Panama papers, la caduta dal paradiso
Oxfam, custoditi offshore 7.600 miliardi di dollari. Ovvero 23 volte quanto investito nel 2015 nelle energie rinnovabili in tutto il mondo
[4 Aprile 2016]
Undici milioni e mezzo di documenti, filtrati in un’indagine giornalistica durata più di un anno e condotta dall’International consortium of investigative journalists (partner italiano è L’Espresso), costituiscono il corpaccio della più grande fuga di notizie finanziarie che la storia ricordi. Sono stati ribattezzati “Panama papers” dalla sede dello studio legale Mossack Fonseca, il quarto più importante al mondo nella creazione di società offshore: un meccanismo che permette a un’azienda di non pagare le tasse nei paesi dove è concentrata la sua attività imprenditoriale, o non pagarne affatto, spesso in modo legale.
Grazie a una talpa che ha girato quest’enorme mole di documenti al quotidiano tedesco Suddeutsche Zeitung (e da questi condiviso con l’Icij) si è sviluppata un’inchiesta giornalistica deflagrata adesso sui media di tutto il mondo. A sottolineare l’insopprimibile necessità per il mondo moderno di un giornalismo vigile c’è il numero di soggetti interessati, davvero impressionante: 215mila le società coinvolte nello scandalo (solo le banche ammontano a 511), 150 tra capi di stato e leader politici messi all’angolo, 800 i clienti italiani coinvolti. La portata della fuga di notizie, e delle conseguenti indagini giudiziarie che ci auguriamo celeri e decise, sarà pienamente chiara solo a distanza di mesi.
A tornare già pienamente evidente è invece la totale inaccettabilità di quel cancro per il mondo identificato nell’elusione fiscale. «Dopo gli scandali Luxleaks e Swissleaks, l’inchiesta Panama Papers di Icij, che sta coinvolgendo trasversalmente nomi eccellenti del mondo della politica, bancario, finanziario, imprenditoriale, dello sport e dello spettacolo, getta nuova luce – afferma la direttrice delle campagne di Oxfam Italia, Elisa Bacciotti – su subdole pratiche elusive e sulla pervasività degli abusi fiscali a livello globale e nel nostro Paese E il vero scandalo è che molti dei casi scoperti dall’Icij sono moralmente deplorevoli ma non illegali. In questo senso l’elusione fiscale è davvero spietata e dannosa. Colpisce trasversalmente i contribuenti onesti, crea svantaggi competitivi per le piccole e medie imprese nazionali e priva le casse degli Stati di risorse essenziali per l’erogazione di servizi di base per i cittadini. Per risanare la situazione i governi stanno al momento facendo però ancora troppo poco», e per questo Oxfam chiede al governo italiano e ai leader europei e mondiali di adottare con urgenza misure efficaci di giustizia fiscale, attraverso la petizione Basta con i paradisi fiscali cui hanno aderito in appena due mesi oltre 190 mila cittadini da tutto il mondo.
Perché a rimetterci davvero, sottolineano da Oxfam, sono in fondo proprio i cittadini di tutto il mondo, Italia inclusa. Come sempre, i paesi poveri sono quelli che se la passano peggio: ogni anno si stima perdano 170 miliardi di dollari in mancate entrate fiscali, dirottate verso paradisi fiscali. Ma anche i “Paesi sviluppati” come il nostro hanno le loro belle gatte da pelare.
Nel suo dossier sulla disuguaglianza economica in Italia e sul contributo che il governo italiano può dare per la lotta ai paradisi fiscali, Oxfam ricorda che tra il 2000 e il 2015 la ricchezza delle famiglie italiane è aumentata di oltre 4mila miliardi di dollari, arrivando a quota 10.025 miliardi di dollari. L’incremento accaparrato dall’1% più ricco è stato 20 volte maggiore rispetto a quello che è toccato al 20% più povero degli italiani. Cosa c’entra questo con in Panama papers? Come spiega Oxfam, una complessa «rete globale di paradisi fiscali e un’industria di gestione patrimoniale in ascesa permettono a queste risorse di rimanere intrappolate in alto, fuori della portata della gente comune e senza ricaduta alcuna per le casse pubbliche degli stati». Le dimensioni di questo fenomeno sono purtroppo assolutamente rilevanti.
Per averne un’idea più precisa, si stima che circa «7.600 miliardi di dollari di ricchezza individuale (pari a più dei Pil di Regno Unito e Germania messi insieme e ai tre quarti della ricchezza netta delle famiglie italiane nel 2015) sono attualmente custoditi offshore».
Si tratta di una cifra difficile anche solo da immaginare, ma poterla recuperare dai paradisi fiscali e impiegarla in modo più produttivo per la comunità vorrebbe dire dare una svolta alle sorti del mondo. Un esempio? Nel 2015 gli investimenti in energie rinnovabili hanno raggiunto il loro record storico, eppure si sono fermati a 328,9 miliardi di dollari: si tratta di una cifra 23 volte più piccola rispetto ai miliardi nascosti offshore. «Viviamo nell’epoca dell’abbondanza e al tempo stesso della grande disuguaglianza. – conclude Bacciotti – Mentre i super-ricchi occultano risorse nei paradisi fiscali, potenti multinazionali trasferiscono artificialmente e esentasse gli utili prodotti altrove, verso paesi a fiscalità agevolata. I cittadini e i governi vengono così privati ogni anno di miliardi di dollari». Per garantire vantaggi a pochi meschini, i paradisi fiscali rubano la speranza di un paradiso per tutti. È indispensabile cancellarli, rivendendo le regole della finanza internazionale, e i Panama papers potrebbero finalmente accelerare la caduta dei demoni che li abitano, travestiti ancora una volta da angeli.