«Il 26% del made in Italy è fatto di chimica»
L’industria chimica italiana ha trovato la formula della crescita sostenibile?
Puccioni (Federchimica): «Le sostenibilità - economica, sociale e ambientale - hanno bisogno l’una dell’altra, e tutte hanno bisogno della chimica»
[24 Giugno 2013]
Dopo la svolta di indirizzo delle industrie del cemento, oggi, aprendo a Milano l’assemblea annuale della Federazione nazionale dell’industria chimica di Confindustria, anche il presidente di Federchimica, Cesare Puccioni, ha impresso un deciso cambio di marcia: «La crescita deve arrivare presto e deve essere sostenibile dal punto di vista economico, sociale, ambientale. Altrimenti non si potrà parlare di una ripresa reale, in grado di rispondere alle sfide che dobbiamo affrontare. Le sostenibilità – economica, sociale e ambientale – hanno bisogno l’una dell’altra, e tutte hanno bisogno della chimica. L’innovazione di prodotto o di processo creata dalla chimica si trasferisce ai settori utilizzatori, che possono così offrire un prodotto migliore o più economico rispetto alla concorrenza estera, spesso avvantaggiata dal basso costo del lavoro e da oneri inferiori per la tutela di sicurezza, salute e ambiente. Ecco perché la chimica e la sua industria devono avere un ruolo da protagonista nelle politiche di rilancio dell’economia del Paese».
L’industria chimica soffre molto per il calo della domanda interna, con un calo produttivo che nel 2012 è stato del 5,3% e tra il 15 e il 20% rispetto ai livelli pre-crisi. «Dati certo non confortanti, ma migliori della media – ha sottolineato Puccioni – L’industria chimica in Italia non è in crisi strutturale, perché negli ultimi 10 anni ha saputo realizzare grandi cambiamenti. L’incidenza delle sofferenze bancarie sui prestiti è la più bassa di tutto il panorama industriale e la redditività, anche se in deterioramento di circa 2 punti percentuali rispetto al 2007, è quasi il doppio della media manifatturiera. I forti investimenti materiali e immateriali rendono la nostra produttività – espressa dal valore aggiunto per addetto – del 50% superiore alla media, e possiamo così difenderci meglio dall’aggressività dei Paesi emergenti. Con 800 imprese che fanno innovazione basandosi sulla ricerca in Europa siamo secondi solo alla Germania. Nella chimica sostenibile e nella chimica da biomasse, la chimica italiana è sulla frontiera tecnologica e ha progetti industriali tra i più rilevanti al mondo. Ci siamo impegnati a fondo innovando e specializzandoci in molti settori; così la quota esportata è aumentata di 11 punti percentuali negli ultimi 10 anni e i saldi commerciali sono positivi in tanti comparti. Sono ormai oltre 130 le imprese con attività produttive all’estero, non trainate dalla delocalizzazione ma dall’opportunità di sfruttare nuovi mercati. Nonostante il rallentamento della domanda mondiale, le esportazioni sono cresciute rispetto al 2007 del 13,4% in valore, quasi il doppio della media italiana e in linea con molti altri paesi europei».
All’assemblea erano presenti anche il Commissario europeo all’Industria, Antonio Tajani, il presidente della commissione Ambiente della Camera Ermete Realacci e il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, che ha concluso i lavori. Puccioni, dopo aver detto a Tajani di sperare che «La manifattura possa tornare al centro delle politiche europee, in modo condiviso, tale da non frenare lo sviluppo delle imprese depauperando così l’economia e, quindi, i cittadini europei», ha concluso che «La sostenibilità è un percorso concreto da perseguire con i fatti: occorre operare affinché le norme ambientali siano ad un tempo efficaci e non penalizzanti per la competitività dell’impresa. Federchimica è pronta a dare il suo contributo; abbiamo un dossier con specifiche semplificazioni da realizzare. Non sogni ma cose concrete, che si possono attuare presto, con trasparenza e rigore, a costo zero. La ricerca e l’industria chimica sono indispensabili per far crescere l’economia ma, al tempo stesso, conservare le risorse naturali, risolvere il problema dell’energia e dei cambiamenti climatici e assicurare benessere, sicurezza e salute anche a chi non li ha». In un mondo con una popolazione in crescita, dove le riserve di risorse materiali si trovano sotto una pressione crescente, la chimica – non possiamo dimenticarlo – riveste inoltre un ruolo fondamentale nello sviluppo di nuovi materiali, più efficienti sotto il profilo del material throughput, e nel recupero del post-consumo.
Nel rapporto “La formula della crescita: reale, equa e sostenibile” diffuso o durante l’Assemblea si sottolinea infatti che «La chimica è un fondamentale motore di innovazione per tutti gli altri settori, sotto forma di nuovi materiali o nuovi processi: quasi tre quarti dei prodotti chimici sono destinati ad altri settori industriali. In Europa la chimica italiana è seconda solo alla Germania per numero di imprese innovative, circa 1.300, e di imprese attive nella ricerca, oltre 800. Se si considera l’introduzione di prodotti nuovi, non solo per l’impresa ma per il mercato, l’Italia supera addirittura la Germania. Con 4900 addetti, la quota del personale dell’industria chimica dedicato alla ricerca (4,3%) è più che doppia rispetto alla media industriale (1,9%). Nella chimica italiana la quota di imprese impegnate in attività di di R&S (48%) è doppia rispetto all’industria manifatturiera (23%) e persino superiore ai settori high tech (44%) e medium-high tech (43%); in particolare, fanno ricerca anche tante PMI. In 10 anni la quota di imprese chimiche italiane attive nella ricerca è fortemente aumentata, passando dal 38% al 48%».
Per quanto riguarda la sostenibilità ambientale Federchimica è convinta che «La chimica può far risparmiare risorse naturali, ridurre l’inquinamento, migliorare l’efficienza energetica delle abitazioni, dei trasporti e delle industrie e aiutare a trovare nuove fonti di energia. In Italia l’industria chimica ha già superato l’obiettivo per la riduzione dei gas serra fissato dalla Ue per 2020: evitate emissioni per 34 milioni di tonnellate l’anno, pari a quelle di 18 milioni di automobili. L’efficienza energetica è migliorata del 45% contro la media manifatturiera del 13%. Dal 1989 a oggi, le emissioni in aria dell’industria chimica sono diminuite del 90%. Le spese delle industrie chimiche in questo ambito superano gli 1,1 miliardi di euro annui con un’incidenza sul fatturato pari al 2,1%. Tali spese includono le bonifiche – risanamento di siti inquinati per renderli disponibili a nuovi usi – e si suddividono in investimenti (25%) e costi operativi (75%)».
Il documento evidenzia che «La scienza e l’industria chimica producono ricchezza perché consentono di realizzare prodotti di sempre più elevata qualità rispetto ai precedenti, oppure di ottenerli a minor costo, migliorando la competitività di qualsiasi settore, quindi il benessere economico di tutti».
La sostenibilità è anche economica e si basa su dati in gran parte poco conosciuti: «Il 26% del made in Italy è fatto di chimica. Su un fatturato di 53 miliardi di euro, il settore genera valore aggiunto per 9,7 miliardi. Il prodotto chimico può essere considerato il bene intermedio per eccellenza, infatti, una quota preponderante dei prodotti chimici è destinata agli altri settori industriali (72%). L’industria chimica è un settore adatto ad una economia avanzata come la nostra. La produttività (calcolata sul valore aggiunto per addetto) è del 50% superiore alla media dell’industria».
Federchimica vuole scrollarsi di dosso non solo l’immagine delle imprese inquinanti ma anche quella della scarsa sostenibilità sociale e assicura che «La chimica può migliorare la vita delle persone direttamente, ma anche indirettamente: la crescita economica infatti procura benessere, sicurezza e salute, mentre la protezione dell’ambiente assicura una vita sana, anche alle future generazioni. E’ il settore più regolamentato a livello europeo: circa 1700 provvedimenti a protezione di salute sicurezza e ambiente. Uno stabilimento chimico è oggi tra i posti più sicuri dove lavorare. L’Inail riconosce nell’industria chimica un modello da promuovere. L’industria chimica è il primo comparto industriale a essersi dotato di due fondi settoriali: Fonchim per la previdenza integrativa e Faschim per l’assistenza sanitaria. Il 95% di chi lavora nell’industria chimica ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato. La qualità dei lavoratori chimici è molto alta: la quota di laureati fra i suoi 113.000 dipendenti è pari al 19%, il doppio della media dell’industria italiana e nelle nuove assunzioni raggiunge il 26%».
Forse il quadro è un po’ troppo roseo, ma i progressi fatti negli ultimi anni, grazie anche alle pressioni delle associazioni ambientaliste e dei sindacati in difesa della salute dei lavoratori hanno portato ad indubbi vantaggi, e Federchimica sembra prendere atto che la riottosità di alcune delle sue imprese verso la chimica verde ed un uso più consapevole delle risorse erano (e rimangono) un clamoroso errore.