Cinghiali e cambiamento climatico: aumentano grazie agli inverni più caldi
Un fenomeno esteso a tutta l’Europa ma ancora più preoccupante in Italia
[24 Agosto 2015]
Paul Brown ex corrispondente ambientale di The Guardian, del Wolfson College di Cambridge, della Geologists’ Association, della Royal Geographical Society, e della Society of Arts, Manufacture and Commerce, nonché autore di una decina di libri e collaboratore dell’Unep, scrive su Climate News Network che «Gli inverni sempre più miti e l’abbondanza di ghiande e noci hanno causato una esplosione demografica tra i cinghiali in Europa. Le popolazioni di cinghiali in Europa sono sempre più fuori controllo e gli scienziati stanno incolpando il cambiamento climatico. Ora ci sono milioni di cinghiale sparsi fuori dal loro habitat boschivo preferito, si spostano nelle periferie della città e stanno anche attraversando i confini nazionali dei Paesi dove si pensava fossero estinti. In alcuni paesi, in particolare Francia e Germania, che hanno sempre avuto popolazioni di cinghiali nelle loro foreste, sono una delle principali cause di incidenti stradali».
In Francia ci sarebbero circa due milioni di cinghiali e nella capitale tedesca si sta erigendo un nuovo muro di Berlino, questa volta per tentare di tenere lontano i cinghiali dal centro della città.
Gli scienziati ritengono che gli inverni miti, sempre più frequenti Europa, che innescano una sovra-produzione di ghiande e di altri frutti di bosco, stiano alzando i tassi di sopravvivenza dei cinghiali e fanno notare che entrambi i fattori sono il risultato dei cambiamenti climatici. Sebastian G. Vetter, Thomas Ruf, Claudia Bieber e Walter Arnold, del Forschungsinstitut für Wildtierkunde und Ökologie (Fiwi) della Veterinärmedizinische Universität Wien hanno pubblicato su PLosOne lo studio “What Is a Mild Winter? Regional Differences in Within-Species Responses to Climate Change” – che ha come editor Marco Apollonio dell’università di Sassari – e spiegano che «La popolazione di cinghiale in Europa è in costante crescita dgli anni ’80. Questo è sempre più diventando un problema per l’agricoltura, per le incursioni degli animali nei campi alla ricerca di cibo.
Vetter, un biologo evoluzionista, sottolinea che «Il numero di cinghiali in Europa non è così facile da determinare. Perciò abbiamo analizzato i dati sui bottini di caccia e gli incidenti stradali che coinvolgono un cinghiale. In questo modo siamo stati in grado di rappresentare la crescita della popolazione di cinghiali».
Vetter e il suo team hanno la crescita annuale della popolazione di cinghiale con i dati delle temperature e delle precipitazioni provenienti da 12 Paesi europei, che per alcune regioni risalgono fino a 150 anni fa. Hanno così identificato una chiara tendenza e Vetter spiega ancora: «C’è un forte aumento del numero di cinghiali dopo gli inverni miti. Dato che gli inverni miti sono sempre più frequenti, anche le popolazioni di cinghiali sono in crescita esponenziale. Uno dei motivi è la termoregolazione. Se le temperature sono molto basse, è necessaria molta energia per mantenere una temperatura corporea elevata. Di conseguenza, è disponibile meno energia per la riproduzione e l’allevamento della prole l’anno successivo». Inoltre, gli inverni rigidi eliminano molti animali giovani, con gli inverni più caldi sopravvivono più porcastri.
In natura i cinghiali europei si nutrono principalmente di faggiole e ghiande e gli scienziati austriaci evidenziano che «Nei cosiddetti mast years quando questi alberi producono molti frutti, c’è un’abbondante alimentazione disponibile per i suini. Questi mast years avvengono ad intervalli irregolari e, nel corso degli ultimi decenni, sono stati sempre più frequenti. Se un inverno rigido è preceduto da un a da un mast year, gli animali hanno sufficiente energia per la termoregolazione. La popolazione può continuare a crescere nonostante le temperature sfavorevoli».
Insomma, una popolazione di cinghiali cresce nella stagione successiva solo se durante l’inverno la temperatura media ha raggiunto una certa soglia. Nelle regioni meridionali dell’Europa, come l’Italia, questa soglia è più elevata rispetto al nord. Vetter sottolinea che «Queste differenze regionali sono dovute alle dimensioni corporee degli animali. I cinghiali del sud sono più piccoli di quelli del nord. Questo cambia il rapporto della superficie corporea e del volume e quindi la dissipazione del calore. Essere piccoli è sfavorevole nella termoregolazione del freddo, ma utile durante le calde estati meridionali. Regionalmente diverse Le dimensioni del corpo dei cinghiale diverse regionalmente sono il motivo per cui la crescita della popolazione è iniziata quasi contemporaneamente in tutta Europa, nonostante le grandi differenze di temperature invernali».
Se a questo si aggiunge che ormai i cinghiali “italiani” hanno poco dell’animale originale e che sono incrociati con le sottospecie nordiche e il maiale domestico, si capisce di cosa stiamo parlando. .
Il team di ricercatori austriaci del Fiwi sta continuando la ricerca sui cinghiali e Vetter conclude: «I cinghiali producono un numero sorprendentemente elevato di animali giovani rispetto agli altri ungulati. Così si produce la forte crescita delle popolazioni che stiamo osservando. Pertanto siamo particolarmente interessati ai fattori che influenzano la riproduzione di questa specie».
Il livello i sopravvivenza delle popolazioni di cinghiali in Europa sembra essere in aumento in tutti i Paesi e Brown evidenzia che «Una delle ragioni della più ampia diffusione delle popolazioni di cinghiali è la richiesta per la loro carne. Allevamenti di cinghiale sono stati realizzati in Paesi in cui la specie era da tempo stato cacciata fino all’estinzione. Ma gli allevatori non hanno familiarità con gli animali, non erano preparati alla loro capacità di abbattere o di saltare le recinzioni alte più di due metri e molti cinghiali sono fuggiti in natura. La Svezia, ad esempio, 10 anni fa non aveva il cinghiale, ma ora si stima ne abbia 150.000 nelle sue foreste. Anche in Gran Bretagna dopo 500 anni è ricomparsa una popolazione di cinghiale. Brown conclude proprio con la situazione del nostro Paese che sembra la più fuori controllo a causa di una scellerata gestione “venatoria” della specie: «L’Italia, ben più a sud, ha sempre avuto il cinghiale, ma ha anche visto una crescita enorme del loro numero. Ora si stima ci siano tra 600.000 e un milione di animali. Alcuni sono stati visti alla periferia di Roma, Genova e Napoli, dove mangiano dai cassonetti della spazzatura».