Il mare in crisi da acidificazione. «Evitare il rischio di modifiche brutali e irreversibili»
Anche mantenendo l’aumento delle temperature globali entro 2°C, impatti su coralli e conchiglie
[3 Luglio 2015]
Gli oceani si riscaldano e si acidificano sotto l’effetto del cambiamento climatico, danneggiando i coralli tropicali e la calcificazione di alcune conchiglie, ma questi ed altri effetti potenzialmente catastrofici potrebbero esse limitati se l’aumento globale delle temperature fosse mantenuto antro i 2 gradi centigradi.
E’ quanto ha concluso uno studio realizzato da un team di 22 noti ricercatori di Ocean Initiatives 2015 e pubblicato su Science in vista della Conferenza delle parti Unfccc di Parigi, nella quale si spera venga raggiunto un accordo proprio per limitare il riscaldamento climatico entro 2°C perché «Il carbonio che emettiamo oggi può cambiare irreversibilmente il sistema terra per molte generazioni a venire».
Durante una conferenza stampa tenutasi a Parigi, Alexandre Magnan, uno degli autori dello studio, ha ricordato che «L’avvenire dell’uomo dipende dall’avvenire degli oceani» ed ha chiesto ai leader politici di tutto il mondo di «dare prova di ambizione» nel tagliare le emissioni di gas serra.
Il principale autore dello studio, Jean-Pierre Gattuso, ha spiegato: «Abbiamo raggruppato le conoscenze sugli oceani già presenti nei lavori del’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change), integrato i dati pubblicati dal 2013, e siamo andati più lontano sugli impatti prevedibili sugli ecosistemi (pesci, conchiglie, coralli, mangrovie, ecc.) e sui servizi resi dagli oceani (assorbimento di CO2, protezione delle coste, pesca, acquacoltura, ecc.)».
Il mare e l’oceano sono un gigantesco ammortizzatore del riscaldamento globale: assorbono più dl 90% dell’energia eccedente dovuta all’effetto serra e più del 25% della CO2 emessa, inoltre, come ha sottolineato Gattuso, «Ospitano il 25% delle specie evolute, forniscono l’11% delle proteine consaumate e contri buiscono al ruolo di protezione delle coste (barriere coralline, mangrovie, praterie, ecc.)». Ma, dall’era pre-industriale, la superficie oceanica si è già riscaldata tra gli 0,6 e gli 0,7°C, con notevoli differenze rispetto alle aree geografiche «E il riscaldamento prosegue – ha detto Laurent Bopp, un coautore dello studio – così come l’acidificazione che attacca alcuni organismi (coralli, conchiglie, ecc.) che è aumentata del 30%, cioè 0,1 punti di pH». Secondo lo studio, con uno scenario a +2°C, l’aumento del pH si limiterebbe a 0,14 unità, ma andrebbe fuori controllo su le emissioni di gas serra continueranno al ritmo attuale: +0,4 unità di pH, ovvero 40 volte di più.
Gli scienziati evidenziano che «Quando molteplici fattori di stress lavorano insieme, di tanto in tanto si annullano a vicenda, ma più spesso si moltiplicano gli effetti negativi». Attualmente, sotto l’effetto dell’aumento delle temperature degli oceani, dell’acidificazione e della minore ossigenazione, i coralli tropicali ed anche alcune conchiglie delle latitudini medie, come le ostriche della East Coast Usa, stanno subendo forti danni. I ricercatori dicono che «L’obiettivo dei 2°C comporta dei rischi maggiori per questi organismi, ma con un tale scenario gli impatti su altri organismi ed ecosistemi resteranno moderati». Inoltre, anche a +2°C, sono attesi spostamenti delle secie di pesci, con un impoverimento della pesca nelle zone tropicali, mentre la pesca in Islanda o in Norvegia ne trarrebbe benefici. Insomma il global warming affamerebbe i pescatori poveri e arricchirebbe quelli dei Paesi ricchi.
Ma gli scienziati di Ocean Initiatives 2015 evidenziano che uno scenario di emissioni business as usual «Aggraverà considerevolmente la situazione: quasi tutti gli organismi studiati dovrebbero far fronte a rischi di danni molto elevati, quali mortalità di massa ed importanti spostamenti». Un’altra delle autrici dello studio, Carol Turley, del Plymouth Marine Laboratory, ha detto a Science che «L’oceano è in prima linea sul cambiamento climatico con la sua fisica e chimica che può essere modificata a un ritmo senza precedenti, tanto che gli ecosistemi e gli organismi stanno già cambiando e continueranno a farlo quanto più emettiamo CO2. L’oceano ci fornisce cibo, energia, minerali, medicine e la metà dell’ossigeno nell’atmosfera, e regola il nostro clima e meteo. Stiamo chiedendo ai policy makers di riconoscere le potenziali conseguenze di questi cambiamenti drammatici e di aumentare il profilo del mare nei negoziati internazionali dove, fino ad ora, ha ottenuto appena una menzione».
Ad essere particolarmente minacciate sono le barriere coralline tropicali che ospitano una ricchissima biodiversità e proteggono interi Stati insulari e grandi aree costiere dalla violenza delle tempeste, garantendo risorse economiche importantissime come pesca e turismo e, come ricorda Gattuso, «I servizi ecologici ed economici che rendono rappresentano somme considerevoli. Degli sforzi immediati di riduzione delle emissioni di CO2 sono più che mai indispensabili per evitare il rischio di modifiche brutali e irreversibili».
Gattuso sottolinea che «L’oceano non è stato minimamente considerato nei precedenti negoziati sul clima. Il nostro studio fornisce argomenti convincenti per un cambiamento radicale in occasione della conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico».
Manuel Barange, direttore scientifico del Plymouth Marine Laboratory conclude su Science: «Il cambiamento climatico continuerà ad influenzare gli ecosistemi oceanici in modo molto significativo, e la società deve prenderne atto e rispondere. Alcuni ecosistemi ei loro servizi trarranno vantaggio dal cambiamento climatico, soprattutto nel breve periodo, ma nel complesso gli effetti sono prevalentemente negativi. Gli impatti negativi sono particolarmente attesi nelle regioni tropicali e in via di sviluppo, quindi, potenzialmente, aumenteranno le sfide attuali in termini di cibo e livelli di ita sicuri. Ci siamo messi noi stessi in viaggio lungo un percorso unico pericoloso e lo stiamo facendo senza una valutazione delle conseguenze che ci attendono».