Riceviamo e volentieri pubblichiamo la riflessione del Consiglio nazionale dei geologi
Sandro Pertini, in Irpinia dopo il terremoto di 34 anni fa: parole da ricordare
[26 Novembre 2014]
Ricorre oggi, a distanza di 34 anni esatti, l’anniversario del famoso discorso dell’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini (26 novembre 1980), in occasione del terribile terremoto dell’Irpinia che rase al suolo numerosi paesi e fece registrare oltre 2900 vittime. Quelle parole, dense di umiltà e grande senso dello Stato penetrarono nelle coscienze di tutti gli italiani, attivando quei processi normativi che portarono alle prime norme utili alla protezione sismica dei vecchi fabbricati ed a criteri per la realizzazione dei nuovi, cosa che, né gli sconvolgenti eventi di Avezzano e Belice erano riusciti ad attivare. Quelle parole rivolte al Paese, trasmesse dalla Rai a reti unificate, quella sera del 26 novembre 1980, furono da monito per le generazioni future.
Come di incanto e in maniera alquanto singolare, proprio in questi giorni si torna a parlare nuovamente di normativa sismica e adeguamento della stessa alle reali condizioni di rischio della penisola, dopo che ogni evento calamitoso (Umbria, San Giuliano di Puglia, L’Aquila, Emilia Romagna) ha dimostrato la carenza e l’inefficacia dei provvedimenti adottati, soprattutto riguardo agli edifici costruiti prima degli anni 70-80.
È notizia di pochi giorni fa di come il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici abbia approvato le modifiche alle Norme Tecniche delle Costruzioni vigenti dal 1 luglio 2009, sebbene il consenso del mondo tecnico si sia dimostrato non univocamente allineato sulla ratio adottata: un grosso passo indietro rispetto alla consapevolezza che il rischio sismico passa inevitabilmente dalla conoscenza geologica del territorio introdotta dalle norme post Irpinia.
Nel testo approvato si è preferito trovare un compromesso per gli edifici esistenti, che richiederanno così un adeguamento antisismico con criteri differenti (e meno stringenti) rispetto al nuovo, ignorando tra l’altro la conoscenza puntuale delle condizioni geologiche del sito. Un provvedimento che alcuni hanno definito “un grande passo verso le normative europee (…)”, “(…) una soluzione che rende più semplici gli interventi sugli edifici esistenti”, senza considerare che in Europa non esistono paesi con sismicità pari all’Italia e con un patrimonio edilizio così datato. Si aggiunga inoltre che, spesso, gli edifici maggiormente datati sono quelli che ospitano istituti scolastici per capire come le scelte operate siano antitetiche rispetto a quanto auspicato da Pertini 34 anni fa.
Eppure, in audizione presso il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, il Consiglio Nazionale dei Geologi, rappresentato dal Vicepresidente Vittorio D’Oriano, ha espresso grande contrarietà e preoccupazione “(…) dalla lettura degli articoli emerge infatti la volontà di operare una dicotomia assoluta tra geologia e geotecnica. Noi riteniamo che questa volontà sia antistorica, non scientifica, irrazionale e foriera di grandi problemi nel tempo a venire”, nella totale indifferenza di chi ha seguito altre logiche, verso un salto nel vuoto.
Il criterio di riduzione di protezione sismica degli edifici costruiti prima del 1970 in quanto “sarebbe demagogico pretendere che gli edifici costruiti in epoca antecedente la classificazione sismica, seppure attraverso interventi di adeguamento, possano raggiungere prestazioni strutturali paragonabili a quelle degli edifici di nuova costruzione (dichiarazioni di chi ha sostenuto a spada tratta la regressione)” pone tali edifici nella medesima condizione in cui si trovavano 34 anni fa.
Nella sua disperazione il Presidente Pertini parlò in generale di calamità naturali, sottolineando già da allora la grande vulnerabilità del nostro territorio, e dell’inerzia di alcuni apparati dello Stato nei confronti di una realtà dura ad essere recepita da chi è chiamato ad un dovere morale nei confronti della popolazione e delle generazioni future.
Il grido di allarme dei geologi è tanto forte quanto inascoltato, nella vana speranza che quelle parole pronunciate il 26 novembre del 1980 siano ancora oggi di monito ed insegnamento per chi segue logiche diverse rispetto all’interesse reale del Paese e dei suoi cittadini.
Al fine di suscitare, a chi sarà chiamato agli adempimenti necessari al compimento dell’iter di perfezionamento di tale norma, un sentimento di profonda responsabilità e coscienza, si rimanda al testo ed al video integrale di quel discorso (pubblicato sui siti di tutti gli ordini regionali) che è rimasto impresso nel cuore di molti ma che alcuni hanno dimenticato.
«Italiane e italiani, sono tornato ieri sera dalle zone devastate dalla tremenda catastrofe sismica. Ho assistito a degli spettacoli che mai dimenticherò. Interi paesi rasi al suolo, la disperazione poi dei sopravvissuti vivrà nel mio animo. Sono arrivato in quei paesi subito dopo la notizia che mi è giunta a Roma della catastrofe, sono partito ieri sera. Ebbene, a distanza di 48 ore, non erano ancora giunti in quei paesi gli aiuti necessari. E’ vero, io sono stato avvicinato dagli abitanti delle zone terremotate che mi hanno manifestato la loro disperazione e il loro dolore, ma anche la loro rabbia. Non è vero, come ha scritto qualcuno che si sono scagliati contro di me, anzi, io sono stato circondato da affetto e comprensione umana. Ma questo non conta. Quello che ho potuto constatare è che non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi. E i superstiti presi di rabbia mi dicevano: ‘ma noi non abbiamo gli attrezzi necessari per poter salvare questi nostri congiunti, liberarli dalle macerie’. Io ricordo anche questa scena: una bambina mi si è avvicinata disperata, mi si e’ gettata al collo e mi ha detto piangendo che aveva perduto sua madre, suo padre e i suoi fratelli. Una donna disperata e piangente che mi ha detto ‘ho perduto mio marito e i miei figli’. E i superstiti che li’ vagavano fra queste rovine, impotenti a recare aiuto a coloro che sotto le rovine ancora vi erano. Ebbene, io allora, in quel momento, mi sono chiesto come mi chiedo adesso, questo.
Nel 1970 in Parlamento furono votate leggi riguardanti le calamità naturali. Vengo a sapere adesso che non sono stati attuati i regolamenti di esecuzione di queste leggi. E mi chiedo: se questi centri di soccorso immediati sono stati istituiti, perché non hanno funzionato? Perché a distanza di 48 ore non si è fatta sentire la loro presenza in queste zone devastate? Non bastano adesso; Vi è anche questo episodio che devo ricordare, che mette in evidenza la mancanza di aiuti immediati. Cittadini superstiti di un paese dell’Irpinia mi hanno avvicinato e mi hanno detto: ‘Vede, i soldati ed i carabinieri che si stanno prodigando in un modo ammirevole e commovente per aiutarci, oggi ci hanno dato la loro razione di viveri perché noi non abbiamo di che mangiare’. Non erano arrivate a quelle popolazioni razioni di viveri. Quindi questi centri di soccorso immediato, se sono stati fatti, ripeto, non hanno funzionato. Vi sono state delle mancanze gravi, non vi è dubbio, e quindi chi ha mancato deve essere colpito, come è stato colpito il prefetto di Avellino, che è stato rimosso giustamente dalla sua carica. Adesso non si può pensare soltanto ad inviare tende in quelle zone. Sta piovendo, si avvicina l’inverno, e con l’inverno il freddo. E quindi è assurdo pensare di ricoverarli, pensare di far passare l’inverno ai superstiti sotto queste tende. Bisogna pensare a ricoverarli in alloggi questi superstiti. E poi bisogna pensare a una casa per loro. Su questo punto io voglio soffermarmi, sia pure brevemente. Non deve ripetersi quello che è avvenuto nel Belice. Io ricordo che sono andato in visita in Sicilia. Ed a Palermo venne il parroco di Santa Ninfa con i suoi concittadini a lamentare questo: che a distanza di 13 anni nel Belice non sono state ancora costruite le case promesse. I terremotati vivono ancora in baracche: eppure allora fu stanziato il denaro necessario. Le somme necessarie furono stanziate. Mi chiedo: dove è andato a finire questo denaro ? Chi è che ha speculato su questa disgrazia del Belice? E se vi è qualcuno che ha speculato, io chiedo: costui è in carcere, come dovrebbe essere in carcere? Perché l’infamia maggiore, per me, è quella di speculare sulle disgrazie altrui. Quindi, non si ripeta, per carità, quanto è avvenuto nel Belice, perché sarebbe un affronto non solo alle vittime di questo disastro sismico, ma sarebbe un’offesa che toccherebbe la coscienza di tutti gli italiani, della nazione intera e della mia prima di tutto.
Quindi si provveda seriamente, si veda di dare a costoro al più presto, a tutte le famiglie, una casa. Io ho assistito anche a questo spettacolo. Degli emigranti che erano arrivati dalla Germania e dalla Svizzera e con i loro risparmi si erano costruiti una casa, li ho visti piangere dinanzi alle rovine di queste loro case. Ed allora: non vi è bisogno di nuove leggi, la legge esiste. Ecco perché io ho rinunciato ad inviare, come era mio proposito in un primo momento, un messaggio al parlamento. Si applichi questa legge e si dia vita a questi regolamenti di esecuzione, e si cerchi subito di portare soccorsi ai superstiti e di ricoverarli non in tende ma in alloggi dove possano passare l’inverno e attendere che sia risolta la loro situazione. Perché un appello voglio rivolgere a voi, italiane e italiani, senza retorica, un appello che sorge dal mio cuore, di un uomo che ha assistito a tante tragedie, a degli spettacoli, che mai dimenticherò, di dolore e di disperazione in quei paesi. A tutte le italiane e gli italiani: qui non c’entra la politica, qui c’entra la solidarietà umana, tutte le italiane e gli italiani devono mobilitarsi per andare in aiuto a questi fratelli colpiti da questa nuova sciagura. Perché, credetemi, il modo migliore di ricordare i morti è quello di pensare ai vivi».