Il summit Onu sul clima in mano alle multinazionali? La denuncia di movimenti e Ong sociali
[17 Settembre 2014]
Una rete che comprende più di più di 330 movimenti e organizzazioni sociali, come La Via Campesina, OilWatch International, Migrants Rights International, Global Forest Coalition, the Indigenous Environmental Network, Grassroots Global Justice Alliance, Attac Francee Fairwatch, ha pubblicamente denunciato «l’occupazione da parte delle multinazionali del prossimo summit sul Clima ospitato dal Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon che si terrà a New York il 23 settembre prossimo».
In un documento unitario, le associazioni anticapitaliste che dicono di rappresentare oltre 200 milioni di persone in tutto il mondo, compresi piccoli produttori, popolazioni indigene, migranti, donne, attivisti per la giustizia climatica e ambientale, attivisti per l’acqua bene comune, chiedono «Urgentemente un cambio radicale del sistema economico piuttosto che gli impegni volontari e basati sul mercato e i preoccupanti partenariati pubblico-privato che caratterizzano l’agenda del vertice, come il REDD+, la Climate-Smart Agriculture e la Sustainable Energy for All initiative».
Il documento indica 10 “ricette giuste” per prevenire il caos climatico: 1. Prendere impegni immediatamente vincolanti, e non volontari, per contenere l’aumento della temperature planetaria entro i 1.5ºC entro questo secolo, riducendo le emissioni globali di gas climalteranti ad effetto serra a 38 miliardi di tonnellate all’anno entro il 2020. 2. Lasciare che la Terra riposi rendendo vincolante l’impegno a lasciare più dell’80% delle riserve conosciute di combustibili fossili nel sottosuolo e sotto i fondali marini. 3. Uscire dalle logiche dell’estrattivismo ponendo blocchi a tutte le nuove esplorazioni e ai nuovi sfruttamenti di petrolio, sabbie bituminose, rocce scistose, carbone, uranio e gas naturale incluse infrastrutture come il gasdotto Keystone XL. 4. Accelerare lo sviluppo e la transizione alle energie rinnovabili alternative come vento, solare, geotermico e mare con un maggiore controllo e proprietà pubblici e delle comunità. 5. Promuovere produzione e consumo locale di beni per soddisfare i bisogni fondamentali delle persone ed evitare il trasporto di beni che possono essere prodotti localmente. 6. Stimolare la transizione da un’agricoltura industrializzata, orientate alle esportazioni per il supermercato globale, a una produzione basata sulle comunità per soddisfare i bisogni alimentari locali nel quadro della sovranità alimentare. 7. Adottare e applicare strategie rifiuti zero per il riciclo e il conferimento dei rifiuti e l’ammodernamento degli edifici per un minor consumo di energia per il riscaldamento e il raffrescamento. 8. Migliorare ed espandere il trasporto pubblico per le persone e per le merci all’interno dei centri urbani e tra le città attraverso un efficiente trasporto ferroviario. 9. Sviluppare nuovi settori dell’economia, progettati per creare nuova occupazione capace di riequilibrare il sistema Terra, come lavori capaci di diminuire le emissioni di gas e di ricostituire gli equilibri del pianeta. 10. Smantellare le infrastrutture dell’industria di Guerra per ridurre le emissioni generate dall’economia di guerra e riallocare i budget di Guerra per promuovere un vero futuro di pace.
Il documento indica anche quelle che ritiene “Le ricette sbagliate” e dimostra un notevole scetticismo, quando non una piena contrarietà, verso la green economy, vista come un “trucco” del capitalismo mondiale per continuare a dominare il pianeta approfittando del global warming. Infatti, l’intento è quello di lanciare un messaggio forte e chiaro alle grandi imprese: “Stop allo sfruttamento della tragedia del cambiamento climatico”. «Più specificamente – dice la coalizione – dobbiamo resistere alla soluzione del “capitale riverniciato di verde”, rifiutando le seguenti politiche, misure e strategie: La mercificazione, finanziarizzazione e privatizzazione delle funzioni della natura attraverso la promozione di una falsa “agenda dell’economia verde”, che pone un prezzo alla natura e crea nuovi mercati di prodotti derivati che non faranno altro che aumentare le ineguaglianze e velocizzar la distruzione della natura. Ciò significa dire No al REDD (Reducing Emissions from Deforestation and forest Degradation). No alla Climate Smart Agriculture, al Blue Carbon e alla compensazione della biodiversità, tutti meccanismi progettati per creare nuove opportunità di profitto per le multinazionali. Soluzioni tecnologiche come il geo-engineering, gli organismi transgenici, gli agrocarburanti, la bioenergia industrial, la biologia sintetica, le nanotecnologie, il fracking, i progetti nucleari, la produzione di energie con la termovalorizzazione ed altro. Progetti non necessari di megainfrastrutture che non portano benefici alla popolazione e sono produttori netti di gas climalteranti, come le mega dighe, le grandi autostrade, gli stadi per I campionati mondiali e altro. I regimi di libero scambio e di investimento che promuovono il commercio per favorire I profitti tagliando posti di lavoro locali, distruggendo la natura e riducendo sostanzialmente la capacità dei Paesi di definire le loro priorità economiche, sociali e ambientali».
Secondo Alberto Zoratti, presidente dell’organizzazione Fairwatch Italia, «L’invadente presenza delle grandi imprese al summit di New York sta diventando oramai uno scenario consueto nei negoziati Onu, basterebbe pensare al ruolo assunto dalle imprese a Rio+20 nel 2012 o nel vertice sul clima di Varsavia l’anno scorso. Un’invadenza del privato che difende i propri interessi a svantaggio dei diritti delle comunità e dell’ambiente, come si evidenzia anche all’interno di negoziati come il TTIP dove la tutela degli investitori viene messa davanti persino alla sovranità legislativa dei Parlamenti nazionali».
Il summit di New York è considerato una pietra miliare nel percorso verso la 21esima conferenza delle parti United Nations Framework Convention on Climate Change. che si terrà a Parigi nel 2015, ma Genevieve Azam, portavoce di Attac France, dice che «I negoziati sul cambiamento climatico sono stati dominati da Governi irresponsabili, da inquinatori e da multinazionali che si interessano solamente delle operazioni economiche e dell’aumento dei profitti attraverso un maggior sfruttamento dei combustibili fossili, i nuovi mercati del carbonio e altre false soluzioni come la bioenergia industriale che stanno distruggendo foreste suoli, aree umide, fiumi, mangrovie ed oceani».
Anche secondo Carlos Marentes, direttore di Border Agricultural Workers e membro de La Via Campesina International «il vertice climatico di New York promosso da Ban Ki Moon è stato preceduto da un suono di fanfare ma da nessuna concreta azione sistemica. Al contrario propone numerose false soluzioni di Green economy, che includono rischiose operazioni tecnologiche e basate sul mercato che peggioreranno la situazione. Si evita di riconoscere che il cambiamento climatico è il risultato di un sistema economico ingiusto che ha interesse a perseguire una crescita infinita, a concentrare la ricchezza nelle mani di pochi e di sovrasfruttare la natura fino al punto del collasso».
Per movimenti ed ong sociali «Fermare il cambiamento climatico significa bloccare il regime di libero commercio neoliberista che promuove il principio di crescita infinita e di profitti infiniti per le grandi imprese transnazionali. I movimenti sociali chiedono uno stop ai negoziati segreti su libero commercio e investimenti alla World Trade Organization (WTO), al TransAtlantic Trade and Investment Partnership Agreement (TTIP) in via di negoziato tra Unione Europea e Stati Uniti, al TransPacific Partnership Agreement (TPP), e agli altri accordi bilaterali, regionali e plurilaterali che cercano di mercificare tutti gli aspetti della vita e della natura».
Il nigeriano Nnimmo Bassey di Health of Mother Earth Foundation, sottolinea che «questi accordi colpiscono i diritti del lavoro e l’economia locale distruggano la natura e sostanzialmente riducano la capacità delle Nazioni di definire le loro priorità economiche, sociali e ambientali».
Secondo il documento unitario dei movimenti sociali per fermare il global warming sono necessari «impegni legalmente vincolanti e un cambio profondo di sistema, piuttosto che lo scenario “business as usual” attualmente proposto».
Cindy Wiesner della Grassroots Global Justice Alliance, conclude: «Ovviamente chiediamo azioni concrete. ma non ogni tipo di azione. Nessun impegno volontario e nessuna promessa vuota. Non si potrà tornare indietro dal caos climatico se non facciamo nulla per affrontare e sfidare l’inazione dei nostri Governi, le cui politiche sono spesso state condizionare dalle imprese inquinatrici. E’ cruciale per tutti noi rafforzare il nostro impegno sul terreno delle lotte e focalizzare le nostre energie su un cambiamento del sistema capitalista».