Cosa c’entra la Marina Militare con le trivelle e le piattaforme offshore?
Il governo ha recepito la Direttiva europea con «un difetto di competenza e un eccesso di delega»
[5 Aprile 2016]
Nell’ambito dell’affaire Guidi-petrolio ha fatto scalpore la notizia che il capo di Stato maggiore della Marina Militare, l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, è indagato con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata al traffico di influenze e per concorso in abuso d’ufficio in un filone siciliano dell’inchiesta sul petrolio in Basilicata. Ma cosa c’entra la Marina Militare con trivelle e piattaforme? Molto, almeno in Italia e almeno da quando il governo ha recepito con il DL 145/2015 la direttiva dell’Unione europea 30/2013 sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e che modifica la direttiva 2004/35/CE.
A differenza del fronte del no/astensionismo al referendum del 17 aprile, questa direttiva Ue, approvata dopo il disastro della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, parte dal presupposto che «i rischi relativi a gravi incidenti in mare nel settore degli idrocarburi sono significativi». Si tratta di una normativa europea molto seria e puntuale che «dovrebbe applicarsi non solo ai futuri impianti e operazioni in mare nel settore degli idrocarburi, bensì anche agli impianti esistenti, fatti salvi i regimi transitori». In particolare, nella direttiva si prevede che «al fine di mantenere l’efficacia dei controlli sul pericolo di incidenti gravi in mare nelle acque degli Stati membri, la relazione sui grandi rischi dovrebbe essere predisposta e modificata ove necessario tenendo conto di qualsiasi aspetto significativo del ciclo di vita di un impianto di produzione, compresi la progettazione, il funzionamento, le operazioni in combinazione con altri impianti, il trasferimento di tale impianto nell’ambito delle acque marine dello Stato membro, le modifiche significative e l’abbandono definitivo. Analogamente, la relazione sui grandi rischi dovrebbe essere predisposta anche in riferimento agli impianti non destinati alla produzione e modificata, ove necessario, per tener conto dei cambiamenti significativi apportati agli impianti. Nelle acque marine degli Stati membri non dovrebbe essere messo in funzione nessun impianto senza che l’autorità competente abbia approvato la relazione sui grandi rischi presentata dall’operatore o dal proprietario. L’accettazione della relazione sui grandi rischi da parte dell’autorità competente non dovrebbe comportare alcun trasferimento della responsabilità dell’operatore o del proprietario per il controllo dei grandi rischi all’autorità competente». Inoltre, nel testo si rileva che «le operazioni di pozzo dovrebbero essere effettuate esclusivamente da un impianto che sia tecnicamente in grado di controllare tutti i rischi prevedibili nel luogo della perforazione e con riferimento al quale sia stata approvata una relazione sui grandi rischi».
Come osservammo subito anche su greenreport.it, molte delle piccole multinazionali che operano nei mari europei ed extraeuropei non sarebbero in grado di rispettare questa direttiva, assicurando la massima trasparenza e partecipazione e accollandosi gli enormi danni e i risarcimenti derivanti da un incidente simile a quello della Deepwater Horizon.
In modo alquanto sbalorditivo, il ministero dello Sviluppo economico (Mise) interpreta a suo modo questa netta indicazione europea per la trasparenza delle operazioni e dei controlli, e nel Decreto legislativo 145 del 1 agosto 2015 che recepisce la Direttiva Ue inserisce anche il Sottocapo di Stato Maggiore della Marina Militare nel Comitato per la sicurezza delle operazioni a mare, perché considera le piattaforme offshore strutture di interesse nazionale, mentre la Direttiva Ue tende a considerarle strutture private sotto esclusiva responsabilità delle compagnie petro-gasiere. Anche nelle articolazioni sul territorio del Comitato è prevista, oltre alla presenza del Comandante della Capitaneria di Porto competente per territorio, anche quella di un Ufficiale Ammiraglio/Superiore designato dallo Stato Maggiore della Marina Militare.
A quanto ci risulta molti tecnici hanno arricciato il naso e all’interno del ministero dell’Ambiente e di altre istituzioni c’è una diffusa perplessità per questa scelta di affiancare la Marina Militare alle Capitanerie di Porto, sminuendo di fatto il ruolo di quest’ultime e trasformando così la vigilanza sulle piattaforme offshore da problema di sicurezza ambientale in security antiterrorismo e in questione “militare”.
Ma la cosa non piace soprattutto alla importantissima prima Commissione Affari Costituzionali del Senato. Nel parere sullo schema di decreto legislativo illustrato il 4 giugno 2015 dal relatore Francesco Palermo, del gruppo Autonomie, si legge: «In riferimento all’articolo 8, rileva che le disposizioni relative alla designazione dell’Autorità competente nello svolgimento delle funzioni di regolamentazione appaiono non pienamente corrispondenti alla direttiva da recepire, in quanto è prevista una composizione che coinvolge rappresentanti del Ministero della difesa, che risulta privo di funzioni specifiche in materia ambientale, nonché rappresentanti del Ministero dello sviluppo economico, benché la direttiva, all’articolo 8, comma 3, stabilisca espressamente una separazione completa dell’Autorità dalle funzioni relative allo sviluppo economico delle risorse naturali in mare».
Il 30 luglio 2015, le commissioni permanenti Industria, commercio e turismo (X) e Territorio ambiente e beni ambientali (XIII) del Senato, in riunione congiunta, approvano un parere sul Decreto legislativo 145 nel quale, insieme a un apprezzamento generale, si fanno proprie le osservazioni della prima Commissione e si pongono alcune condizioni. Tra queste spicca proprio quella riguardante la presenza della Marina Militare: «Per quanto attiene alla composizione del Comitato previsto dall’articolo 8 dello schema di decreto, si rimanda alle osservazioni della 1ª Commissione permanente in merito alla presenza nel Comitato di rappresentanti appartenenti ad amministrazioni, quale quella della Difesa, che non hanno funzioni rispetto ai contenuti della direttiva. Il Ministero della difesa ha la funzione di provvedere alla sicurezza e difesa militare dello Stato da attacchi esterni e non ha competenze sulla sicurezza interna degli impianti di estrazione. Quest’ultima attività di sicurezza mira a verificare l’efficace tenuta degli apparati di prevenzione degli incidenti, vero obiettivo della direttiva. In linea di diritto, peraltro, la mancanza di compiti del Ministero della difesa nell’impostazione della direttiva e del decreto attuativo determina, nel testo in esame, un difetto di competenza e un eccesso di delega, poiché si configurerebbero nuovi compiti istituzionali non discendenti dal quadro normativo vigente che sarebbe dunque innovato per effetto del decreto legislativo di attuazione, con tutte le conseguenze di incostituzionalità per violazione della riserva di legge di cui all’articolo 97 della Costituzione. Da ultimo, pur in mancanza di specifiche indicazioni da parte della direttiva, l’inserimento dei rappresentanti di una Forza armata all’interno di un organo che è sostanzialmente di controllo amministrativo rappresenta un’anomalia che non trova rispondenza nelle esperienze degli altri Stati membri».
Un giudizio durissimo, dopo il quale le commissioni proseguono smontando praticamente l’intero articolo 8 e chiedendo che nel DL 145 siano puntualizzate meglio le norme su trivellazioni e piattaforme offshore riguardanti un altro aspetto preoccupante: «L’eventuale localizzazione in aree marine protette, in zone speciali di conservazione di cui alla direttiva 92/43/CEE, nelle zone di protezione speciale di cui alla direttiva 2009/147/CE, in ecosistemi comunque sensibili dal punto di vista ambientale».
Il governo, che sul recepimento della Direttiva Ue aveva la delega dal Parlamento, ignora incredibilmente i pareri delle Commissioni affari costituzionali, industria e territorio del Senato – che prospettano anche profili di incostituzionalità – e va avanti come se nulla fosse, licenziando il testo con la Marina Militare nel Comitato per la sicurezza delle operazioni a mare, creando un precedente e tradendo così lo spirito e le indicazioni della Direttiva europea. Una nuova anomalia per le energie fossili made in Italy evidenziata da ben tre Commissioni del Senato e che, alla luce di quanto sta accadendo, suscita ulteriori preoccupazioni.