Gli ambientalisti Usa attaccano Obama: «Ipocrisia climatica»
L’amministrazione in bilico tra lotta al cambiamento climatico e sfruttamento di gas e petrolio
[2 Settembre 2015]
La visita nell’Artico di Barack Obama, la prima di un presidente Usa un carica, doveva essere la vetrina per presentare i progetti ambientali e per il clima della sua Amministrazione, ma è stata bersagliata dalle critiche di diverse associazioni ambientaliste che dicono gli impegni di Obama sul cambiamento climatico vengono contraddetti dal via libera alla Shell per trivellare il Mare di Chukchi alla ricerca di petrolio e gas, cioè di combustibili fossili le cui emissioni aumenteranno il riscaldamento globale-
Per molti ambientalisti statunitensi l’enfasi messa da Obama durante la sua visita in Alaska sulla necessità di combattere il cambiamento climatico è solo «Ipocrisia climatica» e il gruppo liberal Credo Action paragona beffardamente le dichiarazioni di Obama nell’Artico al «Missione compiuta» di George W. Bush del 2003, quando annunciò che gli Usa avevano «Prevalso» in Iraq, dove si combatte ancora oggi e lo Stato Islamico avanza in Siria ed in Iraq.
Marissa Knodel, di Friends of the Earth, attacca Obama e la sua politica climatica: «”In qualche modo si è fatto credere che ci possa essere questa transizione verso un’economia dell’energia pulita e agire sul cambiamento climatico, e continuare a sviluppare il petrolio e il gas nazionali. Se si continua ad utilizzare sviluppare queste risorse, si continuerà a contribuire alla produzione di gas serra. E’ contraddittorio».
Sembrano le critiche che gli ambientalisti italiani rivolgono a Renzi sulle trivellazioni offshore nel Mediterraneo mentre promette una green economy molto ipotetica. Solo che nell’Artico le risorse di combustibili fossili sono molte di più di quelle scarse dell’Adriatico o del Canale di Sicilia.
Anche se nessuno sa davvero quanto petrolio ci sia sotto i ghiacci dell’Artico che si sciolgono per il global Warming e soprattutto quanto siano facilmente accessibili gas e greggio, l’US Geological Survey nel 2008 disse che in tutta la regione artica ci sarebbero 90 miliardi di barili di petrolio tecnicamente recuperabili e l’ 84% per cento di questo è in mare aperto. Secondo l’International energy agency, è quanto basta a rifornire per tre anni l’intero pianeta. Il petrolio offshore dell’Alaska raggiungerebbe i 26,6 miliardi di barili, un anno di rifornimento di greggio per il mondo. Petrolio troppo costoso per i prezzi attuali, ma la Shell ha investito fortemente nell’esplorazione petrolifera dell’Artico perché pensa di iniziare la produzione vera e propria tra una decina di anni.
Obama aveva cercato di prevenire le critiche ambientaliste con una dichiarazione rilasciata prima di partire verso l’Alaska: «Ora, mentre acceleriamo questa transizione, la nostra economia deve ancora fare affidamento su petrolio e gas. Fino a quando sarà necessario, credo che dovremmo fare maggiore affidamento sulla produzione nazionale che sulle importazioni estere e dovremmo chiedere gli standard di sicurezza più elevati all’industri». Il presidente Usa ha anche detto di condividere le «preoccupazioni per la trivellazione offshore» e ha citato mare il disastro petrolifero della Deepwater Horizon del 2010 nel Golfo del Messico, dicendo che è il motivo per cui la sua amministrazione «ha lavorato per fare in modo che la nostra esplorazione petrolifera condotto in questi luoghi sia fatta con gli standard più elevati possibile». Poi ha fatto l’esempio del draft rules for Arctic drilling approvato dal Dipartimento degli Interni a febbraio, il primo vero regolamento per mitigare l’impatto ambientale delle attività petrolifere nella regione dell’Artico.
Altre associazioni ambientaliste, come Sierra Club, pur criticando duramente il via libera alla Shell, apprezzano comunque la decisione dell’amministrazione Obama di vietare di fatto le trivellazioni petrolifere e gasiere in altre aree dell’Alaska, come La Bristol Bay. «Ci auguriamo che questa amministrazione sia leader nella risposta alle maree nere, nella prevenzione degli sversamenti, nella sicurezza e nel proteggere importanti aree marine essenziali per la caccia e di sussistenza», ha detto Marilyn Heiman, direttore dell’ U.S. Arctic program at the Pew Charitable Trusts del Pew Charitable Trusts.
Ma l’equilibrismo artico dell’amministrazione Obama è d fin troppo evidente. Charles Ebinger, senior fellow per la politica estera, sicurezza energetica e clima della Brookings Institution, sostiene che «l’amministrazione cammina su un filo sottile quando si tratta di l’Artico. Il presidente e tra due fuochi. E’ la frontiera del cambiamento climatico globale, quindi è un luogo adatto per il presidente per fare un discorso su clima. Ma lui è preso da questo dilemma perché la sua base elettorale ambientalista è fermamente contraria alla trivellazione».
Ebinger fa anche notare che le concessioni artiche della Shell risalgono a prima dell’insediamento di Barak Obama e che sono una scomoda eredità del 2008, del Dipartimento degli Interni di George W. Bush e che da allora la Shell ha investito nel progetto e nelle attività di prospezione petrolifera e gasiera dell’Artico Usa ben 5,7 miliardi di dollari. «L’amministrazione Obama – dice Ebinger – sembra aver deciso di dover permettere alla Shell almeno di andare avanti con queste questa attività. Ma non sembra che l’amministrazione accoglierà necessariamente le richieste di qualcun altro dopo la Shell».
Hannah McKinnon, di Oil Change International sostiene che «La decisione dell’amministrazione di consentire le trivellazioni si inserisce all’interno della strategia energetica “”all-of-the-above”. “Penso che la gran parte dei problemi è che molte delle loro politiche energetiche e delle loro politiche climatiche semplicemente non sono allineate. L’Energy Information Administration del Dipartimento dell’energia prevede una domanda relativamente stabile di petrolio per i prossimi 25 anni, mentre l’amministrazione ha adottato una serie di azioni volte a ridurre la domanda, come l’innalzamento degli standard di risparmio di combustibile per le automobili. Queste proiezioni presumono che le politiche climatiche stiano per fallire. Se la domanda rimarrà così alta, stiamo parlando di una catastrofe climatica futura».