ExxonMobil trivella nell’Artico: il boicottaggio occidentale verso la Russia non vale per il petrolio
La multinazionale a stelle e strisce del petrolio è riuscita a evitare le sanzioni di Usa e Ue
[13 Agosto 2014]
Evidentemente le sanzioni occidentali contro la Russia non valgono per le gigantesche multinazionali petrolifere statunitensi, come ExxonMobil. La Big Oil sta infatti trivellando nell’Artico russo, sfidando così in un colpo solo Washington, Bruxelles e l’opposizione degli ambientalisti, contrari all’esplorazione petrolifera nell’Artico.
Quello appena avviato di ExxonMobil è un accordo avvenuto con l’autorevolissima benedizione del presidente russo Vladimir Putin, che lo ha indicato come un esempio di cooperazione internazionale in un momento politicamente difficile. Secondo Fuel Fix, il progetto congiunto tra ExxonMobil e la statale Rosneft per trivellare il giacimento Universitetskaya, una formazione geologica sotto il fondo dell’oceano grande più o meno quanto il territorio di Mosca, vale 700 milioni dollari e ci vorranno circa 70 giorni per raggiungere il giacimento. Rosneft stima che la Universitetskaya contenga fino a 9 miliardi di barili di petrolio, il che rende il giacimento un obiettivo importante per l’esplorazione petrolifera russa. Petrolio, gas e altre energie rappresentano infatti il 50% delle entrate statali russe, e la Russia ha portato la sua produzione post-sovietica di greggio ad oltre 10 milioni di barili al giorno.
James Henderson, un ricercatore dell’Oxford Institute for Energy Studies, ha confermato che «il giacimento è molto importante, probabilmente uno dei pozzi più interessanti per l’industria petrolifera mondiale da molti anni a questa parte».
Per aggirare il boicottaggio occidentale, fortemente voluto proprio dagli Usa, ExxonMobil ha noleggiato la piattaforma petrolifera offshore West Alpha dalla Seadrill Ltd, che ha sede alle Bermuda. Ha potuto così iniziare a trivellare il primo dei 40 pozzi che Rosneft intende perforare entro il 2018, per esplorare il potenziale produttivo di greggio del Mar Glaciale Artico. Un’altra gemma petrolifera della corona dell’oligarchia energetica putiniana, Gazprom, ha già pozzi attivi nel Circolo Polare Artico al largo della costa settentrionale della Russia.
Le Ong ambientaliste, con alla testa Greenpeace, si sono opposte e continuano ad opporsi alla trivellazione dell’Artico per difendere l’ecosistema unico degli enormi problemi di sicurezza causati dall’estrazione di petrolio e gas in un ambiente estremo. Gustavo Ampugnani, l’attivista italiano di Greenpeace arrestato e lungamente detenuto in Russia dopo un blitz contro una piattaforma offshore di Gazprom, ha detto che il piano di ExxonMobil e Rosneft «per trivellare nell’Artico ecologicamente sensibile è niente di meno che assurdo. La piattaforma West Alpha sta rapidamente diventando la piattaforma petrolifera più controversa del mondo».
Simon Boxall, un esperto di sversamenti petroliferi dell’università di Southampton, che ha svolto un ruolo essenziale nella analisi della marea nera della Deepwater Horizon nel Golfo del Messico, ha già dichiarato al Guardian che se le trivellazioni nell’Artico andassero avanti «è inevitabile avere una fuoriuscita letale. Mi aspetterei di vedere una grande fuoriuscita in un futuro non troppo lontano».
Ma, al di là delle forte preoccupazioni ambientali che suscita il progetto, quello che sta accadendo sul giacimento Universitetskaya aggrava il cima tensioni tra Stati Uniti e Russia, con la prima che accusa Mosca di sostenere i ribelli russofoni in Ucraina, mentre Mosca accusa Usa e Ue di finanziare ed armare il governo di Kiev.
Ma a quanto pare, anche dopo l’abbattimento di un aereo passeggeri della Malaysia nei cieli delle regioni filorusse, le sanzioni sull’industria petrolifera e gasiera russa imposte da Usa e Ue non spaventano le multinazionali. Il tentativo di mettere tecnicamente in ginocchio il settore estrattivo russo sembra destinato a naufragare nei bui e freddi fondali della Universitetskaya, mentre a essere in ginocchio è il ben più morbido settore ortofrutticolo europeo, che evidentemente gode di ganci internazionali meno possenti. I pesci più piccoli, si sa, sono sempre i più facili da imbrigliare.