Non solo Islanda, anche in Toscana la geotermia prova ad imbrigliare la CO2

All'estremo nord dimostrata la fattibilità dello stoccaggio nel sottosuolo, in Italia si fanno largo re-impieghi industriali

[27 Giugno 2016]

L’accesso alle tecnologie per la produzione di energia da fonti rinnovabili è una sfida globale che i vari paesi del mondo debbono affrontare insieme al fine di limitare il riscaldamento globale entro i 2 °C, e per raggiungere questo obiettivo alcune strane si mostrano più rilevanti di altre. L’Unione europea contribuisce agli sforzi globali progettando la de carbonizzazione della propria economia entro il 2050: considerando che circa il 50% del consumo di energia primaria in Ue è impiegato per produrre calore, impiegare il calore geotermico naturalmente presente nel sottosuolo in modo conveniente e sicuro è considerata una parte fondamentale nella transizione verso un’economia low-carbon.

In un impianto geotermoelettrico europeo, in Islanda, si sta però tentando di fare ancora di più: i ricercatori del progetto Carbfix – che hanno recentemente pubblicato il proprio lavoro su “Science” – sono riusciti a dimostrare che le emissioni di CO2 prodotte da centrali termoelettriche (non solo di natura geotermica, dunque) possono essere catturate prima che si disperdano in atmosfera, iniettandole nel sottosuolo e trasformandole così da gas in roccia.

Il processo si basa su una reazione chimica nota: quando l’anidride carbonica entra in contatto con del basalto – una roccia di origine vulcanica – e dell’acqua, si tramuta in un minerale. In un esperimento svoltosi tra il 2012 e il 2013 presso la centrale geotermoelettrica di Hellisheiði, i ricercatori hanno stoccato sottoterra (tra i – 400 e i – 800 metri) 250 tonnellate d’acqua con disciolti CO2 e acido solfidrico. I controlli seguenti hanno mostrato la mineralizzazione dell’anidride carbonica in meno di due anni. «Ora sappiamo che possiamo iniettare nel sottosuolo grandi quantità di CO2 perché – spiega Martin Stute, geochimico della Columbia University e tra gli autori dello studio – lo stoccaggio avviene in maniera rapida e sicura».

Nonostante ciò, più interrogativi continuano a pendere sul futuro di questa tecnologia. Perché possa funzionare è necessaria la presenza di terreni basaltici – che non sono rari sulla Terra – ma anche importanti quantità d’acqua. Perché il processo funzioni, sono necessarie almeno 25 tonnellate d’acqua per ogni tonnellata di CO2. Presso la centrale geotermoelettrica di Hellisheiði, dove l’impiantistica non ha necessitato di profonde modifiche e la risorsa idrica abbonda, è stato possibile concludere l’operazione al modico costo di 30$ a tonnellata, ma il costo stimato dai ricercatori per la maggioranza degli impianti sale già a 130$/ton. Senza contare la materiale scarsità della risorsa idrica.

Quella che è arrivata dalla geotermia islandese rimane una promettente scoperta ma, anche alla luce delle criticità note, è importante continuare a seguire altre strade. Un esempio concreto arriva proprio dalla geotermia Toscana, dove – come ha recentemente ricordato il sindaco di Pomarance Loris Martignoni – insieme «ad Enel, Cosvig ed il gruppo Rivoira, uno dei maggiori operatori nel mercato della CO2, stiamo elaborando un progetto per utilizzare l’anidride carbonica direttamente dai camini geotermici, per poi sottoporla ad un processo di depurazione ed incanalarla nel mercato del settore alimentare». L’innovazione a km zero.