In Grecia il referendum sulle domande sbagliate
[29 Giugno 2015]
I molti cittadini in fila dietro i pochi bancomat ancora attivi, nella Grecia dalle banche chiuse come gli occhi del resto d’Europa, ci sono migliaia di pensionati che provano a ritirare la loro pensione – una delle più scottanti pietre di scandalo nelle trattative a Bruxelles – e donne e uomini di ogni età che cercando di avere qualche euro in tasca per le spese quotidiane: dalla prossima settimana, dopo il referendum indetto per domenica sulle proposte della Troika per evitare la bancarotta, potrebbe essere tutto più complicato.
Per le strade e le piazze elleniche, ci confidano voci da Atene, nonostante tutto «non c’è un’aria di tragedia, ma quasi di fatalismo. Chi aveva soldi, anche la parte di piccola borghesia con un po’ di quattrini in banca, li ha già trasferito da tempo». A rimanere schiacciata è come sempre la parte più debole della popolazione greca, una fetta che si è molto allargata negli ultimi anni.
Dall’inizio della crisi il Pil è crollato del 25% e i consumi dei cittadini – dal cibo alle medicine – sono al collasso. Esattamente 5 anni fa, nel maggio del 2010, è iniziato il “piano di salvataggio” dell’Ue e del Fondo monetario internazionale, creditori che si sono fatti avanti prestando (in grande ritardo) circa 240 miliardi di euro per tenere a galla i conti del Paese, in cambio di manovre da lacrime e sangue. La promessa è che, per quanto dolorosi, i provvedimenti presi avrebbero ricondotto la Grecia in un percorso di crescita sostenibile. Nessuna di queste previsioni, come è stato ben argomentato dal think tank europeo Bruegel, ha funzionato.
Oggi ai greci viene chiesto di continuare a fidarsi o meno, a percorrere la stessa strada o aprire uno scenario finora mai esplorato da nessun paese europeo. «Greche e greci – ha esortato il premier Alexis Tsipras annunciando il referendum – a questo ultimatum ricattatorio che ci propone di accettare una severa e umiliante austerity senza fine e senza prospettiva di ripresa sociale ed economica, vi chiedo di rispondere in modo sovrano e con fierezza, come insegna la storia dei greci. All’autoritarismo e al dispotismo dell’austerity persecutoria rispondiamo con democrazia, sangue freddo e determinazione».
Non si tratta, come alcuni hanno sibilato, di un referendum pro o contro l’euro, o ancor più da dentro o fuori l’Unione europea. Entrambe sarebbero eventualmente conseguenze collaterali, e assai indesiderate anche da Syriza.
«Quando ho cominciato molto tempo fa la mia vita europea – ha dichiarato oggi il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker – nel 1982, eravamo 10 stati membri. Il decimo era appena entrato, un anno prima, ed era la Grecia. All’epoca ero felice di vedere la Grecia associarsi e entrare in quella che allora si chiamava Comunità Europea. Non volevo vedere Platone giocare in seconda divisione e non lo voglio nemmeno ora». Di fatto, però, le trattative finora condotte dalla Troika non hanno fatto che spingere la Grecia verso la retrocessione.
Sull’orlo del baratro, ha sollevato scandalo la decisione di Tsipras di affidarsi alla democrazia diretta in un momento tanto cruciale per il suo Paese e per l’Europa intera. In molti dimenticano però che «sottoporre a referendum vincolanti i trattati e altri accordi rilevanti europei» faceva parte del programma con cui Syriza è salita al governo. Si tratta di una scelta certamente criticabile, ma discettare sull’opportunità o meno del referendum significa partire dalla domanda sbagliata.
La mossa disperata della Grecia arriva dopo anni in cui il Paese è stato lasciato solo nella sua battaglia politica, prima che economica. Anche dall’Italia – che oggi oltre alla faccia di fronte al giudizio della Storia rischia fino a 65 miliardi di euro con la partita greca – sono arrivate cravatte, non sostegno istituzionale per provare a cambiare verso all’Europa. Sostegno che è arrivato oggi perfino da Oltreoceano, con l’Alleanza bolivariana dei popoli (che riunisce Venezuela, Cuba, Nicaragua, Ecuador, Bolivia, Antigua e Barbuda, Dominica, Grenada, San Kitts e Nevis, Saint Lucia, Saint Vicent e Grenadine, Suriname) ad esprimere «il suo più fermo sostegno e solidarietà al popolo e al governo greco di fronte al vorace assedio del capitalismo finanziario mondiale e dei suoi rappresentanti europei, coloro che senza scrupoli e con eccessiva ambizione pretendono di piegare la scelta di questo paese per una vita degna e giusta».
È questa l’immagine che l’Europa, patria dei diritti e faro del progresso, sta offrendo al resto del mondo: la Grecia torna ad essere quella delle Termopili, dove una manciata di valorosi si oppose all’avanzata dell’Impero persiano. Una visione distorta che ha cancellato la possibilità di un compromesso politico, sacrificato sull’altare dell’ideologia economica. Quando l’ennesimo sacrificio greco sarà consumato, in un senso o nell’altro, che almeno possa espiare il peccato originale di un’Europa che ancora non ha scoperto l’importanza di avere un’anima.