Alimentarsi con carne “artificiale”? La strada (qualora percorribile) è ancora lunga
[6 Agosto 2013]
Secondo i dati della Fao, circa una persona su sette soffre la fame e oltre 20 mila bambini al di sotto dei cinque anni muoiono di fame ogni giorno. Le cause sono da ricercare in un modello inadeguato di distribuzione delle risorse, in un mercato alimentare “drogato” con produzioni eccedenti e sprechi di cibo alle stelle che impoverisce soprattutto i Paesi sottosviluppati.
Tra l’altro nel 2050 saranno 9 miliardi le persone insediate sul Pianeta con una domanda globale di cibo, destinata a crescere del 60% . Per arginare questo enorme problema non esiste la bacchetta magica e nemmeno un’unica soluzione. E’ necessario intanto tutelare le produzioni locali nei paesi poveri, ridurre gli sprechi alimentari, ridurre l’agricoltura industriale, rendere sostenibile il mercato globale del cibo anche quello dei mangimi animali (ma ovviamente è più facile a dirsi che a realizzarsi visto gli interessi che vi gravitano attorno), con grandi benefici per le persone e per gli ecosistemi.
Ci sono poi le proposte “innovative” (e sotto certi punti di vista provocatorie) come quella venuta tempo addietro dalla stessa Fao che ha invitato a cibarsi di insetti ricchi di proteine, vitamine e minerali, la cui produzione è nettamente meno impattante sull’ambiente degli allevamenti di carne bovina. E poi ci sono le novità della ricerca nel settore alimentare, l’ultima delle quali è arrivata alla ribalta della cronaca ieri. Infatti a Londra è stato mangiato il primo hamburger di carne sintetica, ricavata da colture di cellule staminali di bovino.
Il progetto, che ancora è difficile capire se sia destinato a lasciare il segno nel nuovo millennio o se sia solo un “azzardo” scientifico, è stato realizzato da Mark Post, ricercatore dell’ Università di Maastricht (Olanda) e finanziato da Sergey Brin, co-fondatore di Google. Il tempo ci dirà se siamo di fronte a una nuova opportunità per alimentarsi a ridotto impatto ambientale e oggi trarre conclusioni in un senso o nell’altro probabilmente sarebbe sbagliato, anche se tutto ciò che non viene dalla terra attraverso (ovviamente) filiere sostenibili crea di primo acchito repulsione e sospetto, almeno in chi scrive.
Questo impatto alla notizia lo ha avuto senza dubbio il presidente della Cia Giuseppe Politi «I “cibi da laboratorio” non servono. Tra l’altro, nascondono insidie. Il patrimonio di biodiversità animale e vegetale nel mondo è così vasto e completo che va solo opportunamente preservato e selezionato. Quindi, investire grandi capitali per creare nuovi prodotti “artificiali” non ha senso. I consumatori hanno, del resto, bocciato gli Ogm e la clonazione a fini alimentari. Quando i cittadini sono stati consultati sull’argomento, in Italia e in Europa, hanno detto ‘no’ con percentuali vicine all’80 per cento». Per ora comunque non c’è da preoccuparsi: visti i costi (circa 250 mila euro), siamo sicuri che gli hamburger “bionici” non invaderanno il mercato.
«E’ assurdo che si spendano montagne di euro in ricerche e sperimentazioni senza alcun vantaggio per la collettività -ha aggiunto Politi- Nel nostro Paese poi, questo tema diventa quasi inutile quando si leggono i dati sul “made in Italy” agroalimentare fatto di prodotti tipici e di qualità. Da una parte c’è un settore che vale 245 miliardi di euro, dall’altra nessuna bistecca clonata o verdura transgenica sullo scaffale, né consumatori disposti a comprarli. E come se non bastasse chi l’ha assaggiato ha sostenuto che è sgradevole al gusto. Oltretutto, non siamo solo in presenza di un problema di sicurezza alimentare, ma anche di una questione di carattere etico. Esprimiamo, pertanto, forti perplessità verso investimenti, studi e ricerche che mirano alla standardizzazione e all’omologazione degli alimenti e ignorano ogni principio di precauzione sull´impatto salutistico. Sarebbe più opportuno orientare gli sforzi e l´impegno su altri modelli di ricerca e innovazione in campo agricolo» ha concluso il presidente della Cia, con il quale sostanzialmente concordiamo. Anche se la ricerca, entro determinati limiti etici, quando finanziata con i soldi dei privati può anche spingersi in strade impervie.