Erdogan, la Turchia e la “democrazia” senza libertà
Ha chiuso Zaman mentre trattava con Usa e Ue su rifugiati siriani e i richiedenti asilo
[10 Marzo 2016]
Solo pochi mesi dopo che il presidente turco Erdogan aveva ordinato un’irruzione negli uffici del Koza Ipek Media Group, la polizia turca all’inizio di questo mese ha assalito, senza alcun preavviso, gli uffici di Feza Publications, che possiede due quotidiani (compreso Zaman) e due stazioni televisive. Per qualsiasi democrazia, c’è poco altro di più dannoso della chiusura di agenzie di stampa e del soffocamento della libertà di parola.
Che abbia preso una iniziativa così estrema, basata su accuse inventate come quelle che questi mezzi di comunicazione stanno aiutando il terrorismo e la cospirazione contro lo Stato, è a dir poco scandaloso e, nonostante la sua spavalderia, dimostra la sua paura per le critiche pubbliche. Il presidente Erdogan, tuttavia, sembra del tutto sprezzante per le eventuali ripercussioni, dato che in passato è stato incoraggiato dall’impunità per la sua furia contro la stampa e per l’incarcerazione di decine di giornalisti con accuse false.
Anche se Erdogan sa bene che la Turchia è ben lungi dall’essere uno Stato democratico, continua a promuovere l’idea assurda che la Turchia sia davvero una vera democrazia, affermando con la sua solita sfacciataggine che «In nessuna parte del mondo è la stampa più libera di quanto lo sia in Turchia».
In realtà, il 2015 World Press Freedom Index di Reporters Without Borders classifica la Turchia 149 su 180 Paesi, tra il Messico, dove i giornalisti vengono regolarmente assassinati, e la Repubblica Democratica del Congo, che è uno stato fallito.
Forse a Erdogan dovrebbe essere ricordato ciò che costituisce veramente una democrazia. La libertà di espressione costituisce uno dei quattro pilastri fondamentali di qualsiasi forma democratica di governo, che comprende anche l’elezione di un governo rappresentativo, l’uguaglianza di fronte alla legge e la rigorosa osservanza dei diritti umani.
Purtroppo, Erdogan non si è fermato a reprimere la libertà di espressione in tutte le forme: ne ha regolarmente scheggiato anche gli altri pilastri, cercando di non svelare ciò che è rimasto della democrazia turca.
La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo garantisce «il diritto alla libertà di opinione e di espressione», ma come ha avvertito Benjamin Franklin, «Chiunque voglia soverchiare la libertà di una nazione deve iniziare sottomettendo la libertà di parola».
Erdogan è stata molto ammirato per le sue impressionanti riforme socio-politiche e per il significativo sviluppo economico che, durante il suo primo mandato e per gran parte del suo secondo, ha portato la Turchia a diventare la 17esima economia più grande del mondo. Avrebbe potuto realizzare gran parte delle sue ambizioni di fare della Turchia una superpotenza regionale riconosciuta con un reale sostegno di una orgogliosa opinione pubblica. Sarebbe stato in grado di farlo senza distruggere i principi fondanti della Turchia come democrazia laica, così come è stato concepita dal suo fondatore Mustafa Kemal Atatürk, e offrendo un vero e proprio modello di una fiorente democrazia islamica che poteva essere emulato da gran parte del mondo arabo e musulmano.
Purtroppo, Erdogan non tiene conto del fatto che il suo smantellamento sistematico delle istituzioni democratiche della Turchia avrà l’effetto esattamente opposto, silurando direttamente il potenziale della Turchia come una grande potenza e sprecando quello che il paese ha da offrire.
Di volta in volta, Erdogan ha dimostrato la sua mancanza di tolleranza per i punti di vista opposti e ha manifestato fastidio per la stampa, dato che era generalmente critica sulla sua agenda islamica. Ha capito, come ha giustamente detto George Orwell, che «La libertà di stampa, se questo significa qualcosa, significa che la libertà di criticare ed opporsi», una libertà che Erdogan è intenzionato a sopprimere.
Per questo, Erdogan ha usato le sue forti credenziali islamiche per proiettare se stesso come un leader pio, quando in realtà è costantemente impegnato in favoritismi, nella concessione di enormi contratti con il governo a coloro che lo hanno sostenuto e ai membri della sua famiglia, a prescindere dei conflitti di interesse e della corruzione che ne consegue come risultato.
Con un parlamento che timbra tutto, è stato in grado di far passare la legislazione che voleva, con l’eccezione di un emendamento costituzionale che avrebbe concesso al Presidente poteri illimitati. Ha subordinato ai suoi capricci il sistema giudiziario e fondamentalmente è diventato un uomo forte con poteri dittatoriali, infine, ha eliminato i controlli e contrappesi dell’apparato di governo.
A dire il vero, l’appetito di Erdogan aumenta con la sua potenza, il duro trattamento dei dissidenti, lo zelo religioso e la predisposizione narcisistico lo hanno reso temuto da gran parte della società turca e ancora ammirato da altri; viene disprezzato quasi all’unanimità dalla comunità internazionale, ma ci si fanno accordi per necessità.
L’accordo che è stato raggiunto il 7 marzo tra la Turchia e l’Ue riguardante i rifugiati siriani e i richiedenti asilo è un case in point: ha fatto la mossa a chiudere Zaman più o meno nello stesso tempo, sapendo che non sarebbe stato severamente condannato per le sue azioni sia dagli Usa che dall’Ue.
La domanda è. essendo stato al potere da quasi 14 anni e avendo accumulando così tanto peso, con o senza modifiche costituzionali, Erdogan si prenderà il tempo necessario, come Presidente, per contemplare il futuro della Turchia – un Paese che ha tutti gli elementi e le risorse per diventare una potenza grande e influente – soprattutto ora che il Medio Oriente è sconvolto da un disordine senza precedenti?
Dato che la Turchia è di fronte a un bivio storico, le scelte che Erdogan farà nei mesi e negli anni a venire avranno un effetto duraturo sul futuro della Turchia.
Erdogan farà un grave errore se continua a dare per scontato il popolo turco. I turchi sono inventivi, laboriosi, colti, con una lunga storia di successi, filo-occidentali e sono per un modo di vivere democratico.
C’i sono dei limiti per quanto tempo la popolazione turca tollererà non solo il soffocamento della libertà di parola, ma lo stile draconiano di governare di Erdogan, prima che si levi contro di lui.
Erdogan dovrebbe sapere che per la Turchia per avere il suo posto tra le grandi potenze, deve ripristinare tutto quel che è stato perso negli ultimi anni, in particolare le sue fondamenta democratiche. Senza tali principi democratici, la Turchia sarà ulteriormente alienata dai paesi occidentali, il blocco a cui la Turchia dovrebbe appartenere, e non sarà in grado di sfruttare il suo vero potenziale come potenza mediorientale ed europea.
Ironia della sorte, Erdogan sembra accarezzare l’illusione che presiederà il 100esimo anniversario della Repubblica turca nel 2023 e che sarà ricordato come il nuovo “padre turco” facendo passare Atatürk in secondo piano.
Vuole disperatamente di ripristinare qualcuna delle “glorie” dell’Impero ottomano, dimenticando, tuttavia, che l’Impero di allora crollò in parte sotto il suo stesso peso e che nel XX secolo divenne facile preda per le forze alleate, a causa di leader corrotti e senza scrupoli.
Non riuscendo a fare la scelta giusta, Erdogan non sarà ricordato come il padre della nuova nazione democratica e potente, ma come il dittatore sbagliato e ambizioso che ha sacrificato il futuro potenzialmente glorioso della Turchia al suo zelo religioso e al desiderio ardente di avere sempre più potere.
Alon Ben-Meir
professore di relazioni internazionali al Center for Global Affairs della New York University.
Senior Fellow al World Policy Institute
Docente di corsi di negoziazione internazionale e studi mediorientali.