Se il referendum è “inutile”, perché tanto accanimento per farlo fallire?

Greenreport: una campagna di informazione per il Sì, da partigiani del futuro che è già tra noi

[15 Aprile 2016]

Ormai mancano poche ore al referendum del 17 aprile, un referendum voluto da 10 regioni italiane insieme ad altri 5 quesiti che hanno costretto il governo a tornare indietro  rispetto alle sciagurate previsioni dello “Sblocca Italia”, giustamente ribattezzato “Trivella Italia”, che avevano peggiorato la situazione rispetto a quanto voluto dall’ex ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo (che a volte ci tocca rimpiangere se la si paragona all’attuale ministro) e in linea con il governo Monti/Passera. Insomma, le Regioni promuovendo i referendum hanno già ottenuto diverse vittorie che ora il fronte del no/astensione e il governo cercano di far passare per proprie iniziative o concessioni magnanime, vantando “moratorie” sulle nuove trivellazioni – entro le 12 miglia – per sminuire l’importanza di questo referendum superstite dopo la ritirata dalle concessioni fossili dello “Sblocca Italia”.

Insomma, per 5 quesiti referendari il governo ha dovuto ammettere di avere commesso un errore e nella legge di Stabilità ha fatto marcia indietro dando ragione alle regioni. Sul sesto quesito, quello cui tutti i cittadini italiani sono chiamati ad esprimersi con il voto di domenica, invece il governo non ha potuto o voluto farlo e  la Cassazione prima e la Corte Costituzionale dopo hanno dovuto ammettere il referendum.  Come d’altronde anche gli stessi ambientalisti che oggi sostengono il Sì hanno sempre dichiarato, un referendum non è certo lo strumento migliore per decidere di politica energetica nazionale: quel che davvero sarebbe auspicabile è un lungimirante Piano per l’energia e il clima, del quale però non c’è neanche l’ombra. Adesso che gli italiani sono però stati trascinati al voto referendario, sono anche chiamati a fare una scelta di campo.

Ma il governo avrebbe potuto evitarlo? Sì, almeno a sentire quel che dice – mai smentito –  il 17 marzo in un comunicato ufficiale il presidente (Pd) della Regione Puglia Michele Emiliano rispondendo «con fraterna sincerità al comunicato dei due vice segretari del Partito democratico sulla vicenda referendaria». Emiliano ricorda ai suoi stessi compagni di partito che «i primi a voler evitare il referendum sulle trivellazioni petrolifere in Adriatico e nello Ionio sono stati i presidenti delle regioni referendarie, che delegarono il sottoscritto e il presidente della Basilicata Pittella a chiedere al governo, nella persona del sottosegretario Vicari, un incontro tra regioni e governo sulla materia delle trivellazioni, che aveva scatenato l’ira popolare di sindaci, cittadini, operatori turistici e determinato la presa di posizione di molti esponenti della stessa Chiesa cattolica a seguito della Enciclica di Papa Francesco Laudato Si’. Durante questo incontro, svoltosi nell’agosto del 2015 il sottosegretario con grande gentilezza prese atto delle nostre rimostranze di fronte al gran numero di permessi di prospezione di ricerca di idrocarburi nello Ionio e nell’Adriatico e si impegnò a convocarci entro la settimana successiva per definire il da farsi. Lo stesso sottosegretario Vicari dopo qualche tempo ci comunicò che il governo non aveva interesse a effettuare l’incontro con le Regioni. Fu solo tale decisione a indurre a malincuore molte regioni italiane governate dal Pd a richiedere il referendum sulle norme del cosiddetto Sblocca Italia che rendevano l’attività di ricerca ed estrazione petrolifera più facile e libera da qualunque intesa con le regioni».

E allora bisogna farsi alcune domande che, nonostante lo scandalo petrolifero lucano, sono rimaste senza risposta: perché questa caparbia volontà del governo Renzi/Guidi di far tenere il referendum e di provare al contempo a farlo fallire? Perché si continua a parlare di “spreco di denaro pubblico” quando il referendum poteva essere evitato accogliendo le proposte delle regioni, oppure almeno accorpato alle prossime elezioni amministrative come chiesto dagli ambientalisti? Ma soprattutto, perché se il referendum è inutile e non avrà nessuna ripercussione (l’altra tesi, esposta magari dagli stessi minimizzatori, è che sarà una catastrofe economica e occupazionale) si è scatenata una impressionante campagna per l’astensionismo che ha visto protagonisti, oltre al presidente del Consiglio, anche altre figure istituzionali? Perché questa imponente campagna di disinformazione e cattiva informazione che ha toccato vette imbarazzanti in alcune trasmissioni televisive? Dopo le discutibili performance astensionistiche del conduttore di Agorà, ieri SkyTG24  titolava ancora che il voto si sarebbe tenuto solo in 9 regioni e non in tutte come è in realtà. Una disinformazione inaccettabile in un organo di informazione con tale diffusione.

Come dice la presidente di Legambiente Rossella Muroni, anche in queste ore «sta proseguendo una inquietante campagna mediatica contro il referendum di domenica sulle trivellazioni. L’idea di fondo è che gli italiani siano distratti e che sia facile prenderli in giro, quindi si scoraggia ad andare a votare. Tutto l’opposto di quello che dovrebbe avvenire. Tutto questo è pericoloso per il Paese. La coesistenza sociale passa per la partecipazione. Il voto di domenica deve servire per diventare un Paese diverso, che comunque prima o poi diventeremo perché la storia si può rallentare ma non fermare. Se una parte della politica definisce “inutile” il referendum di domenica, io dico che sarà invece utilissimo, e lo penso al di là del quorum che mi auguro raggiungeremo. Il messaggio di domenica è culturale, vogliamo far capire quello che ci aspettiamo per il futuro. Purtroppo c’è ancora molta disinformazione sull’argomento: la settimana scorsa ha dovuto spiegare ad un giornalista radiofonico che non si votava solo nelle 9 regioni che hanno chiesto il referendum. In questa situazione è complicato».

Infatti “l’inutile” referendum del 17 aprile è diventato – anche per “merito” del governo – un’altra cosa: negli intenti astensionistici di governo e petrolieri un suo clamoroso flop potrebbe rappresentare l’occasione per riaprire l’intera partita fossile dello “Sblocca Italia”, perché tanto gli italiani non sono interessati ad impedire le trivellazioni offshore; per il movimento referendario è l’occasione per avviare davvero la transizione verso una società e un’economia rinnovabili, verso quel mondo low carbon che prevede di lasciare sotto terra i combustibili fossili, lo stesso evocato da Matteo Renzi nel suo discorso all’Onu nel settembre 2015, lo stesso sottoscritto dall’Italia alla Conferenza climatica mondiale di Parigi nel dicembre 2015, lo stesso che compare nell’enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco che il governo e il ministro dell’Ambiente hanno applaudito con pio e reverente entusiasmo.

“L’inutile” referendum parla ormai di questo e ne avrebbe parlato ancora più e meglio se la politica politicante non avesse occupato le tribune referendarie per confondere le acque e discutere di altro, delle sue eterne beghe autoreferenziali che paralizzano il Paese in un dibattito fossile, mentre altri Paesi corrono a tutta birra verso il futuro, magari utilizzando tecnologia italiana. E il nostro futuro, come confermano le moratorie di Croazia e Francia sulle trivellazioni nel Mediterraneo, non saranno le poche gocce di petrolio e i pochi m3 di gas nascosti sotto il fondo del nostro mare, sarà quello rinnovabile che sta costruendo Tesla negli Usa,  quello verso cui si incamminano giganti come Cina e India per non restare soffocati e avvelenati dalla loro stessa crescita, quello dei Rockefeller che disinvestono dagli idrocarburi e quello fatto di auto elettriche che hanno votato i parlamenti di Olanda, Norvegia, Svezia, Danimarca, quello del piccolo Costarica già 100% rinnovabile e quello degli imponenti finanziamenti per le rinnovabili delle petromonarchie dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti, che si preparano alla fine dell’economia basata sui combustibili fossili.

La redazione di greenreport è convinta che questo sia il futuro del mondo, tanto auspicabile quanto  inevitabile, e che l’Italia, con il suo genio troppo spesso sprecato e delocalizzato, possa esserne uno dei leader. Per questo ci siamo spesi così tanto per il Sì al referendum del 17 aprile, lo abbiamo certamente fatto in maniera partigiana, da partigiani di quel futuro che è già tra noi. Per questo voteremo con convinzione Sì e invitiamo i nostri lettori a votare Sì “all’inutile” referendum del 17 Aprile.