L’esclusione dall’albo gestori ambientali per ragioni di morale e non di ambiente è illegittima
[16 Luglio 2013]
Il requisito richiesto dal legislatore per l’iscrizione all’albo gestori ambientali per le imprese, che prevede l’assenza della condanna passata in giudicato alla reclusione per un tempo non inferiore a un anno per delitti contro la pubblica amministrazione, contro la fede pubblica, contro il patrimonio, contro l’ordine pubblico, contro l’economia pubblica, o per un delitto in materia tributaria, al Tribunale amministrativo regionale del Lazio (Tar) appare irragionevole sotto il profilo della logicità.
Per cui – nella sua sentenza 10 luglio 2013, n. 6857 – dichiara illegittime alcune norme del regolamento per la disciplina dell’albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti (approvato con decreto 28.4.1998 n. 406 del Ministero dell’Ambiente). Una dichiarazione pronunciata nella trattazione del caso relativo alla cancellazione per carenza dei requisiti dall’Albo Nazionale Gestori Ambientali di un’impresa individuale che effettua trasporto e commercio di materiali ferrosi non pericolosi.
Secondo il Segretario dell’Albo Gestori Ambientali – Sezione Lombardia (che ha rigettato la domanda di nuova iscrizione e che ha avviato un procedimento disciplinare) il titolare dell’impresa non può essere iscritto all’albo per carenza del requisito essendo stata accertata nei suoi confronti una condanna penale alla reclusione superiore a un anno da pronunce passate in giudicato.
Il regolamento per la disciplina dell’albo nazionale delle imprese indica i requisiti per l’iscrizione all’albo. In particolare (all’art. 10, comma 2) esclude dall’iscrizione coloro che hanno riportato condanna passata in giudicato a pena detentiva per reati previsti dalle norme a tutela dell’ambiente. E anche coloro che hanno riportato condanna passata in giudicato alla reclusione per un tempo non inferiore a un anno per un delitto contro la pubblica amministrazione, contro la fede pubblica, contro il patrimonio, contro l’ordine pubblico, contro l’economia pubblica, ovvero per un delitto in materia tributaria.
Il legislatore fa “salvi gli effetti della riabilitazione e della sospensione della pena”.
Quindi, la disciplina dell’esclusione dall’albo per ragioni riguardanti la moralità personale prevede due differenti ipotesi. Una inerente l’accertamento di reato ambientale concluso da condanna a pena detentiva; l’altra, invece, inerente l’accertamento di delitto in alcuni settori che non hanno alcuna relazione con la tutela dell’ambiente e che ha comportato la condanna alla reclusione non inferiore a un anno.
Definendo i casi di esclusione dall’albo per ragioni di moralità, la disciplina equipara a coloro che hanno commesso reati contro l’ambiente i soggetti che sono stati dichiarati colpevoli di illeciti penali per fatti che nulla hanno a che vedere con la tutela ambientale e, al tempo stesso, consente l’iscrizione a soggetti che abbiano commesso delitti in fattispecie di maggiore gravità e di maggior rilievo per l’opinione pubblica.
Per questo, tale causa di preclusione appare al Tar contraria non soltanto alle esigenze di ragionevolezza dell’organizzazione amministrativa, ma anche al principio di uguaglianza sostanziale. Così come appaiono irragionevoli le previste ipotesi di non applicabilità della norma preclusiva, indicate esclusivamente nella sospensione della pena e nella riabilitazione. Quest’ultima consente l’estinzione delle pene accessorie e la cancellazione degli effetti giuridici della condanna, mentre la sospensione condizionale della pena, decorso il tempo prescritto, comporta l’estinzione del reato.
Nella formulazione normativa del Dm del 1998 la sospensione della pena consente l’iscrizione all’albo, mentre sono ancora decorrenti i termini per l’estinzione del reato, e quindi con condanna sospesa ma valida agli effetti giuridici.