Dal 1985 ad oggi, malgrado i vincoli della Legge Galasso, cancellati 160 chilometri di coste
Salviamo le coste italiane, il dossier per la tutela dei paesaggi costieri italiani
Più del 55% delle aree costiere trasformate per sempre dal cemento. Nel Lazio e in Abruzzo il 63%
[31 Luglio 2013]
Il dossier “Salviamo le coste italiane”, presentato oggi da Legambiente, «Analizza Regione per Regione il consumo delle aree costiere attraverso un lavoro di analisi e confronto delle foto satellitari. Scatti che hanno permesso di riconoscere le aree dove è stato cancellato in modo irreversibile il rapporto tra mare, paesaggi naturali e agricoli». Il quadro che ne emerge è sconfortante: «Le coste italiane sono sotto costante minaccia. Se un tempo erano una crocevia di storie, di incontri tra culture diverse, da troppo tempo sono invece diventate preda e bottino della speculazione edilizia che ne sta cambiando irreversibilmente i caratteri. Su 1.800 km di coste analizzate in 8 Regioni italiane, tra Adriatico e Tirreno, oltre il 55% sono state trasformate dall’urbanizzazione. Senza contare che dal 1985 ad oggi, malgrado i vincoli della Legge Galasso, sono stati divorati dal cemento ben 160 chilometri di coste».
8 le Regioni analizzate: Abruzzo, Campania, Emilia-Romagna, Lazio, Marche, Molisem, Sicilia e Veneto e il record della cementificazione costiera va ad Abruzzo e Lazio con il 63% di coste trasformate, si salvano solo un terzo dei paesaggi mentre tutto il resto è ormai occupato da palazzi, ville, alberghi, porti.
Male anche l’Emilia-Romagna (58,1%), la Sicilia (57,7%), le Marche (54,4%), la Campania (50,3%), il Molise (48,6%) e il Veneto (36%) dove l’urbanizzazione è stata frenata solo dal Delta del Po e dal sistema lagunare. Secondo il dossier «Nel complesso la costa Tirrenica mostra i dati più allarmanti rispetto a quella adriatica con quasi 120 km tra il 1988 ed 2011di costa con paesaggi naturali e agricoli cancellati nelle varie Regioni analizzate, con un aumento del 10,3% di consumo delle aree costiere».
Il presidente nazionale del Cigno Verde, Vittorio Cogliati Dezza, ha detto che «La fotografia scattata da Legambiente evidenza un quadro preoccupante, una deriva pericolosa che non trova, al momento, ostacoli efficaci né nella legislazione né nelle volontà politiche degli amministratori locali. I risultati che emergono dal dossier evidenziano non solo come continui la pressione delle speculazioni in tanti luoghi di straordinaria bellezza, ma che esiste un grave problema di tutela che riguarda vincoli, piani e sistemi di controllo. La preoccupazione aumenta se si pensa poi alla crescente esposizione al rischio idrogeologico che questa situazione fa emergere e se si considera che l’esplosione dell’occupazione delle coste con il cemento in molte parti d’Italia avviene in assoluto rispetto della legalità. L’abusivismo peggiora una situazione già gravemente compromessa. L’obiettivo deve essere salvare la natura residua, liberare l’accesso alle spiagge ed avviare un grande piano di riqualificazione dell’esistente, per cancellare quella litania di case e costruzioni che rovinano la bellezza delle nostre coste. È dunque fondamentale che si apra una nuova fase di attenzione nei confronti dei paesaggi costieri, un patrimonio unico, una risorsa preziosa, che non può rischiare di essere divorata anno dopo anno dal cemento ma, al contrario, che l’Italia deve tutelare e valorizzare».
Al dossier è arrivato il plauso del sottosegretario ai beni culturali e turismo, Ilaria Borletti Buitoni, «L’iniziativa di Legambiente è meritevole nel merito e nel metodo, e trova il mio incondizionato sostegno. Lo è nel metodo, perché si tratta di una denuncia documentata e puntuale del degrado che sta aggredendo da troppo tempo una parte costitutiva dell’identità italiana come il meraviglioso paesaggio delle nostre coste, in primo luogo per colpa di un selvaggio abusivismo edilizio; e lo è nel merito, perché passando dalla protesta alla proposta, con la presentazione di un ddl ne fa una questione nazionale che chiama in causa la responsabilità e la capacità della politica di tutelare questo patrimonio. Si tratta di uno stimolo ad agire immediatamente che intendo prendere molto seriamente». La Borletti Buitoni si riferisce al ddl sulla bellezza, depositato in Parlamento dall’associazione ambientalista che chiede che venga «Rapidamente discusso e approvato per risanare questi scempi. Nell’interesse dei cittadini e dell’ambiente, del turismo e di un settore come quello edilizio che può trovare nuove opportunità di lavoro proprio puntando sulla riqualificazione».
I dati regione per regione fanno ancora più impressione: in Abruzzo sono 91 i km di costa irreversibilmente modificati su un totale di 143 km. «Tra le infrastrutture, nate o ampliatesi negli anni scorsi, spiccano i porti di Pescara, Giulianova, Ortona e Vasto – segnala il rapporto – Ma in questa regione l’aspetto più impressionante è che il paesaggio costiero “ancora” libero sia protetto solo parzialmente, solo il 9% dell’intera costa abruzzese risulta essere infatti area protetta». Nel Lazio su un totale di 329 km di litorale, 208 km risultano essere trasformati ad usi urbani e infrastrutturali. «Senza contare – dicono gli ambientalisti . che l’urbanizzazione realizzata successivamente all’entrata in vigore della Legge Galasso ha portato alla cancellazione di ben 41 km i costa, cioè il 20% dell’intera urbanizzazione esistente. I tratti di costa in cui i valori di consumo di suolo sono più alti, sono quelli che vanno da Salto Corvino a Terracina, da Anzio a Torvaianica».
In Emilia-Romagna è sto trasformato il 58,1% delle coste e sono stati ubanizzati 82 km su 141 totali. «In particolare da Cesena a Cattolica, tra il 1988 ed il 2011, si è registrato un aumento di costruzioni anche alle spalle della linea costiera». Sicilia, Marche e Campania si sono mangiate rispettivamente il 57,7%, il 54,4% e il 50,3% delle coste. Il dossier per la sicilia cita un caso emblematico quello del tratto tra Fiume Grande e Capo, nei pressi di Cefalù, in precedenza caratterizzato da aree verdi. Preoccuanti anche i dati del minuscolo Molise con ben il 48,6% di coste trasformate. «Nonostante la costa molisana sia di modesta lunghezza (35 km), nel corso degli ultimi 25 anni risulta essere tra le più aggredite dalla cementificazione registrando tra il 1988 ed il 2011 un aumento di consumo di suolo costiero del 28,6%», si legge nel documento.
In Veneto il cemento ha divorato il 36% delle coste, ma solo perché non si può costruire nelle zone allub vionali del Delta del Po e nella Laguna Veneta.
Il vice-presidente di Legambiente, Edoardo Zanchini, conclude: «Non è più rinviabile un intervento di tutela delle aree costiere ancora libere dal cemento. Altrimenti si continuerà a vedere scomparire anno dopo anno dune e litorali sotto il peso di villaggi turistici, seconde case, palazzi, alberghi sfruttando l’inefficacia dei vincoli della Legge Galasso e dei controlli, la vaghezza delle indicazioni dei piani paesistici regionali. Occorre che i Ministeri dei Beni culturali e dell’Ambiente stabiliscano un vincolo di inedificabilità assoluta per tutte le aree costiere ancora libere dall’edificato per almeno 1 chilometro dal mare. In parallelo spetta alle Regioni e al Ministero dei Beni culturali la responsabilità di concludere finalmente la revisione dei piani paesaggistici regionali, per adeguarli alle indicazioni della Convenzione Europea del paesaggio e del Codice dei beni culturali e del paesaggio, per introdurre indicazioni di tutela efficaci e obiettivi di riqualificazione del patrimonio edilizio e dell’offerta turistica».