Chi ha progettato (e favorito) l’assedio islamista alla città kurda di Kobane?
[8 Ottobre 2014]
Quattordici manifestanti kurdi sono stati uccisi negli scontri con la polizia in Turchia mentre protestavano perché i difensori di Kobane – Ain Al – Arab, la città kurda (la terza per abitanti della Siria) a 10 Km dal confine turco, sono stati lasciati soli a combattere i tagliagole dello Stato Islamico, e Kobane sta per cadere dopo un assedio che dura da più di tre settimane. L’offensiva dello Stato Islamico ha conquistato una settantina di villaggi intorno a Kobane e costretto alla fuga 300.000 persone, 180.000 delle quali sono riuscite a rifugiarsi in Turchia, mentre a Kobane resterebbero ancora migliaia di civili. Se la città cadesse, lo Stato Islamico si assicurerebbe il controllo di una fascia di territorio alla frontiera turca con grosse risorse petrolifere
Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti dell’uomo, in questa nuova Guernica mediorientale si starebbe combattendo strada per strada ad est della città, dove i jihadisti si sono impossessati di diversi edifici: Ozgur Amed, un giornalista kurdo vicino alla linea del fronte, ha detto alla Reuters che «I Ypg [Yekîneyên Parastina Gelunités – People’s Defence Units] conducono una fiera resistenza. Il nostro morale si mantiene buono. Abbiano solo paura del deterioramento della situazione umanitaria».
Nel suo ultimo comunicato stampa il comando dell’Ypg fa il punto sugli scontri a Kobane, l’autodichiarata capitale del Rojava, come i kurdi chiamano il Kurdistan Occidentale siriano. Secondo l’Ypg «Le bande dell’Isis continuano a subire pesanti perdite nonostante l’uso di avanzate armi pesanti nei loro intensi attacchi che hanno pres di mira la città negli ultimi 22 giorni». Ma anche l’ufficio stampa del Ypg ammette che gli scontri si sono intensificati nei quartieri di Botran e Megtel e sulla collina di Mistenur, (località che fonti occidentali danno già per conquistate dalle milizie islamiste, ndr) e nella regione di Kaniya Kudan, a nord est di Kobane.
I combattenti kurdi dicono di aver «inflitto un duro colpo alle bande che hanno lanciato attacchi pesanti da tre lati, con l’obiettivo di entrare in città sotto un intenso bombardamento». Un attacco lanciato dai jihadisti nella regione Kaniya Kurdan sarebbe stato respinto, mentre ormai a Kobane «il combattimento corpo a corpo continua in tutti i settori dato che le bande dall’Isis stanno lanciando attacchi mirati contro il centro della città con carri armati e cannoni». Le forze Ypg dicono di aver «distrutto due veicoli dell’Isis, con molti militanti all’interno, nell’ambito di un incursione effettuata dietro la collina di Miştenur» e nell’area di Miştenur i kurdi avrebbero distrutto anche un deposito di carburante dell’Isis. Se le vittime tra i kurdi sarebbero almeno 400, nelle ultime 24 ore l’Ypg dice di aver eliminato almeno 67 miliziani delle bande islamiste.
Quel che è certo è che le milizie kurde, costituite per il 40% da donne, stanno vendendo cara la pelle e che lo Stato Islamico probabilmente non si aspettava una resistenza così disperata e che si sta conquistando il rispetto del mondo. La stessa portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Jennifer Psaki, non certo sospettabile di simpatie per i “comunisti” kurdi del Rojava, ha detto che «Tutto il mondo trova orribile guardare in tempo reale quel che succede a Kobane». L’inviato speciale dell’Onu in Siria, Staffan de Mistrua, ha chiesto alla comunità internazionale di «Agire subito. Senza un aiuto internazionale supplementare, sarà l’orrore. Il mondo ha visto con i propri occhi le immagini di cosa è successo quando una città dell’Iraq o della Siria è caduta nelle mani di questo gruppo terrorista: massacri, tragedie umanitarie, stupri e l’orrore della violenza». Il ministro degli esteri francese ha detto: «Ci mobiliteremo per Kobane. Né la coalizione a guida americana guidata né le forze kurde sono state in grado di arrestare l’avanzata dell’Isis. La Francia, armando i Kurdi e portando attacchi aerei, ha apertamente scelto di intercettarla militarmente. Passiamo ora mobilitarci per Kobane. Miglioreremo a nostra collaborazione speciale con le forze che stanno lottando contro Isis». Quello che però Fabius non dice (oltre a tacere le grandi responsabilità francesi nel caos siriano) è che la Nato considera i combattenti kurdi dell’Ypg un’organizzazione terroristica legata al Pkk e quindi le armi (anche italiane) sono andate ai kurdi irakeni, non a chi combatte a Kobane.
Secondo il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, Kobane è sul punto di cadere e (mentre reprime brutalmente i kurdi) avverte che «il terrore non sarà fermato fino a che non coopereremo in vista di un’operazione terrestre. Sono passati mesi e non abbiamo ottenuto nessun risultato».
Ma i kurdi si fidano di Erdogan quanto di un serpente velenoso e ne hanno tutte le ragioni: Amed Dicle ricorda su Kurdish Question: «Era il 15 settembre 2014 gli attacchi dell’Isis su Kobane stavano per cominciare. Omer Alus, il responsabile delle relazioni esterne per il Cantone Kobane, ricevette una telefonata da un funzionario dell’Onu che gli disse che erano stati fatti i preparativi sono stati per far fuggire 400.000 persone da Kobane in Turchia da Kobane. Al momento della telefonata, gli attacchi dell’Isis non erano iniziati. Il funzionario Onu chiamava dalla Turchia e sapeva ciò che stava per accadere. In altre parole, l’Isis stava per attaccare Kobane, Kobane stava per cadere e l’Onu e la Turchia stavano preparandosi ad accogliere i rifugiati. Tuttavia, il piano non era dell’Onu, ne era solo a conoscenza. La popolazione di Kobane e delle zone circostanti è di circa 400.000 persone. Si prevedeva che la popolazione di Kobane sarebbe fuggita completamente ».
I kurdi siriani sono convinti che il piano per attaccare Kobane non sia solo è solo dell’Isis: «Sembra essere un piano più profondo e più grande, previsto ad Ankara». I sospetti crescono se si pensa che l’amministrazione della città turca di Urfa aveva pronti piani di emergenza in vista della caduta di Kobane, prevista per il 20 settembre. Dicle spiega: «La Turchia, come andiamo dicendo da tempo, vuole soffocare la rivoluzione Rojava. Ankara è convinta che “se il movimento curdo non ha successo a Rojava, rispetto al modello che propone per la regione e l’intero Kurdistan, riceverà un colpo mortale”. Questo è il motivo per cui, dal momento del manifesto del Newroz di Ocalan nel 2013, il governo turco ha bloccato il processo di pace ed ha aumentato i suoi preparativi per la guerra con la costruzione di basi militari in tutto il Kurdistan».
Eppure la Turchia fa ufficialmente parte della coalizione internazionale anti-Isis ma per Kurdish Question, «La priorità della Turchia è quello di dare un duro colpo al movimento curdo per mano dell’Isis. Una volta che la Rivoluzione Rojava sarà soffocata, la Turchia non dovrà più cercare una partnership con l’Isis».
Per Ankara la presenza dello Stato Islamico alle sue frontiere potrebbe essere pericolosa, ma secondo Dicle «Alla Turchia questa ipotesi non dispiace. La Turchia sarà poi usare questa come giustificazione per entrare in Siria per stabilire una “zona cuscinetto”. La Turchia preferisce l’Isis ad un Rojava libero; perché la fobia anti-Kurda sta avvelenando le menti di organizzazioni come l’AKP (l’Adalet ve Kalkınma Partis, il partito islamico-conservatore di Erdogan, ndr). I Kurdi hanno la forza per i rovinare il piano di Turchia, questo è il motivo per cui i piani della Turchia per la regione possono solo portare ad ulteriori spargimenti di sangue e combattimenti».
Sospetti che si basano su quanto sta accadendo a Kobane, una città che sarebbe praticamente impossibile conquistare senza passare dal confine turco. «Quelli che hanno coordinato l’attacco Kobane sono le forze speciali e gli ufficiali dell’esercito [turco] che hanno già combattuto contro i guerriglieri del PKK – scrive Kurdish Question – Per qualche motivo i membri dell’Isis che stanno passando attraverso il confine turco per attaccare alle spalle i Kurdi dell’Ygp non vengono intercettati dall’esercito turco. Che è piuttosto impegnato ad attaccare i kurdi, facendo annunci del tipo «L’Isis la farà finita con voi e noi vi finiremo qui».
La Turchia è accusata di aver impedito ai combattenti dell’Ypg di raggiungere Kobane attraverso Tel Abyad. «Geograficamente parlando non c’è altro modo – dice Dicle – Tuttavia, ancora una volta, la Turchia sta facendo problemi. Hanno organizzato la tribù Begara nella regione per formare un esercito per combattere il Ypg. Sul lato turco del confine, nei terreni agricoli della statale Tigem sono stati realizzati due valichi di frontiera temporanei, a nessun giornalista è consentito vicino alla zona. Perché?» E’ stato lo stesso leader della tribù Begara, Newaf El Besiri, ad ammettere che l’attacco contro i kurdi di Serekaniye è stato organizzata ad Urfa.
Ma i kurdi criticano anche gli attacchi aerei portati dalla coalizione a guida statunitense che finora non hanno portato nessun sollievo agli assediati di Kobane: «Nessuna delle forze della coalizione si è impegnata contro l’Isis in questa regione. Al contrario, ISIS ha potuto inviare più rinforzi a Kobane».
Il problema è che gli Usa non considerano Kobane una regione strategica per loro e il sospetto è che vedano nella sua caduta il modo per costringere i kurdi irakeni ad entrare in Siria per evitare una strage etnica e poi alla Turchia di dare a sua volta il via ad un’invasione di terra che avrebbe nel mirino anche il regime nazional-socialista siriano di Bashir al-Assad, già alleato di Erdogan nella repressione anti-Kurda.
Ma i kurdi giurano che «Kobane sarà la scena del crollo di questi sporchi piani. Kobane sarà il teatro di una rinascita».