Waste end, la nuova frontiera del Made in Italy si fonda sul recupero di materia
[13 Marzo 2015]
Non c’è niente di più affamato sul nostro pianeta di quell’immenso e multiforme organismo che racchiude ogni attività economica dell’essere umano. L’utilizzo globale di risorse materiali, come ricordato nell’ultimo rapporto ambientale dell’Unione europea, è decuplicato dal 1900 a oggi, e la prospettiva è che raddoppierà ancora da qui al 2030. Al contempo la popolazione mondiale aumenterà ancora, e si amplierà la fetta dei consumatori: tra appena 15 anni saremo in 8,4 miliardi sul pianeta, e il 58% di noi (dal 27% di oggi) farà parte della “classe media”. Questa tendenza apre a radicali (e anche positive) trasformazioni nelle prospettive sociali, ma si basa su un’assai scricchiolante base ambientale. Senza capitale naturale, quello economico (e sociale) crolla. In tale quadro globale la piccola ma industriosa Italia si trova oggi a rivestire il ruolo di seconda potenza industriale d’Europa, ma con una assai scarsa disponibilità di materie prime. L’Ue stessa dipende strettamente dalle importazioni per il mantenimento dei propri stili di vita.
Ed è così che il recupero di materia dai nostri cicli di produzione e consumo dovrebbe essere innanzitutto visto come una centrale discriminante geopolitica ed economica, ancor prima che ambientale. Il rapporto Waste End. Economia circolare, nuova frontiera del made in Italy, presentato oggi da Symbola e Kinexia, si inserisce in pieno all’interno di questo contesto, e propone una dettagliata strategia per sfruttare le opportunità che arrivano da una gestione sostenibile e innovativa dei rifiuti urbani a vantaggio di imprese, occupati e competitività della nostra economia. «Un fronte che già oggi – sottolinea Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola – disegna una filiera produttiva innovativa, che è un pezzo importante dell’economia del futuro e sul quale bisogna investire con più ‘visione’ e convinzione».
«Il Paese ha bisogno di moderni centri del riciclo – gli fa eco Pietro Colucci, presidente e a.d. di Kinexia – dove entreranno scarti e usciranno materiali e dove il rifiuto verrà messo a dimora solo se non più recuperabile». Perché se lo stile comunicativo del rapporto punta sulla diffusa (e sovente travisata) formula dei “rifiuti zero”, nei numeri si esplicita chiaramente che – anche nell’avanzata prospettiva delineata nel rapporto Waste end – una «realistica e sobria valutazione delle potenzialità di riciclo non ci consente di affermare che raccolta differenziata e riciclo di materia chiudano il cerchio».
«Lo scenario tendenziale a dieci anni – spiega Colucci – potrebbe essere la fine dei termovalorizzatori come soluzione primaria allo smaltimento e la decisa riduzione delle discariche». A oggi del totale dei rifiuti urbani generati (che rappresentano in Italia circa ¼ degli speciali) si stima, nonostante fonti statistiche non sempre sufficientemente dettagliate, che lo 0,9% sia avviato a riutilizzo, il 21% a riciclo, il 13,3% a recupero agronomico e produzione di biogas, il 17,3% a recupero energetico e – infine – ben il 38,3% a discarica (il restante 9,3% è costituito da perdite di degradazione o altri usi e non contabilizzati). A tendere a zero può e deve essere quest’ultima, ingombrante fetta, mentre l’incenerimento si riduce, nella strategia Waste end, da circa il 17% al 7%; in questo scenario – si legge nel rapporto – è «evidente la necessità non solo di una sospensione di una costruzione di nuovi impianti, ma anche quella di una progressiva dismissione di molti impianti, inefficienti sia energeticamente che economicamente». Al contempo, è necessario cancellare i «sussidi perversi al recupero energetico» che l’Italia continua ancora oggi a garantire.
Per raggiungere i risultati dettagliati nel rapporto, Symbola e Kinexia sottolineano che «i cittadini da un lato e le imprese dall’altro, devono essere responsabilizzati e incentivati a partecipare al raggiungimento di obiettivi comuni e condivisi». Questo scenario evolutivo ruota attorno al perno fondamentale dell’aumento della materia recuperata dai rifiuti, e reimmessa nel ciclo produttivo: in particolare, il recupero di materia per i processi industriali passerebbe dall’attuale 24% dei rifiuti al 48,5%, con un effetto traino decisivo per quanto riguarda gli impatti economici e occupazionali. Per raggiungere quest’obiettivo i passi della strategia Waste end da compiere sono molti e diversificati, ma si sottolinea come «il settore probabilmente più critico per la capacità di riciclo di materia» sia quello «delle plastiche». Al quale dunque dovrebbe essere rivolto un adeguato sostegno, che a oggi manca.
Per “chiudere il cerchio” dell’economia giustappunto circolare manca ancora molto all’Italia, e anche l’Ue indietreggia proponendo il ritiro della direttiva da lei stessa proposta nel luglio scorso sul tema, ma la strada per lo sviluppo sostenibile è tracciata. Ci rimane da trovare il coraggio politico e civile per percorrerla.