Da Chernobyl un’altra nube radioattiva
L’Ucraina non ha i mezzi per affrontare gli incendi nell'area contaminata e le loro conseguenze
[30 Aprile 2015]
Preoccupa la politica di minimizzazione sugli effetti delle conseguenze degli incendi sviluppatisi nella zona di esclusione di Chernobyl (di pertinenza ucraina) la mattina di martedì 28 aprile 2015. A 48 ore di distanza, seppure l’incendio venga considerato domato, persistono ancora piccoli focolai. Il premier ucraino Yatseniuk ha reso noto che non c‘è alcun rischio radioattivo per la popolazione: “Il livello di radiazioni è assolutamente nella norma. Il livello massimo di sicurezza consentito è di 50 micro Roentgen e nella zona di esclusione ora è di 21, a Kiev di 11”.
Parole sicuramente dettate dalla necessità di non creare un allarmismo diffuso e, per di più, difficile da gestire in futuro alla luce e con la consapevolezza che l’Ucraina ha scarse risorse economiche, scarsi mezzi, limitati volontari e addetti (molti di essi sono, infatti, impegnati nella guerra del Donbass).
Nonostante queste rassicurazioni, la realtà risulta diversa. Si impongono queste riflessioni:
- L’incendio di 400 ettari di boschi è un incendio di ampia scala e sicuramente ha causato un ri-fallout di radionuclidi. Nella nube sviluppatasi dai fumi dell’incendio sono presenti particelle respirabili di Stronzio, Cesio, diversi isotopi di Uranio e il terribile Americio 241. Precedenti incendi di entità inferiori nell’area di esclusione, sulla base delle osservazioni dello scienziato Thimoty A. Mousseau del Dipartimento di scienze Biologiche dell’Università della Carolina del Sud (Columbia), avevano provocato una propagazione secondaria dell’ otto per cento delle radiazioni emesse dalla catastrofe alla centrale di Chernobyl.
- La comunità internazionale, oltre a preoccuparsi dei finanziamenti per la nuova copertura del sarcofago di Chernobyl, dovrebbe da subito mettere a disposizione risorse per una task force permanente in grado di intervenire con celerità, mezzi e personale adeguati in caso di incendi. Nella zone di esclusione si sta assistendo (studi dell’equipe di Mousseau) a un mancato decadimento della materia organica che implica, a sua volta, una maggiore permanenza (rispetto a quella prevista) di radioattività negli alberi. Infatti nelle foreste “normali” gli alberi caduti al suolo si riducono in segatura nel giro di 10 anni, mentre nella zona di esclusione il tempo è pressoché raddoppiato. La ragione di questa mancato degrado nella zona di esclusione di Chernobyl è da ricercarsi nei microbi, batteri, funghi, vermi, insetti ed altri organismi viventi conosciuti come decompositori (perché si nutrono di organismi morti) e che, all’interno della zona, sono diminuiti e – quindi – non compiono correttamente il loro lavoro. Mousseau ed il suo team lo hanno scoperto dopo aver lasciato, nel corso del 2007, 600 sacchi pieni di foglie in una zona intorno a Chernobyl. Quando, l’anno seguente, hanno raccolto i campioni hanno scoperto che i sacchi posti in una zona senza radioattività contenevano foglie decomposte per il 70%-90%, mentre quelli posizionati in un ambiente contaminato lo erano solo per circa il 40%. A fronte di questi dati è legittima la preoccupazione sull’alta possibilità che gli incendi, nella zona di esclusione, possano diventare catastrofici.
- Le parole del premier ucraino tendono a tranquillizzare, anche per il futuro, gli “eroici” pompieri che si sono prodigati per spegnere l’incendio. In situazioni di base, attorno alla zona di Chernobyl ci sono stazioni di vigili del fuoco pronti per prevenire un incendio boschivo al suo interno, ma non sono preparati per gestire quelli di grandi dimensioni, come quello occorso in questi giorni. Questi vigili del fuoco (come hanno dimostrato le immagini mentre erano all’opera) non dispongono di tute adeguatamente protettive e di respiratori. Attualmente monitorano le foreste con solo 6 torri di avvistamento e con un elicottero “occasionalmente disponibile”. Dispongono di un solo carro armato di fabbricazione sovietica adattato con una lama lunga 7 metri allo scopo di abbattere e rompere gli alberi morti che ostruiscono il passaggio sulle strade. Questi pompieri, intervenuti nel domare l’incendio (assieme a quelli aggiuntivi e “volontari” resisi necessari a causa della vastità dell’incendio), hanno sicuramente raggiunto nelle zone interessate e per il tempo della loro missione – nonostante i dati tranquillizzanti sui livelli di radioattività elencati da Yatseniuk – una dose aggiuntiva di inalazione rispetto “alla norma”. I nuclidi di plutonio hanno costituito il contributo preponderante della dose di inalazione.
- Come al solito i dati che sono stati diffusi riguardano esclusivamente i livelli di contaminazione radioattiva “gamma aerea”. Datiteoricamente corretti, ma ingannevoli: un irraggiamento esterno “debole“, può risultare un irraggiamento interno “dannoso“, come nel caso della presenza “poco rumorosa“, ma molto tossica, del plutonio nell’aria. La preoccupazione è, quindi, data dalle ricadute al suolo e all’effetto di cumulo con i radionuclidi già presenti. Un maggior numero di radionuclidi (in qualità e quantità) sarà ora disponibile per l’alimentazione umana attraverso le colture, i prodotti del sottobosco, i pascoli e le varie preparazioni alimentari derivanti. Preoccupa, per esempio, l’incidenza negativa che aggraverà le conseguenze sanitarie dei residenti ai margini della zona di esclusione, come gli abitanti di Ivankov, una delle zone più colpite dal fallout di Chernobyl e in cui l’incidenza di tumori e patologie è elevata. Questi residenti, anche a causa dell’economia di guerra presente, stanno ricorrendo sempre di più ai prodotti spontanei della natura e della propria economia domestica. Il tutto mentre, dopo la crisi del Donbass, è diminuito – a causa di mancanza di risorse – il follow up socio- sanitario che in queste zone stava conducendo l’équipe del prof. Bandazhevsky. Un incendio le cui conseguenze si stanno abbattendo sui più deboli. Per di più i venti hanno spinto, nelle prime fasi, la nube radioattiva – formatasi dagli incendi – verso la Bielorussia causando una nuova ricontaminazione delle regioni che avevano già ricevuto il maggiore fallout dall’incidente di Chernobyl.
- Nei giorni a venire, anche perché i piccoli focolai continueranno a rilasciare radioattività, la Comunità internazionale ha il dovere di seguire il percorso della nube, di metterla in relazione con le precipitazioni atmosferiche, di valutarne la composizione senza dimenticare di tenere in considerazione la presenza di plutonio: per quanto modestamente rintracciabile o rilevabile solo da deboli valori gamma, rimane, a dispetto di questa bassa attività, il nuclide più dannoso di tutti per la contaminazione interna (per esempio, come rilevato dagli studi dell’AIUPRI, a differenza del Cesio è sufficiente pochissimo Plutonio per definire una zona come proibita: 5.000 Bq/m2 di Plutonio contro 550.000 Bq/m2 di Cesio137). Se necessario, quindi, deriva l’obbligo di lanciare una campagna di informazione e raccomandazioni per le popolazioni eventualmente interessate. Senza allarmismi, ma con chiarezza e responsabilità, senza le censure e l’occasionalità che si erano espresse 29 anni fa.
Massimo Bonfatti
presidente di Mondo In Cammino