Ungheria: il razzismo non ha il quorum
L’Ue non può continuare a far finta di non vedere la deriva autoritaria dell’Europa orientale
[3 Ottobre 2016]
La sfida all’Europa e alla civiltà del premier iper-conservatore (ma sarebbe meglio dire neo-fascista) ungherese Viktor Orban è fallita: il referendum contro l’accoglienza di poche centinaia di immigrati – nel nome delle radici cristiane dell’Ungheria e contro quel che si sgola a dire Papa Francesco – non ha raggiunto il quorum, fermandosi intorno al 43% degli aventi diritto. E’ vero che il 98% di chi ha votato si è espresso contro le quote di immigrati “imposte” all’Ungheria per alleviare il peso su Grecia e Italia, ma è anche vero che questo è dovuto al fatto che l’opposizione democratica ungherese ha disertato le urne proprio per far mancare il quorum.
E’ fallito quindi il tentativo dell’ennesima svolta autoritaria nel Paese che per primo si ribellò al predominio sovietico sull’Europa dell’est, che per primo abbatté la Cortina di ferro proprio nel nome della libera circolazione delle persone e delle idee e che dopo la caduta del muro di Berlino ha dato il via ad un’interrotta migrazione dei suoi cittadini all’estero, 800.000 solo negli ultimi anni in un Paese di 10 milioni di abitanti.
A 27 anni dalla caduta del muro e della cortina di ferro l’Ungheria dei migranti, prima politici e poi economici, ha costruito un nuovo muro di filo spinato sui suoi confini meridionali, approvato leggi razziste contro i rom, limitato le libertà di stampa, represso l’opposizione, permesso la creazione di milizie che si richiamano alle guardie di ferro filo-naziste e avviato una politica di riavvicinamento alla Russia putiniana, tifando per Donald Trump ma restando ferreamente filo-atlantica e lavorando testardamente a demolire i pilastri su cui è stata edificata l’Europa, quelli vecchi della libera circolazione degli esseri umani e quelli nuovi come le politiche ambientali.
Orban però vuole – anzi pretende – che l’Europa continui a finanziare munificamente la traballante economia ungherese che le sue politiche reazionarie fanno oscillare tra il populismo e il neoliberismo spinto. Ora, dopo questo fiasco dovuto anche alla paura dell’elettorato ungherese di perdere i vitali finanziamenti dell’Unione europea, Orban – il cui partito xenofobo, Fidesz – Magyar Polgári Szövetség, fa parte del Partito popolare europeo – vorrebbe trattare da un punto di forza con Bruxelles, facendosi forte di un risultato plebiscitario ma privo di quorum e quindi nullo.
Il problema è che la fortuna di governi autoritari come quello di Orban, o come quello polacco e bulgaro o di altri regimi nati nell’Europa dell’est, euroscettici con i soldi dell’Unione europea e che poco hanno a che fare con le tradizioni democratiche europee, è dovuta proprio alla voluta mollezza con la quale la grossa koalition democristiana-socialdemocratica-liberale che amministra l’Ue ha affrontato la deriva autoritaria, xenofoba e neofascista di questi Paesi da sempre più filo-americani (e recentemente in alcuni casi anche sempre più filo-putiniani) che europeisti. Il tutto mentre massacrava la Grecia e cercava di impedire – anche con una sorta di golpe istituzionale – che in Portogallo si formasse un governo di sinistra.
Il problema è che l’Europa occidentale, dopo aver considerato l’Europa orientale il giardino di Mosca seminato di missili ora sa che è il giardino di Berlino seminato di imprese e interessi tedeschi. Ma il problema per la Germania è che proprio da quell’enorme giardino che era oltre la cortina di ferro, proprio da dove l’Europa venne invasa dai migranti quando cadde il muro di Berlino, ora viene un’ondata xenofoba che alimenta una sempre più pericolosa destra interna.
Il fallimento del referendum anti-immigrati di Orban è una buona notizia, ma l’Unione europea non può continuare a far finta che a Budapest ed altrove non ci sia un problema di convivenza politica con i valori fondanti dell’Europa che rischia di demolire le radici stesse dell’Unione europea.
Qualcuno credeva di aver sconfitto il “pericolo rosso” in Grecia riducendo Tsipras ad ubbidire agli ordini di Bruxelles e del Fondo monetario internazionale e si ritrova le camicie brune e nere dove prima c’erano i carri armati dell’Armata Rossa, mentre gli xenofobi marciano di nuovo al passo dell’oca su Berlino.