In Turchia «misure repressive spropositate», nuova fase nelle relazioni Ue-Ankara

Kefalogiannis: La Turchia deve fermare questa deriva antidemocratica

[29 Novembre 2016]

Ad oltre 10 anni  dall’inizio dei negoziati di adesione della Turchia all’Unione europea, il filo che restava a malapena attaccato sembra essersi rotto il 24 novembre, quando il Parlamento europeo ha chiesto di bloccare temporaneamente tutto il tribolato iter ed ha mandato su tutte le furie il presidente turco Erdogan. «La causa – spiega una nota dell’Europarlamento – sono le misure repressive sproporzionate messe in campo da Ankara dopo il presunto colpo di stato di luglio».

Il regime islamista turco, che non ha certamente gradito che si parli di “presunto colpo di Stato”,  ha minacciato di lasciar entrare migliaia di profughi in Europa, facendo perfino arrabbiare quella che è considerata la poiù solida alleata di Erdogan in Europa,: Angela Merkel.

Mercoledì 30 novembre il ministro turco per gli affari europei Ömer Çelik sarà a Bruxelles per incontrare il commissario europeo per le migrazioni Dimitris Avramopoulos, ma le minacce di Erdogan non sembrano aver intimorito gli europarlamentari che hanno affidato la loro risposta a un’intervista al greco Manoilis Kefalogiannis, che riassume tre caratteristiche che rappresentano un vero e proprio avvertimento per Erdogan: è un europarlamentare greco, cioè del Paese storicamente nemico della Turchia, appartiene al gruppo del Partito popolare – cioè quello della Merkel, ed è anche a capo della commissione mista Ue-Turchia.

In un’intervista all’ufficio stampa del Parlamento europeo, Kefalogiannis spiega: «Si apre una nuova fase nelle relazioni Ue-Turchia. L’Ue rimane comunque il più importante e affidabile partner della Turchia».

Una contraddizione della quale è consapevole anche l’irato Erdogan che, dopo aver chinato la testa di fronte a un doloroso embargo russo, che gli è costato un’umiliazione di fronte a Vladimir Putin, che è stata mascherata solo dal farsesco e ora non può certo permettersi un’ancor più dolorosa guerra commerciale con l’Unione europea,

Ecco come, rispondendo a qualche domanda, Kefalogiannis spiega la svolta europea e le contraddizioni del regime turco.

Perché il Parlamento chiede lo stop ai negoziati di adesione?

Dopo il presunto colpo di stato di luglio 2016, in Turchia migliaia di persone sono state arrestate, licenziate o sospese dall’incarico. Si tratta di militari, funzionari pubblici, insegnanti e presidi universitari, magistrati, giornalisti e politici dell’opposizione.

Il Parlamento osserva con estrema attenzione la situazione, peggiorata dalla minaccia di Erdogan di reintrodurre la pena di morte. ”La Turchia deve fermare questa deriva antidemocratica, particolarmente accentuata dopo il colpo di stato dello scorso 15 luglio e smetterla di prendere in considerazione la reintroduzione della pena di morte – ha continuato Kefalogiannis – In più, la Turchia deve fare suoi i valori e gli standard europei, smetterla di mettere in discussione i trattati internazionali, primo fra tutti quello di Losanna” (Il trattato di Losanna fu firmato nel 1923 e garantisce diritti alle minoranze etniche in Turchia, primi fra tutti freci e armeni).

Durante la plenaria di novembre, i deputati hanno votato una risoluzione che ferma temporaneamente ogni avanzamento del processo d’adesione della Turchia all’Unione europea. La condizione fondamentale per far riprendere l’iter riguarda il ritiro delle misure repressive adottate negli ultimi mesi.

“Ci auguriamo tutti sia una cosa temporanea – ha detto la relatrice olandese del gruppo socialista Kati Piri – Ma è la Turchia che deve impegnarsi perché ci siano le condizioni per far riprendere i negoziati”.

Misure repressive sproporzionate

In precedenza, i parlamentari avevano già sottolineato che il modo in cui la Turchia avrebbe gestito il post-colpo di stato sarebbe stato un test cruciale per la democrazia del Paese. Ci si riferiva particolarmente al rispetto della dignità umani e dello stato di diritto.

Tempo prima, era già stata approvata una risoluzione che invitava le autorità turche a liberare giornalisti e operatori della comunicazione imprigionati senza prove convincenti.

Un dialogo è possibile?

“Abbiamo bisogno di parlare direttamente con la Turchia, non di fare o ascoltare dichiarazioni”, aveva detto Martin Schulz durante una visita ufficiale nel Paese a settembre. Non sono passati nemmeno due mesi e il 16 novembre è stata sospesa e rinviata una missione di deputati a causa di un “mancato accordo con le autorità turche sulle modalità d’incontro”.

Il giorno precedente, il 15 novembre, il ministro turco per gli affari europei Ömer Çelik era in visita al Parlamento europeo. In quell’occasione, Schulz spiegò “le obiezioni europee alla maniera in cui la Turchia ha deciso di reagire al colpo di stato”.

La risposta della Turchia: blocchiamo l’accordo sui migranti

La Turchia ospita il più grande numero di rifugiati al mondo, circa 3 milioni. È un crocevia fondamentale per tutti quei profughi siriani, afghani e iracheni che cercano di arrivare in Europa.

Lo scorso 18 marzo è stato raggiunto un accordo tra Ue e Turchia riguardo ai migranti che tentano di raggiungere in maniera irregolare l’Europa. In molti – Ong e alcuni gruppi parlamentari in primis – hanno tenuto una posizione critica sull’accordo. I timori riguardavano e riguardano il rispetto dei rifugiati, del diritto internazionale e il possibile collegamento tra blocco dei flussi migratori e colloqui d’adesione all’Ue.

A livello pratico, l’accordo ha portato una significativa riduzione del numero di rifugiati che arrivano in Grecia dalla Turchia. Nel 2015 sono stati 885mila coloro che sono arrivati percorrendo questa rotta. Nel 2016, coi dati parziali fino a settembre, soltanto 173mila.

“Per l’Ue, il rispetto e l’implementazione dell’accordo con la Turchia su migranti e rifugiati è di fondamentale importanza”, ha concluso Kefalogiannis.

Adesso, con l’aumentare delle tensioni e lo stop ai negoziati voluto dal Parlamento, Erdogan minaccia di lasciare passare tutti i migranti che vogliono entrare in Europa. Non è la prima volta che la Turchia cerca di pretendere qualcosa; già all’inizio dell’estate il governo ha chiesto all’Ue di eliminare le restrizioni ai visti turchi. Dall’Europa è arrivato una risposta negativa: in Turchia le condizioni necessarie all’eliminazione delle restrizione non sono soddisfatte.