Uno studio dell’Ohio State University rivoluziona il ciclo dell’acqua nel nostro Pianeta
E’ la Terra stessa a produrre l’acqua nelle sue profondità?
[19 Dicembre 2014]
Ieri abbiamo scritto della scoperta della più antica acqua della Terra e dagli Usa arriva un nuovo studio che contribuisce a rispondere a una vecchia domanda che la missione spaziale Rosetta ha riportato alla ribalta della scienza della terra: il nostro pianeta azzurro ha prodotto la sua acqua attraverso processi geologici, o l’acqua è stata portata sulla Terra dalle comete ghiacciate che raggiungono il sistema solare? Secondo i ricercatori dell’Ohio State University, la risposta è probabilmente entrambe le cose in quanto «attualmente la stessa quantità di acqua che riempie l’Oceano Pacifico potrebbe essere sepolta in profondità all’interno del pianeta»
La ricerca è stata presentata il 17 dicembre al meeting dell’American Geophysical Union (Agu), dove i ricercatori hanno reso nota la scoperta di un percorso geochimica sconosciuto attraverso il quale la Terra può stoccare l’acqua al suo interno per miliardi di anni e rilasciarne piccole quantità sulla superficie attraverso la crosta, alimentando così i nostri oceani dal di dentro.
Tentando di comprendere la formazione della Terra primordiale, diversi scienziati avevano suggerito che il nostro pianeta fosse arido ed inospitale per la vita fino a che non è stato “bombardato” da comete ghiacciate che hanno portato l’acqua sulla Terra, una teoria a quanto pare messa in discussione dai primi risultati di rosetta. Wendi Paner, che insegna scienze della Terra all’Ohio State, e il dottorando Jeff Pigott stanno seguendo un’ ipotesi diversa: «La Terra si è formata con interi oceani di acqua al suo interno e da allora sta continuamente fornendo acqua in superficie attraverso la tettonica a placche».
Da tempo la scienza ha accettato il fatto che il mantello del nostro pianeta contiene acqua, ma quanta sia quest’acqua è un mistero e gli stessi ricercatori dell’Ohio State University si chiedono: «Se qualche meccanismo geologico ha fornito l’acqua in superficie per tutto questo tempo, l’acqua nel mantello non si sarebbe ormai esaurito?».
Dato che non c’è alcun modo di studiare direttamente rocce del mantello profondo, Panero e Pigott stanno studiando la cosa con gli esperimenti di fisica ad alta pressione e calcoli informatici e la Panero spiega: «Quando guardiamo alle origini dell’acqua sulla Terra, quello che ci stiamo realmente chiedendo è: perché siamo così diversi rispetto a tutti gli altri pianeti? In questo sistema solare, la Terra è unica perché abbiamo acqua liquida sulla superficie. Siamo anche l’unico pianeta con la tettonica a zolle attiva. Forse quest’acqua nel mantello è la chiave per la tettonica a zolle e fa parte di ciò che rende la Terra abitabile».
Al centro dello studio è l’idea che le rocce che ci sembrano “asciutte” possano in realtà contenere acqua sotto forma di atomi di idrogeno intrappolati all’interno dei “vuoti naturali” e di difetti dei cristalli. Dato che l’altro componente dell’H2O, l’ossigeno, è abbondante nei minerali, quando un minerale contiene anche idrogeno, alcune reazioni chimiche potrebbero legare idrogeno ed ossigeno e produrre l’acqua. «Gli atomi vaganti di idrogeno potrebbe costituire solo una piccola frazione del mantello di roccia – spiegano ricercatori – Però, dato che il mantello è più dell’80% del volume totale del pianeta, quegli atomi vaganti possono aggiungere un sacco di acqua potenziale».
Nel laboratori dell’Ohio State University Mineral Physics Research Group i ricercatori hanno compresso diversi minerali che sono comuni nel mantello e li hanno sottoposti a pressioni e temperature elevate con una “diamond anvill cell”, uno strumento che comprime un piccolo campione di materiale tra due diamanti e lo riscalda con un laser per simulare le condizioni estreme presenti nelle profondità della Terra. Esaminando come le strutture cristalline dei minerali cambiano con questa enorme compressione ed utilizzando queste informazioni per valutare le capacità di stoccaggio dei minerali, i ricercatori hanno poi ampliato i loro risultati sperimentali con i calcoli al computer per scoprire i processi geochimici che consentono a questi minerali di risalire attraverso il mantello fino alla superficie, una condizione necessaria perché l’acqua sotterranea giunga fino agli oceani.
In uno studio appena sottoposto alla a peer-reviewed gli scienziati hanno presentato i loro recenti test sulla bridgmanite, il minerale più abbondante nel mantello inferiore, ed hanno scoperto che contiene troppo poco idrogeno per svolgere un ruolo importante nel rifornimento di acqua della Terra. Un altro gruppo di ricerca ha recentemente scoperto che la ringwoodite, un’altra forma di olivina che è molto abbondante nel mantello terrestre, non contiene abbastanza idrogeno per farne una buona candidata per lo stoccaggio di acqua nelle profondità della Terra. Quindi Panero e Pigott si sono concentrati sulla profondità alla quale si trova la ringwoodite, a 325 – 500 miglia sotto la superficie terrestre, in quella che i ricercatori chiamano la “zona di transizione”, e che secondo loro è la regione che più probabilmente può contenere l’enorme quantità di acqua sotterranea: «Da qui – dicono – la stessa convezione del mantello roccioso che produce i movimenti tettonici potrebbe portare l’acqua in superficie».
Ma sorge un altro problema: «Se tutta l’acqua nella ringwoodite viene continuamente scaricata in superficie attraverso la tettonica a zolle, come può il nostro pianeta stoccarne una così grande in riserva? Secndo la ricerca presentata all’Agu da Panero e Pigott, che hanno effettuato nuovi calcoli informatici della geochimica riguardanti la parte più bassa del mantello, a circa 500 miglia di profondità ed oltre, c’è un altro minerale, il granato, che potrebbe essere un probabile “water-carrier” che potrebbe portare una parte dell’acqua prodotta dalla ringwoodite nel mantello inferiore, dove altrimenti si prosciugherebbe.
«Se questo scenario è accurato – dice la Panero – la Terra potrebbe contenere oggi nelle sue profondità la metà dell’acqua come è attualmente si trova negli oceani sulla superficie, un ammontare che sarebbe pari circa al volume del Pacifico. Questa acqua viene continuamente riciclata attraverso la zona di transizione grazie alla tettonica a placche». Pigott aggiunge. «Un modo per guardare a questa ricerca è che stiamo mettendo dei limiti alla quantità di acqua che potrebbe esserci laggiù».
La Panero ha definito il complesso rapporto tra la tettonica delle placche e delle acque di superficie «Uno dei grandi misteri delle geoscienze», ma questo nuovo studio sostiene quello che pensano sempre più scienziati: che la convezione del mantello regoli in qualche modo la quantità di acqua negli oceani, espandendo anche notevolmente la “timeline” del ciclo dell’acqua della Terra.
La Panero conclude: «Se tutta l’acqua della Terra è in superficie, questo ci dà una interpretazione del ciclo dell’acqua, dove possiamo pensare ad un ciclo dell’acqua dagli oceani all’atmosfera e nelle acque sotterranee nel corso di milioni di anni. Ma se anche la circolazione del mantello è parte del ciclo dell’acqua, il tempo di ciclo totale per l’acqua del nostro pianeta deve essere di miliardi di anni».