«Renzi ha rottamato le persone del ‘900 ma non le più fallimentari idee di sviluppo dell’epoca»
Greenpeace, Legambiente e Wwf contro lo Sblocca Italia: «Decreto totalmente antiambientale»
«L’Italia non è una colonia dei signori del petrolio». E presidiano Montecitorio
[15 Ottobre 2014]
Secondo Greenpeace Italia, Legambiente e Wwf, «il Governo Renzi, con le disposizioni contenute nell’art. 38 del decreto legge Sblocca Italia, favorisce la nuova colonizzazione del nostro territorio e dei nostri mari da parte dell’industria petrolifera, invece di difendere l’interesse pubblico ad uno sviluppo economico sostenibile, ampliando le servitù petrolifere in Basilicata a 3/4 del suo territorio, bypassando il divieto in Alto Adriatico, favorendo le attività nel canale di Sicilia e mettendo a rischio anche il Nord Ovest della Sardegna».
Le tre grandi associazioni ambientaliste reagiscono rilanciando e approfondendo le loro critiche al provvedimento e dando il via ad un Programma di iniziative nei punti caldi della Penisola, anche per la mobilitazione di massa di cittadini, categorie economico-sociali, rappresentanti degli enti locali e dei parlamentari. La prima iniziativa è stata quella del 12 ottobre a Licata (Agrigento) a bordo della “Rainbow Warrior”, la nave di Greenpeace che il 17 attraccherà a Siracusa, altri appuntamenti sono previsti il 24 a Pescara, in Abruzzo, e a Bari, in Puglia, e il 27 a Potenza, in Basilicata.
Oggi gli ambientalisti hanno aperto un confronto con i parlamentari delle Commissioni ambiente e attività produttive di Camera e Senato e hanno presentato il Programma in una conferenza stampa a Montecitorio, introdotta dalle relazioni di Alessandro Giannì, direttore delle Campagne di Greenpeace Italia, Stefano Lenzi, responsabile dell’Ufficio relazioni istituzionali del Wwf Italia, e Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente nazionale. All’incontro è intervenuto anche il costituzionalista Enzo Di Salvatore, esponente del movimento “No Triv”.
Secondo le tre associazioni ambientaliste «l’articolo 38 del decreto legge n. 133/2014 è nel solco di una strategia del Ministero dello Sviluppo Economico che tende a favorire gli interessi dei petrolieri sin dal 2010, quando ci fu la modifica del Codice dell’Ambiente (con l’art. 2 del decreto legislativo 128/2010) sulla interdizione alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi in una fascia di 12 miglia dal perimetro esterno delle aree naturali protette marine e costiere, e cerca di scardinare qualsiasi norma prudenziale, prima con l’apertura delle attività nel Golfo di Taranto, già nel 2011, poi con la sanatoria delle “procedure in corso” al giugno 2010 seppur localizzate nelle aree interdette (contenuta nell’art. 35 del “decreto sviluppo” n. 83 del 2012) e ancora con l’individuazione di una nuova area di sfruttamento, grande quanto la Corsica, tra la Sardegna e le Baleari (con il Decreto Ministeriale del 9/8/2013). Ma il calcolo costi-benefici dell’impatto economico, sociale e ambientale di questo approccio è assolutamente perdente quando si pensi che l’inquinamento sistematico e il rischio di incidente mettono a rischio aree di pregio naturalistico e paesaggistico, dove si svolgono fiorenti attività economiche legate ai settori delle pesca e del turismo per cercare di estrarre petrolio di bassa qualità che potrebbe coprire, valutate le riserve certe a terra e a mare, il fabbisogno nazionale per appena 13 mesi».
Durissimo il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza: «Mai avevamo assistito ad un intervento legislativo così organicamente antiambientale e così carico di interventi sbagliati, all’opposto del sostegno ad un’economia circolare e low carbon. Il DL Sblocca Italia avrebbe potuto essere uno “Sblocca Futuro”, se gli interventi normativi, le semplificazioni, gli standard di efficienza avessero risposto a un chiaro disegno di trasformazione del paese nella direzione dello sviluppo di un’economia moderna e ecosostenibile. Il provvedimento invece ripropone un’Italia vecchia, incapace di stare al passo con i tempi, che si limita a fare “tana libera tutti” contro i lacci e lacciuoli, che imbriglierebbero il sistema. E mentre tutto il mondo cerca il modo migliore per uscire dall’egemonia del fossile, qui si autorizzano e rilanciano ricerche, trivellazioni ed estrazioni ovunque, con royalties irrisorie, senza obbligo di ripristino in caso di incidente, e con l’estromissione delle Regioni dalla VIA per i giacimenti a terra. Non c’è, inoltre, nessuno snellimento delle procedure ma deroghe, commissariamenti, accentramento delle decisioni e un po’ di risorse. Esautorati enti locali e regioni si torna al modello Bertolaso, che ha prodotto i danni e la corruttela che sappiamo. E non siamo noi a denunciarlo, ma la Commissione Ambiente Cantone e la Banca d’Italia, che parla di ripercussioni negative sui tempi, i costi, e della “vulnerabilità ai rischi di corruzione. Viene da chiederci, quindi, quando il premier Renzi, che ha rottamato con clamore le persone del Novecento, intenda rottamare anche le idee di sviluppo più inefficaci e fallimentari che hanno caratterizzato quel periodo e, contestualmente, vorremmo rivolgere anche un appello al movimento sindacale affinché si opponga al decreto Sblocca Italia, che dopo tanti annunci ha riproposto un modello di sviluppo vecchio e stantio, incapace di guardare al futuro e alla modernità e di offrire nuovo buon lavoro».
Gli ambientalisti hanno presentato le loro e osservazioni e hanno chiesto l’abrogazione dell’art. 38 dello Sblocca Italia, e ora approfondiscono la loro critica focalizzandola su alcuni aspetti del decreto:
Emarginazione delle Regioni e degli enti locali – Al contrario di quanto esplicitamente stabilito dalla giurisprudenza, in particolare dalla Sentenza della Corte Costituzionale n. 383/2005, si cerca di bypassare l’obbligo di “intese forti” con le Regioni, scippando oltretutto le procedure di Valutazioni di Impatto Ambientale (VIA) sulle attività a terra di loro competenza. Gli enti locali vengono totalmente ignorati, arretrando anche rispetto alle disposizioni dell’art. 35 del decreto legge 83/2012 che stabiliva comunque che fossero acquisito, in sede di VIA, il parere degli enti locali posti in un raggio di dodici miglia dalle aree protette marine e costiere.
Tutto è “strategico”: mano libera ai privati – Nel decreto si stabilisce che indistintamente un’intera categoria di attività di prospezione, ricerca coltivazioni di idrocarburi e stoccaggio nel sottosuolo rientrino nelle procedure accelerate e semplificate derivanti dalla legge Obiettivo che consentono, contro ogni principio precauzionale, di dare la compatibilità ambientale in appena 60 giorni anche a progetti molto impattanti e tecnologicamente delicati. Ma la corsia preferenziale viene accordata normalmente solo alle opere individuate nel Programma delle infrastrutture strategiche, mentre la norma contenuta nello Sblocca Italia dà carta bianca a tutti gli appetiti dei privati senza alcuna indicazione di priorità.
L’Alto Adriatico non è più offlimits – pur di riprendere le attività di produzione interrotte nel 2002 per la delicatissima situazione geologica dell’Alto Adriatico vengono avviati forzosamente, con arroganza orwelliana, “progetti sperimentali di coltivazione”, sui cui il Ministero dello Sviluppo Economico vuole dire la sua, invece di concludere gli studi necessari per verificare il grave pericolo di subsidenza (nel litorale ravennate è stato registrato recentemente un abbassamento pari a 20 mm/anno) nel quadrante tra il parallelo che passa per la foce del fiume Tagliamento e per la foce del ramo di Goro del fiume Po. Studi che dovevano essere condotti sotto la regia del Ministero dell’Ambiente (secondo quanto stabilito dalla legge 179/2002 che dettava disposizioni in materia ambientale). Non solo, la norma è scritta così male che potrebbe anche favorire forzature in altre parti del Paese.