guidate in tutto il mondo da cittadini, donne e movimenti di base, spesso in opposizione alle agende perseguite dai governi e dalle big corporations».
E’ proprio di questo che si occupa “State of the World 2014”, che segna il 40esimo anniversario della fondazione del Worldwatch Institute, esaminando il vero significato di quello che il rapporto chiama fin dal titolo “Governing for Sustainability”, cioè la responsabilità dei leader politici ed economici per raggiungere la sostenibilità, ma sottolineando anche la forza dei cittadini nel produrre cambiamenti significativi nella sostenibilità e dimostrando perché per essere efficaci i sistemi di governance devono essere inclusivi e partecipativi, permettendo a tutti gli interessati di avere voce nel processo decisionale collettivo.
Uno dei principali autori di State of the World 2014, David Orr, professore di studi e politiche ambientali all’Oberlin College, spiega che «i governi oggi non possono sempre controllare se stessi, perché sono decimati dalla piaga della corruzione che divora l’interesse pubblico praticamente in ogni sistema politico. Un governo efficace, nelle sue varie forme, richiede una cittadinanza in allerta, informata, ecologicamente letterata, riflessiva ed empatica».
Nell’edizione 2014 di State of the World gli autori esaminano il potenziale per migliorare la governance, analizzando una serie di tendenze, come le iniziative climatiche locali e regionali, la democrazia energetica e la responsabilità d’impresa. Il team messo insieme dal Worldwatch Institute sostiene che «la sostenibilità dipende da un’azione sia nella sfera economica che in quella politica. L’industria finanziaria deve servire nuovamente all’amministratore pubblico. I sindacati possono contribuire a garantire che la transizione verso la sostenibilità sia socialmente giusta. Ancora più importante, i cittadini devono assumersi le responsabilità ed aumentare la loro autonomia».
Il co-direttore di State of the World 2014, Tom Prugh, sottolinea: «In definitiva, ci sembra, tutto inizia con la governance degli individui nella comunità. Gli esseri umani non sono più attori dalla politica di quanto non lo siano le molecole indipendenti della teoria economica mainstream». L’altro co-direttore di State of the World 2014, Michael Renner, aggiunge: «La pressione per migliorare la governance, ad ogni livello, può venire solo da individui risvegliati, che agiscono insieme, che si dedicano a rendere le loro comunità luoghi sostenibili. Da lì, può essere possibile costruire delle comunità che siano in grado di permettere ad ogni persona sulla Terra di vivere in un luogo sicuro e appagante, e di offrire alle generazioni future la stessa prospettiva».
State of the World 2014 si rivela così una valutazione lucida, ma in ultima analisi anche ottimistica della capacità dei cittadini di governare la sostenibilità: mette in evidenza sia gli ostacoli che le opportunità e dimostra come il cambiamento possa essere innescato e avvenire anche al di fuori del i palazzi del potere. Una visione, ci verrebbe da dire, appunto “fin troppo ottimistica”, perché la discriminante non può certo essere solo che quello che viene dal basso è puro e va sempre bene, mentre quello che viene dall’altro è sempre cattivo in quanto corrotto o corruttibile. Dal basso come dall’alto a noi di greenreport.it il problema sta nei contenuti e nella possibilità di esercitare effettivamente la propria governance: ma in entrambi i casi alla base, al contrario, c’è spesso la cattiva conoscenza (non coscienza…) delle questioni ecologiche. La cultura è ciò che manca, e la volontà d’attuarla sul piano pratico del cambiamento. Gli amministratori come i cittadini spesso ignorano completamente ciò di cui stanno parlando, ripetendo formule o slogan semplici con cui si riempiono la bocca (delle volte, poche, anche in buona fede). Gli esempi sono tantissimi, dal madornale errore di confondere la raccolta differenziata con il riciclo dei rifiuti; alla fede nei guru dell’impossibile impatto zero; alla confusione tra meteo e clima quando si parla di global warming, e la lista potrebbe purtroppo continuare parecchio.
Questo nuovo libro sembra quindi particolarmente utile per chi vuole fare buona politica studiando l’ecologia, associazioni ambientaliste, Ong che si occupano di sostenibilità e sviluppo economico e soprattutto per i cittadini che vogliono informarsi sul serio e da lì prendere le mosse per avviare quel cambiamento significativo di cui il mondo ha bisogno.