Sulle trivelle la parola ai cittadini: la Corte costituzionale approva il referendum
Esultano gli ambientalisti: «Il governo Renzi ha promosso forzature inaccettabili»
[19 Gennaio 2016]
Il referendum promosso per far retrocedere le trivelle dai mari italiani si terrà. La decisione sull’ammissibilità è arrivata oggi dalla Corte costituzionale, chiamata ad esprimersi sull’unico quesito referendario rimasto in piedi dei 6 inizialmente presentati dai promotori dell’iniziativa, ovvero 9 regioni italiane. Sugli altri 5 a fare marcia indietro per evitare una probabile sconfitta è stato il governo Renzi, che a dicembre è intervenuto per modificare la legge di Stabilità e mettere fuori gioco i referendum.
Un quesito però è scampato alla mannaia, quello sulla questione della fascia marina off limits ai petrolieri (le famose 12 miglia), e la durata della vita utile del giacimento; su questo punto saranno chiamati ad esprimersi i cittadini nel corso dell’anno. «La Sentenza della Corte Costituzionale, che ha confermato il referendum sulle trivelle sul quesito già “promosso” dalle Corte di Cassazione, ci dà lo spunto per rilanciare richieste chiare al governo – dichiarano le associazioni ambientaliste Greenpeace, Legambiente, Marevivo, Touring Club italiano e Wwf – Rigetto immediato e definitivo di tutti i procedimenti ancora pendenti nell’area di interdizione delle 12 miglia dalla costa (a cominciare da Ombrina) e una moratoria di tutte le attività di trivellazione a mare e a terra, sino a quando non sarà definito un Piano energetico nazionale volto alla protezione del clima e rispettoso dei territori e dei mari italiani».
Le associazioni ambientaliste fanno dunque notare come la volontà del governo di tutelare gli interessi dell’economia fossile (con le norme pro trivelle come con gli interventi per bloccare lo sviluppo delle rinnovabili) abbia creato un conflitto istituzionale senza precedenti nel Paese. Pur di assecondare le lobby dei petrolieri, l’esecutivo Renzi aveva promosso forzature inaccettabili, come la classificazione delle trivellazioni come “opere strategiche” (dunque imposte a forza ai territori) e la creazione di servitù potenzialmente senza limiti di tempo, con concessioni prorogabili ad oltranza. Con le modifiche introdotte nella Legge di Stabilità 2016, grazie all’iniziativa referendaria, l’esecutivo di Renzi è stato in larga misura costretto a smentire se stesso.
La Corte Costituzionale ha oggi ritenuto che le affrettate modifiche governative non siano sufficienti e ha rimandato alla volontà popolare la decisione su quelle disposizioni del Decreto Sviluppo del 2012 (decreto legge 83/2012) che fanno salvi non solo i titoli abilitativi già rilasciati all’entrata in vigore della norma (cioè i diritti già acquisiti), ma anche i procedimenti autorizzativi in corso, conseguenti e connessi in essere a fine giugno 2010 nella fascia off limits delle 12 miglia. La modifica voluta dal Governo, pur eliminando la “sanatoria” sui procedimenti in corso, introduce una formula ambigua rispetto alla durata delle concessioni (per la durata di vita utile del giacimento). In definitiva, i cittadini – per dirla con le parole del Coordinamento nazionale No Triv – saranno chiamati «a esprimersi per evitare che i permessi già accordati entro le 12 miglia possano proseguire anche oltre la scadenza, per tutta la “durata della vita utile del giacimento”».
Le associazioni ambientaliste chiedono che nessuna nuova infrastruttura estrattiva possa essere realizzata in deroga a un Piano delle aree, da sottoporre a valutazione ambientale strategica, come stabilito dalla normativa comunitaria. Un’occasione per dire sì a un altro tipo di politica energetica, quella «basata sull’uso delle energie rinnovabili – che già oggi forniscono oltre il 40% dell’elettricità totale generata nel Paese – e del miglioramento dell’efficienza energetica», dichiarano i portavoce di Green Italia Annalisa Corrado e Oliviero Alotto.
D’altronde, nella sempre più ristretta fronda dei favorevoli all’ulteriore sfruttamento delle riserve petrolifere italiane, si ricorda strenuamente come questa sia una battaglia senza motivo: 106 piattaforme trivellano già oggi i nostri mari. Un espediente che non spiega però perché sarebbe utile far spazio a estrazioni. Secondo le stime fornite dallo stesso ministero dello Sviluppo economico, nei fondali italiani ci sono risorse fossili accertate che basterebbero – da sole – a coprire appena 2 mesi di consumi nazionali. Vale la pena continuare a puntare su queste? Il nuovo record degli investimenti in fonti pulite raggiunto nel mondo nel 2015 parrebbe indicare che ancora una volta l’Italia si muove con politiche fuori dal tempo.