La strage degli “adoratori del diavolo” in Iraq. I salafiti a caccia di yazidi e di petrolio
Perché lo Stato Islamico ha distrutto la tomba di Giona?
[5 Agosto 2014]
Il 3 agosto i miliziani dello Stato Islamico che hanno proclamato il califfato tra la Siria e il nord dell’Iraq, prendendo il controllo della più grande diga irakena, quella di Mosul sul Tigri, e di diversi centri nei dintorni, e sono ormai ad una settantina di Km da Musul, il capoluogo della provincia irakena di Ninive, mentre i peshmerga, la milizia ritenuta fino ad ora imbattibile del Kurdistan irakeno semi-indipendente, si sono ritirati senza praticamente sparare un colpo.
I combattenti dello Stato Islamico si erano già impadroniti della città di Wanna e dopo i peshmerga hanno abbandonato nelle loro mai Shikhan e Telkif, ad est di Musul e a 400 Km a nord di Bagdad. La mattina del 3 agosto, dopo essersi impadroniti di diversi villaggi intorno a Zumar, dove ci sono diversi pozzi petroliferi, e dopo aver preso il controllo dell’oleodotto strategico che trasporta il petrolio irakeno in Turchia, gli islamisti sono entrati nella città di Sinjar, ad un centinaio di Km ad ovest di Mosul, dove avrebbero compiuto una vera e propria strage di yazidi. C’è un flusso ininterrotto di famiglie che fugge da Sinjar verso la città santa di Lalish.
Sinjar è una città popolata prevalentemente da yazidi, una popolazione che professa una religione pre-islamica legata allo zoroastrismo, ed era stata sotto il controllo curdo dopo che l’esercito irakeno era fuggito di fronte all’avanzata delle milizie dello Stato Islamico, che allora si chiamava Stato Islamico dell’Iraq e al-Sham o Stato Islamico dell’Iraq e della grande Siria. Spazzata via la presenza dei peshmerga da questa zona cuscinetto, ormai l’auto-dichiarato califfato dello Stato Islamico confina con la regione semi-indipendente del Kurdistan irakeno.
Per i seguaci dello Yazidismo (dal persiano yazd, “angelo”) l’arrivo dei tagliagole del Califfato islamico è più o meno l’apocalisse: da secoli questa religione è avvolta nel mistero, e vi aderiscono circa mezzo milione di persone (ma altre fonti parlano di 600.000 yazidi solo in Iraq), che vivono soprattutto intorno a Musul, ma anche in piccole comunità in Armenia, Georgia, Turchia e Siria e nella diaspora europea e statunitense, viene perseguitata: la maggior parte dei musulmani considerano gli yazidi “adoratori del diavolo”. Appena entrati a Sinjar gli islamisti hanno iniziato la caccia agli infedeli, alcuni testimoni hanno raccontato di aver visto miliziani che hanno catturato donne yazide e, dopo averle costrette a coprirsi il capo e la bocca, hanno fatto loro giurare fedeltà a Maometto per poi ucciderle. Secondo l’Onu, che parla di tragedia umanitaria, da Sinjar sono fuggiti 200.000 civili, la maggior parte di loro yazidi, ma anche arabi sciiti e assiri.
Gli yazidi fuggono verso Lalish, che ospita la tomba dello sceicco Adi ibn Musafir, la figura principale della fede yazidi, che è normalmente un loro luogo di pellegrinaggio e di culto e che si è trasformata in un campo profughi ormai circondato dagli islamisti che non nascondono l’intenzione di fare piazza pulita: in un tweet dello Stato Islamico (Is) si legge: «L’Is ha conquistato Bashika, e Shahan – città degli adoratori di Satana – e nelle prossime ore, se Dio vuole, Qaraqoshe Tul Kef».
Altre testimonianze parlano di una vera pulizia etnico/religiosa in corso, attuata anche bombandando gruppi di profughi: «Stanno uccidendo tutti – ha detto al Global Post Evan, un 16enne yazida che è riuscito a raggiungere Lalish – stanno uccidendo gli sciiti e gli yazidi, anche le donne e i bambini. Alcune famiglie stavano fuggendo sulle montagne di Sinjar, ma le hanno colpite con mortai. Penso che siano tutti morti. Ho visto le esplosioni».
Gli yazidi sono fuggiti dalla città di Bashika, temendo di fare la fine dei loro correligionari di Sinjar. Fino ad ora i media locali parlano di un centinaio di esecuzioni di yazidi, almeno 30 a Sinjar.
Gli yazidi ce l’hanno con i curdi, che puntavano al controllo delle risorse petrolifere dell’area, che li hanno abbandonati nelle mani delle milizie dell’Is. Fortunatamente la maggior parte degli yazidi aveva già abbandonato Sinjar a causa dei progroom che erano già stati attuati nei giorni e nelle settimane precedenti da parte di estremisti sunniti a caccia degli “adoratori del diavolo”. Un ex abitante di Asyan, Dilshad Sluyman, ha detto che gli yazidi fuggiti «si sono lasciati tutto alle spalle, ma la cosa peggiore non è essere uccisi, ma che ci costringano a diventare musulmani. Questo è peggio della morte. Molti di coloro che sono fuggiti dicono le donne sono state costrette a convertirsi e poi rapite dall’Is».
Purtroppo il tentativo di genocidio degli yazidi da parte degli islamisti non è il primo: sono già stati attaccati almeno 72 volte e la comunità yazida è stata quasi spazzata via da massacri operati nel XIX secolo dai turchi ottomani e dai curdi musulmani. Nell’aprile 2007 un bus che portava al lavoro gli operai di una fabbrica tessile di Musul è stato fermato da uomini armati che hanno s assassinato i 23 yazidi che erano a bordo ed hanno rilasciato cristiani e musulmani, 4 mesi dopo due camion carichi di esplosivo hanno devastato due villaggi yazidi uccidendo più di 500 persone. Nell’agosto 2009, due attentatori suicidi sono entrati in un bar di Sinjar, uccidendo 20 yazidi e ferendone più di 30.
Eppure gli islamici non hanno niente da temere dalla fede degli yazidi, che è una religione chiusa che non accetta convertiti né matrimoni misti con chi professa un’altra religione, però venerano l’arcangelo Melek, che i musulmani identificano come Shaitan o Satana, e si rifiutano di prostrarsi davanti a Allah/Dio. Ma a differenza del Satana cristiano e musulmano, il loro Melek non ha rinnegato Dio e credono che il male esista solo nel cuore dei malfattori, sotto forma di un angelo caduto. Gli yazidi sono terrorizzati dall’avanzata senza pietà delle milizie islamiste e temono che, conquistata Lalish, distruggeranno il loro tempio e li uccideranno tutti, anche perché tra molti integralisti è diffusa la convinzione che uccidere un “adoratore di satana” apra le porte del Paradiso all’assassino.
Gli yazidi fanno bene a preoccuparsi, perché il tasso di fanatismo dei militanti dello Stato Islamico è pari a quello dei talebani afghani che nel marzo 2001distrussero a cannonate i due giganteschi Buddha scolpiti nella roccia nella valle di Bamiyan, risalenti a 1.800 e 1.500 anni prima. Detto che la notizia circolata negli scorsi giorni che lo Stato Islamico avrebbe ordinato mutilazioni genitali femminili per le donne è una bufala di Twitter ripresa imprudentemente da una funzionaria dell’Onu, è però vero che l’Is ha resuscitato la pratica della crocifissione degli infedeli e che ha eseguito, ripreso e postato su You Tube le esecuzioni sommarie di sciiti e soldati irakeni. Qualche giorno fa, a Musul, l’antica Ninive, un gruppo di predoni dell’Is ha fatto saltare in aria e ridotto in macerie la tomba del profeta Yunus, il Giona della Bibbia, un luogo sacro per ebrei, cristiani e musulmani, visto che il Corano dedica un intero capitolo a questo profeta e che Maometto si dice abbia detto: «Non si dovrebbe dire che sono meglio di Giona».
I professori di scrittura biblica Joel S. Baden, della Yale Divinity School, e Candida Moss, dell’università di Notre Dame, hanno scritto che l’esplosione è stato «un attacco sia ai cristiani che oggi vivono in Iraq, sia al ricco, anche se poco conosciuto, patrimonio cristiano della regione». Ma il rabbino Benjamin Blech, che insegna il Talmud alla Yeshiva University di New York, ha scritto sul New York Times che «la profanazione della tomba di Giona è un duro colpo non solo per la sua memoria, ma più tragicamente per il suo preoccupante messaggio che riguarda tutte le fedi, il messaggio che rimane ancora l’unica speranza per l’umanità civilizzata».
La distruzione della tomba di Giona è stata condannata anche dagli iman sunniti di Musul e da Harith al-Dhari, un predicatore sunnita che vive in Libano e che sarebbe molto vicino ai miliziani dello Stato Islamico, e che ha detto al Daily Star che il comitato degli Ulema dell’Iraq ha sottolineato «L’enorme perdita per la gente di Mosul, che ha guardato a queste benedette moschee come punti di riferimento della città, come ad una parte della sua cultura e della sua storia».
Allora perché l’Is ha fatto saltare in aria il santuario di Giona? Per dimostrare la sua incrollabile “ortodossia” e la sua teologia distruttiva che vede in tutti i santuari religiosi una forma di idolatria. Altri movimenti islamisti radicali salafiti, che vogliono una società basata sui comportamenti dei primi musulmani (Salaf) hanno abbattuto antiche tombe di santi islamici, come accaduto durante il recente ed effimero califfato nel nord del Mali al quale ha messo fine l’intervento armato francese. Ma movimenti salafiti, tra il 1700 e il 1800, in quella che sarebbe poi diventata l’Arabia saudita, hanno distrutto addirittura le tombe dei parenti e dei discepoli di Maometto, anche se hanno lasciato in piedi quella del Profeta dell’Islam. L’Is rivendica le distruzioni ed i massacri degli infedeli dicendo che «I nostri pii predecessori hanno fatto così … Non c’è da discutere sulla legittimità della demolizione o della rimozione di quelle tombe e santuari». E’ un’Islam di una purezza feroce, che non ha niente a che vedere con lo sciismo (che infatti considera blasfemo) al potere in Iraq ed Iran, pieno di santi e santuari e di una devozione popolare molto simile al cristianesimo Mediterraneo e latino-americano.
Ha probabilmente ragione Mark Movsesian che su First Things scrive che «si dovrebbe vedere la distruzione della tomba di Giona da parte dell’Is come un atto principalmente diretto agli altri musulmani, non ai cristiani».
Ma l’attacco ai luoghi santi e le stragi di sciiti e yazidi potrebbero ritorcersi contro gli integralisti dell’Is. Infatti nella loro furia omicida e iconoclasta si sono dimenticati di portare fuori dalla tomba di Giona le copie del Corano e di altri libri sacri che custodiva, poi ritrovati tra le macerie. Un atto così offensivo per i musulmani che, insieme agli assassinii di apostati e infedeli con i quali i musulmani irakeni hanno sempre convissuto, sta facendo nascere a Musul le prime cellule di resistenza anti Stato Islamico.