Riceviamo e pubblichiamo le riflessioni di un nostro lettore

Sostenibilità: la green economy da sola non basta, ma è indispensabile

[5 Maggio 2016]

Ripensando all’economia verde, o  green economy secondo il termine alla moda della lingua inglese, mi sono nati molti dubbi sulla certezza che possa salvare l’umanità. Energie e tecnologie alternative quali pannelli fotovoltaici, pale eoliche, elettrodomestici, macchine elettriche, lampade Led (“la mia lampadina salverà il mondo”, ha affermato l’inventore) nascono forse sugli alberi, spuntano dalla terra spontaneamente, pronte all’uso gratuito per l’umanità? O sono anch’esse ottenute dalle risorse naturali che occorre procurare e trasformare, consumando pertanto energia?

Limitando il consumo dei combustibili fossili l’effetto serra verrà probabilmente ridotto; ma una civiltà tecnologica come la nostra, con i suoi innegabili benefici per l’umanità, può fare a meno improvvisamente dei combustibili fossili? Abolire la plastica e i suoi derivati, per fare un esempio, o i consumi cui siamo abituati e dipendenti, provocherebbe una rivolta ovunque e lotte sociali immaginabili nel mondo sviluppato e anche in quello sottosviluppato, che tende ad “esondare” chiedendo la sua parte di benefici.

La green economy somiglia molto alla così detta rivoluzione verde, iniziata negli anni ’60, che doveva risolvere il grave problema della fame nel mondo, ma che ha determinato con lo sfruttamento eccessivo e uso indiscriminato di fertilizzanti chimici l’esaurimento e la desertificazione dei terreni: oggi vi sono ancora circa 800 milioni di persone che soffrono la fame nel mondo.

L’altro motivo di dubbio è la constatazione del boom delle energie rinnovabili che imprenditori sempre più numerosi stanno da tempo propagandando, realizzando rendimenti personali anche molti elevati con i campi di pannelli fotovoltaici e i parchi di pale eoliche.

Ci salverà dunque la green economy, nuova rivoluzione industriale? Credo proprio di no, almeno che non poggi concretamente sulla decrescita dei consumi, specialmente quelli inutili e dannosi. Decrescita naturalmente estesa anche alla popolazione umana in crescita esponenziale (siamo 7 miliardi). Obiettivo tuttavia difficilmente realizzabile considerando “l’insipienza” e l’egoismo genetico della specie Homo sapiens.

Sarà quindi la nostra specie destinata all’estinzione? L’homo sapiens rischiò seriamente di estinguersi tra i 195 e i 123 mila anni fa per la fase glaciale denominata “stadio glaciale 6”. Mentre le popolazioni dell’Africa si estinguevano lentamente per l’avanzata del gelo e della siccità che uccideva piante e animali, solamente un’esigua popolazione che viveva nelle grotte di Pinnacle Point, un promontorio nell’estrema Costa del Sudafrica, sopravvisse grazie al cibo ricavato dal mare come i molluschi e alle piante ricche di carboidrati che prosperavano a dispetto del clima ostile. Da questa popolazione sopravvissuta alla glaciazione discende quindi la nostra specie che si diffuse poi in tutti i continenti.

Molti sono stati gli eventi catastrofici naturali che si sono succeduti nelle ere geologiche: glaciazioni, caduta di meteoriti, esplosioni vulcaniche, che hanno provocato l’estinzione di molte specie viventi. Ma nell’era Antropozoica che stiamo vivendo, la catastrofe che probabilmente farà estinguere la nostra specie, sarà proprio determinata da l’homo sapiens stesso attraverso il cambiamento climatico, inquinamento degli ecosistemi naturali, desertificazione, fine delle risorse naturali.

Da questa crisi ambientale credo che si potrà salvare solo una popolazione “primitiva”, quale quella ad esempio dei Kawahiva che abita nella regione del Mato Grosso in Brasile. Tribù che rifiuta ogni contatto con la società dei consumi e vive in una reale forma di “decrescita felice” realizzata da uno stile essenziale di vita, compatibile con la natura e, soprattutto, dal numero di individui proporzionale alle risorse del territorio in cui vive.

di Paolo Abbate, attivista ambientale e socio Wwf

Caro Abbate, le sue preoccupazioni sono le stesse che affollano la mente di quanti si occupano di sostenibilità. Riuscirà la specie umana a sopravvivere a sé stessa? Gli indizi non sono dei più incoraggianti, ma non vogliamo rassegnarci a un orizzonte che preveda la morte di 7 miliardi – presto 10 – di persone, contando solo pochi sopravvissuti tra i Kawahiva e le poche tribù rimaste incontattate. La decrescita (in)felice la stiamo sperimentando in Italia da 8 anni di crisi, con risultati tutt’altro che positivi. La a-crescita, intesa come abbandono del totem che vede l’incremento del Pil come sinonimo del benessere per la collettività, è certo un’inclinazione deleteria da abbandonare. L’innovazione, di cui la green economy è espressione, rimane però una componente fondamentale per ambire a uno sviluppo sostenibile. Non esistono mappe già scritte per arrivare al traguardo, ma in fatto di sostenibilità l’arma più affilata che abbiamo ritengo sia la scienza. Dobbiamo dunque affidarci a lei, senza dimenticare la nostra umanità. È la scienza a mostrarci che in troppo pochi stiamo consumando troppe risorse naturali, troppo in fretta. La scienza potrà forse aiutarci a trovare strade diverse, ma dobbiamo darle tempo. Rallentare crescita e consumi, e investire massicciamente in R&S: l’importante è non mettere il carro davanti ai buoi. Per resistere, nell’attesa, la parola d’ordine non può che essere una: “redistribuire”.

Luca Aterini