Con riserve esistenti e “non convenzionali” impossibile centrare l’obiettivo 2°C entro il 2050
Petrolio, gas e carbone: individuati quali e quanti sono gli idrocarburi intoccabili
Nature, devono restare sottoterra per salvare il clima. «Sfida enorme, ma ce la possiamo fare»
[8 Gennaio 2015]
Mentre le borse vacillano e l’economia reale vede un barlume di ripresa per il brusco calo del prezzo del petrolio, Nature pubblica lo studio The geographical distribution of fossil fuels unused when limiting global warming to 2°C buttando, è il caso di dirlo, butta molta acqua sul fuoco degli idrocarburi a buon mercato e avvertendo che, se sui vuole davvero mantenere il riscaldamento globale al di sotto dell’obiettivo dei 2 gradi centigradi che si sono dati i Paesi del mondo alle trattative climatiche dell’Unfcc, «un terzo delle attuali riserve di petrolio, la metà delle riserve di gas e oltre l’80% delle riserve di carbone a livello mondiale dovrebbero rimanere nel terreno e non essere utilizzate prima del 2050».
Lo studio, realizzato da Christophe McGlade e Paul Elkins e dell’Institute for Sustainable Resources dell’University College London (Ucl) e finanziato dall’UK Energy Research Centre, identifica anche la posizione geografica delle riserve di idrocarburi e carbone esistenti che dovrebbero rimanere inutilizzati e quindi stabilisce le regioni che probabilmente non riusciranno a raggiungere l’obiettivo dei 2°C. Gli autori dimostrano che la stragrande maggioranza delle enormi riserve di carbone in Cina, Russia e Stati Uniti dovrebbero rimanere inutilizzati insieme agli oltre 260 miliardi di riserve di petrolio di barili in Medio Oriente, equivalenti a tutte le riserve di petrolio dell’Arabia Saudita. Il Medio Oriente dovrebbe anche lasciare sotto terra (o sotto il fondo del mare) più del 60% delle sue riserve di gas.
L’altro grossissimo rischio per il clima viene dello sfruttamento delle risorse dell’Artico e dall’aumento del petrolio non convenzionale – di scarsa qualità, e difficile da estrarre – come quello delle sabbie bituminose canadesi. Per esempio, proprio il Canada, se vuole davvero raggiungere il suo obiettivo, non può produrre più di 7,5 miliardi di barili di petrolio dalle sabbie bituminose entro il 2050: solo il 15% delle sue risorse e solo l’1% delle sabbie bituminose totali. Inoltre deve lasciare sotto terra un bel po’ di petrolio e di gas convenzionali e quasi tutto il carbone. Gli stessi sacrifici, e ancora più grossi, dovrebbero esseri fatti da paesi produttori di carbone, come gli Stati Uniti, la Cina, l’India e la Russia
Il team di scienziati dell’Ucl ha sviluppato per la prima volta un metodo innovativo per stimare le quantità, i luoghi e la natura delle risorse petrolifere, gasiere e carbonifere del modo e quindi ha utilizzato un modello di valutazione integrata per capire quali e quante di queste riserve, insieme alle fonti energetiche low carbon, possono essere utilizzate fino al 2050 per soddisfare le esigenze energetiche del mondo. Il modello, che utilizza un modelling framework riconosciuto a livello internazionale, ha avuto molti miglioramenti rispetto ai modelli precedenti, permettendo di avere la rappresentazione delle dinamiche di produzione a lungo termine e delle risorse potenziali di combustibili fossili migliore a livello mondiale.
McGlade ha sottolineato: «Ora abbiamo i dati concreti sulle quantità e sui siti dei combustibili fossili che dovrebbero rimanere inutilizzati nel tentativo di mantenerci entro il limite di 2°C di temperatura. I responsabili politici devono rendersi conto che i loro istinti di utilizzare completamente i combustibili fossili nei loro Paesi sono del tutto incompatibili con i loro impegni per l’obiettivo di 2° C». Insomma se i Paesi produttori di petrolio, gas e carbone vogliono rispettare i patti e contribuire a salvare il pianeta così come lo conosciamo, devono lasciare gran parte delle loro riserve “non bruciate” per non superare il loro carbon budget e quello mondiale. «Tutti i politici di tutto il mondo hanno aderito a questa idea di mantenere l’aumento della temperatura al di sotto di due gradi – dice McGlade – Uno dei maggiori risultati prodotto da questo studio è quanto sia in contrasto con le attuali opinioni che ogni Paese possa mettere in produzione tutte le sue riserve e risorse. Quindi, che volevamo dimostrare è questa disparità».
Elkins, che a capodanno è stato insignito dell’Ordine dell’Impero Britannico per i servizi resi nella politica ambientale, spiega che «le companies l’anno scorso hanno speso più di 670 miliardi dollari per la ricerca e lo sviluppo di nuove risorse di combustibili fossili. Dovranno ripensare sostanzialmente tali bilanci se vogliamo attuare le politiche per sostenere il limite di 2° C, tanto più che le nuove scoperte non possono portare ad un aumento della produzione aggregata. Anche gli investitori in queste companies dovrebbero mettere in discussione la spesa di tali bilanci. Una maggiore attenzione globale alla politica climatica significa anche che le companies dei combustibili fossili stanno diventando sempre più rischiose per gli investitori in termini di rendimenti a lungo termine. Mi aspetterei che investitori prudenti nell’energia si spostassero sempre più verso fonti energetiche low carbon».
Lo studio in sostanza dice che non c’è ragione di continuare a esplorare nuovi giacimenti di petrolio e gasieri in tutto il mondo, dal momento che non possiamo permetterci di estrarre nemmeno quello che è già stato scoperto. E lo studio avverte che soluzioni tecnologiche miracolistiche, come la Carbon capture and storage (Ccs) di CO2, non sono per niente efficaci come si vorrebbe far credere.
I risultati dello studio sono coerenti con una grande varietà di approcci di modellazione alternativi realizzati da altri team di ricerca in tutto il mondo con diverse ipotesi. Sulla base di questa analisi, il team Ucl si propone di approfondire i cambiamenti della produzione globale di combustibili fossili con scenari che portano a diverse temperature medie di aumento globale a lungo termine.
In un’intervista alla CBS News John Stone, uno degli scienziati che ha partecipato alla redazione dell’ultimo rapporto Ipcc, evidenzia che «Questo studio è un altro campanello d’allarme per ad uscire fuori della nostra negazione del cambiamento climatico. Mantenere il riscaldamento entro i due gradi non significa che il mondo eviterà conseguenze negative. L’obiettivo viene da una decisione politica su quanti rischi e danni il mondo è disposto a tollerare nella transizione verso un’economia sostenibile alimentato da energia rinnovabile. Gli effetti del cambiamento climatico si fanno già sentire e con un aumento medio di due gradi saranno molto più gravi. Le temperature globali sono circa mezzo grado più elevate di quanto non fossero prima della rivoluzione industriale ed il carbonio già oggi nell’atmosfera probabilmente produrrà un aumento di un altro mezzo grado, anche se tutte le emissioni venissero bloccate domani».
Anche contenendo l’aumento delle temperature entro i 2° C il mondo sarà diverso: studi recenti sulla produzione alimentare hanno dimostrato che anche centrando questo obiettivo ci saranno gravi danni per i raccolti in Paesi come l’India e la Cina che nel prossimo futuro potrebbero avere grosse difficoltà a nutrire le due popolazioni più numerose del mondo. E’ questo che preoccupa molto il regime cinese e che ha spinto i leader comunisti a firmare uno storico (ma insufficiente) accordo climatico con gli Usa nel novembre 2014, lo stesso accordo che ora gli ecoscettici repubblicani al soldo delle multinazionali fossili ora vogliono fare a pezzi nel Congresso Usa.
Secondo Stone, «lo studio mostra la portata della sfida. Ma rimango ottimista, ce la possiamo fare. Se andiamo indietro nella storia, vediamo che abbiamo modificato la nostra economia per combattere la guerra, in modi sorprendenti, se ci guardiamo indietro. Quindi, se c’è ottimismo, se c’è fantasia e, più di ogni altra cosa, se c’è la volontà politica, tutto è possibile. Il rapporto non sta dicendo che il mondo dovrà vivere senza energia, dice solo che deve accelerare la transizione verso le alternative. E’ stato un ministro del Petrolio saudita che ha detto negli anni ’70, “l’età della pietra non è finita perché abbiamo finito di pietre. E’ finita perché abbiamo cambiato la tecnologia”. E ora stiamo cambiando il nostro sistema energetico da uno che si basa sui combustibili fossili ad uno che si basa sempre più sulle energie rinnovabili».