Come il cambiamento climatico sta influenzando gli uccelli comuni

Chi vince e chi perde nella guerra contro il global warming, in Europa e in America

[1 Aprile 2016]

Science pubblica lo studio “Consistent response of bird populations to climate change on two continents” nel quale un folto team internazionale di scienziati guidato da Stephen Willis e Philip Stephens della Conservation Ecology Group della School of Biological and Biomedical Sciences della  Durham University, dimostra per la prima volta che le popolazioni di uccelli comuni stanno rispondendo ai cambiamenti climatici in modo molto marcato e simile sia in Europa e negli Stati Uniti.

Il gruppo di ricerca, di cui fa parte anche Tommaso campedelli del Monitoraggio ITaliano Ornitologico – MITO2000 di Dream Italia ha scoperto che, nel trentennio 1980-2010, le popolazioni di specie di uccelli che ci si attendeva avessero benefici dai cambiamenti climatici stanno sostanzialmente sovrastando le specie che ci si aspettava soffrissero il riscaldamento globale, nel periodo 1980-2010.

La ricerca, condotta in collaborazione con la Royal Society for the Protection of Birds (Rspb) ed United States Geological Survey (USGS), «E’ la prima vera dimostrazione che il clima sta avendo una influenza su larga scala sull’abbondanza di uccelli comuni in parti molto distanti del mondo», dicono gli scienziati.

Tra le specie che mostrano che sembrano subire di più il cambiamento climatico sono uccelli di bosco e giardino comuni come lo scricciolo, in Europa, e il pettirosso americano negli Stati Uniti.

Gli scienziati hanno caratterizzato i climi favoriti delle diverse specie di uccelli per scoprire se i recenti cambiamenti climatici avrebbero avuto su di loro effetti negativi o positivi sugli uccelli nidificanti comuni.

Utilizzando dati climatici per il periodo 1980-2010 hanno diviso le specie in due gruppi di specie a seconda della loro risposta positiva o negativa al progredire del cambiamento climatico. Utilizzando i dati  trentennali per 145 specie di uccelli comuni in Europa e 380 specie di uccelli comuni negli Usa, hanno ottenuto i trend medi degli uccelli dei due gruppi. Il team di ricerca ha così scoperto in entrambi i continenti una netta differenza nei trend delle popolazioni di uccelli  tra le specie avvantaggiate o svantaggiate dai cambiamenti climatici, con le popolazioni delle specie che si prevedeva venissero favorite che hanno performance altissime rispetto a quelle che patiscono il global wrming

Negli ultimi anni le popolazioni di gruccioni e usignoli di fiume, specie con una distribuzione nell’Europa meridionale, sono aumentate, mentre le specie con una distribuzione più settentrionale,  come la cincia bigia alpestre e la peppola, sono calate nello stesso periodo. Differenze nelle tendenze demografiche dovute al cambiamento climatico sono osservabili anche all’interno della stessa specie di uccelli in diverse aree geografiche. Ad esempio, in Europa, specie come lo scricciolo sono aumentate nelle zone settentrionali dove gli inverni sono più miti, ma sono calate in alcuni Paesi del sud dove le estati sono sempre più calde e secche. La popolazione di magnanina del Regno Unito, che era limitata al Dorset, è aumentato di 8 volte dal 1980, mentre la stessa specie è in calo in Spagna.

Il pettirosso americano, una specie diffusa in gran parte degli Stati Uniti continentali, è diminuito in alcuni Stati del sud come il Mississippi e la Louisiana, ma è aumentato negli Stati centro-nord, come ad esempio i Dakota.

«Questi cambiamenti – dicono alla Durham University  – sono in linea con  l’idoneità al cambiamento climatico all’interno di tali aree. Altri fattori, quali le dimensioni degli uccelli, gli habitat in cui vivono e il loro comportamento migratorio, hanno tutti effetti sulle popolazioni di uccelli, ma non differiscono tra i due gruppi sistematicamente avvantaggiati o svantaggiati dai cambiamenti climatici. Pertanto, solo il cambiamento climatico potrebbe spiegare le differenze tra tendenze medie delle popolazioni nei gruppi avvantaggiati e svantaggiati».

Willis e Stephens dicono che i risultati dello studio dimostrano che da parte degli uccelli c’è stata una risposta su grande scala e coerente ai cambiamenti climatici in entrambi i continenti.  Stephens spiega che «Se non ci fosse alcun impatto dei cambiamenti climatici, ci si aspetterebbe che il trend medio della popolazione delle specie nei due gruppi sia lo stesso, ma le differenze dimostrano il fatto che il recente cambiamento climatico ha già favorito una serie di specie rispetto ad un’altra».

Willis aggiunge: «Questi risultati rappresentano un nuovo indicatore dell’impatto del clima per la biodiversità Lo stesso approccio potrebbe essere applicato anche a specie come api, farfalle e libellule, che sono ben controllate e altamente suscettibili ai cambiamenti climatici. Questo ci aiuta a capire dove il cambiamento climatico sta colpendo le popolazioni, e a comprendere le cause delle variazioni delle popolazione di uccelli comuni che possono anche essere influenzate da fattori come la perdita di habitat e l’intensificazione agricola».

Lo studio è stato finanziato in parte da Rspb, European Environment Agency, Commissione europea  e Grevillea Trust della Durham University. La raccolta di dati è stata finanziata grazie a  una grande quantità di piccoli donatori. Lo studio è stato reso possibile solo grazie alla dedizione di migliaia di volontari che hanno partecipato al censimento degli uccelli sulle stesse aree oggetto dell’indagine, utilizzando ogni anno gli stessi metodi rigorosi. Questo enorme lavoro è stato coordinato dall’European Bird Census Council (EBCC) e dall’USGS negli Usa.

Richard Gregory, della Rspb, è convinto che «Questo studio permette di ambientalisti e ai decision makers di monitorare la risposta delle popolazioni di uccelli ai cambiamenti climatici in atto Tali indicatori sono una importante guida sulla portata degli impatti del cambiamento climatico globale sul mondo naturale e un segnale se le politiche governative stanno facendo la differenza. La grande quantità di dati e l’ampia portata geografica di questo indicatore lo rendono uno dei migliori attualmente disponibili».

John Sauer, uno scienziato dell’USGS, ha evidenziato la sitauazione statunitense: «Abbiamo la fortuna di avere un ricco tesoro di informazioni nel North American Breeding Bird Survey, risalente to1961, e nella sua controparte europea. Se i data sets  a lungo termine sono molto prezioso nella ricerca ecologica, può essere una sfida  capire come utilizzarli al meglio per far luce su importanti questioni della conservazione. Questo lavoro lo fa, e ci fornisce nuovi indicatori di cambiamento che speriamo saranno utili per la conservazione degli uccelli».

Il team di ricerca internazionale ha detto che i suoi metodi possono essere applicati alle regioni tropicali o subtropicali o del Sud del mondo, ma in quelle arre il monitoraggio degli uccelli è stato fatto in un minor numero di posti e per periodi più brevi, per questo sperano che la ricerca possa portare ad un monitoraggio esteso anche nei Paesi in via di sviluppo.