Materie prime e sostenibilità, la buona guerra della Federal Reserve
[30 Luglio 2013]
Ha del sorprendente la recente presa di posizione della Federal Reserve degli Stati Uniti di rivedere le proprie decisioni dal 2003 in poi che hanno permesso alle principali banche americane, tra cui Goldman Sachs, JP Morgan e Morgan Stanley, di commerciare commodities fisiche al pari dei trader commerciali e possedere infrastrutture importanti per lo stoccaggio di materie prime e di metalli.
Sin dallo scoppio della crisi finanziaria, i decisori politici a Washington hanno guardato con attenzione e sospetto al coinvolgimento delle grandi banche d’affari nel mercato delle commodity, ben oltre l’utilizzo dei famigerati prodotti derivati a queste collegati. Con la nuova legislazione quadro Dodd-Frank per la regolamentazione dei mercati finanziari, sono stati imposti alcuni vincoli più stretti, anche se le lobby finanziarie li hanno in parte annacquati nei regolamenti attuati, che in questa materia fanno capo principalmente alla Commodity Futures Trading Commission.
Per altro proprio negli Usa poco tempo fa Barclays e JP Morgan sono state condannate a pagare pesanti sanzioni per il ruolo distorsivo avuto nei mercati dell’elettricità. Non solo, sempre negli Usa il conto presentato alle banche dalle autorità per via della crisi da loro provocata, sta crescendo notevolmente. Un qualcosa che ricorda lo scandalo Enron, la più grande utility elettrica americana, che fallì clamorosamente dopo aver speculato selvaggiamente sul mercato californiano, al punto di creare essa stessa black-out che alterassero i prezzi e consentissero extra profitti con l’utilizzo di strumenti finanziari derivati.
In realtà la controversa questione del ruolo delle banche di affari nel mercato fisico delle commodity risale alla fine degli anni ’90, quando le lobby a Washington riuscirono a strappare alla presidenza uscente di Bill Clinton – con l’ormai famoso emendamento Gramm-Leach-Bliley alla Bank Holding Company Act – la possibilità per gli istituti di credito non regolati di essere considerate al pari di società commerciali. Tale cambiamento epocale fu giustificato dall’assunzione, alquanto dubbia, che una parte di business fisico fosse complementare e collegato con gli investimenti in prodotti derivati basati sulle commodity, quali i futures sul petrolio o la benzina, nelle mani delle grandi banche. Da allora queste ultime hanno assunto un ruolo sempre più importante in quei mercati e dal 2003 hanno ottenuto varie deroghe alla legislazione, fino a garantirsi le proprietà dei siti di stoccaggio e dei mezzi di trasporto delle materie prime. In questo modo attori come JP Morgan sono diventati i più grandi trader di petrolio al mondo, ben oltre di quanto lo fossero le multinazionali del settore. Analogamente, alcuni fondi hedge sono diventati i maggiori trader di grano e soia.
In queste settimane è stata la Goldman Sachs a finire nell’occhio del ciclone con accuse di bieca speculazione tramite la manipolazione degli accumuli nei magazzini del Metal Stock Exchange, che la Banca controlla, ossia la borsa dei metalli. In breve, la mega banca d’affari americana è accusata di mantenere i magazzini pieni e di spostare gli stoccaggi da un sito all’altro per fare più profitti e alterare il prezzo dell’alluminio, magari incassando ulteriori extra-profitti tramite il mercato finanziario dei derivati. Accuse gravi, che la banca nega seccamente, nonostante il Congresso americano la continui a incalzare.
La scelta che la Federal Reserve farà potrebbe essere davvero risolutiva dopo anni di parole e pochi fatti dallo scoppio della crisi finanziaria. Tornare indietro sulle eccezioni concesse nell’ultimi decennio sarebbe il primo passo nella giusta direzione. Più in generale è lecito chiedersi perché bisogna permettere alle banche di avere una presenza nel mercato fisico delle commodity, inclusa la gestione di fondi Exchange Trade e prodotti collegati che vanno a collegare i prezzi dei futures e quelli degli stock di materie prime nello stesso bond venduto agli investitori. Tale commistione aiuta ben poco a creare liquidità nei mercati, come le teorie liberiste affermano, ma genera soltanto nuove opportunità di speculazione per i soliti noti, lasciando crisi alimentari e alti prezzi di benzina e metalli a gran parte della popolazione. D’altronde gli extra-profitti delle banche qualcuno li dovrà pur pagare…