L’Ingv conclude uno studio decennale. Esposizione a grandi mareggiate e tsunami
L’Italia sommersa dal riscaldamento globale. Quali coste rischiano di finire sott’acqua [FOTOGALLERY]
Innalzamento del livello del mare: quasi 1 m in più entro la fine del secolo, il doppio al 2200
[7 Agosto 2014]
Lascia pochi spazi alle interpretazioni lo studio realizzato dall’Istituto nazionale di geofisica e Vulcanologia (Ingv): le variazioni del livello marino e delle linee delle nostre coste «sono solo alcune delle conseguenze dei lenti e costanti cambiamenti che interessano il Mar Mediterraneo. Le zone più a rischio in Italia: Campi Flegrei, l’alto Adriatico, le piane costiere del Tirreno, Sardegna, Calabria e isole Eolie. Meno esposte le coste pugliesi».
Lostudio dell’Ingv, titolato “Coastal structure, sea-level changes and vertical motion of the land in the Mediterranean” e appena pubblicato su Special Publication della Geological Society of London, è stato finanziato dal ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca, dal Cnr, dall’Unesco e con l’egida dell’International Union for Quaternary Research (Inqua). Un dettagliato dossier che spiega come «i cambiamenti climatici e il conseguente scioglimento dei ghiacci polari, i movimenti delle placche tettoniche, i terremoti e l’attività vulcanica, siano da annoverare tra le maggiori cause della variazione delle coste del Mediterraneo».
Il coordinatore dello studio, Marco Anzidei, primo ricercatore dell’Ingv, sottolinea che «si è trattato di un lavoro lungo e complesso, iniziato circa 10 anni fa, grazie al quale è stato possibile fotografare la situazione attuale delle coste del Mediterraneo e di come queste siano soggette a deformazioni. L’obiettivo è individuare le zone costiere soggette a particolare subsidenza, dove l’aumento del livello marino è maggiore per il lento e progressivo abbassamento verticale del fondale. Fenomeno che produce, non solo un aumento locale del livello del mare, ma anche l’arretramento e l’erosione della linea di costa, con conseguente restringimento delle spiagge».
Il team di ricerca, del quale fanno parte anche Enrico Serpelloni e Gianfranco Vannucci dell’Ingv, Kurt Lambeck della Research School of Earth Sciences dell’Australian National University, Fabrizio Antonioli dell’Enea Special Project Global Change, Stefano Furlani del Dipartimento di Matematica e Geoscienze dell’Università di Trieste e Giuseppe Mastronuzzi del Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali, Università degli Studi Aldo Moro di Bari, per individuare i tassi di deformazione della fascia costiera ha utilizzato dati storici e strumentali di geologia, archeologia e geofisica ed in particolare 6.000 terremoti di magnitudo superiore a 4.5 e dati geodetici di circa 850 stazioni GPS di alta precisione e di 57 stazioni mareografiche distribuite lungo le coste.
«I dati – spiega ancora Anzidei – mostrano una continua risalita del livello delle acque nel Mediterraneo di circa 1,8 mm all’anno (3,2 mm su scala globale), confermando le previsioni dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) sull’aumento del livello del mare di circa 1 metro entro la fine del secolo e di oltre 2 entro il 2200, con conseguente arretramento delle coste e danni alle strutture, in particolare nelle zone subsidenti».
L’Ingv dice che il fenomeno porterebbe queste aree «a un maggiore e progressivo rischio di allagamento, con conseguente esposizione di valore economico, in particolare delle zone a elevato valore industriale, commerciale, turistico e culturale, come Venezia, soprattutto se in aggiunta a grandi mareggiate e tsunami».
Anzidei conclude: «Per quanto riguarda l’Italia, le zone più a rischio di ingressione marina sono le coste presso la foce del Volturno e del Po, la laguna veneta, alcune località del Tirreno, della Sardegna, della Calabria e le isole Eolie. Lo stesso per le coste della Turchia e della Grecia, che non a caso sono anche quelle più sismiche del Mediterraneo. Meno esposte risultano invece le coste pugliesi, in Italia, parte dell’isola di Creta, la costa israeliana e parte del Nord Africa».