La migrazione ambientale e la sfida climatica dopo la Cop22 di Marrakech. La situazione in Italia

Riconoscere i diritti ai profughi economici ed ambientali, introduzione del diritto d’asilo unico Ue

[1 Dicembre 2016]

A  pochi giorni dalla chiusura della Cop22 Unfccc di Marrakesh e partendo dalla citazione di Papa Francesco nell’Enciclica Laudato Sì’ per cui «La stessa logica che rende difficile prendere decisioni drastiche per invertire la tendenza al riscaldamento globale è quella che non permette di realizzare l’obiettivo di sradicare la povertà»,  si è aperta oggi a Roma la prima Conferenza internazionale dedicata al fenomeno delle migrazioni causate dai cambiamenti climatici, promossa da Legambiente con la partecipazione di Sustainable development solutions network (Sdsn), Azione Cattolica Italiana, Caritas Italiana e dalla discussione è emerso che «Nonostante i numerosi studi non esistono stime certe relative al numero dei profughi per cause climatiche; non esistono definizioni riconosciute del migrante ambientale e, di conseguenza, non esistono piani di intervento adeguati al fenomeno; non esistono nemmeno previsioni certe sul numero dei migranti ambientali entro il 2050. Di certo, sappiamo che il fenomeno dei profughi climatico-ambientali è di rilevanza primaria e di intensità superiore ai profughi da guerra». Secondo l’Organizzazione mondiale delle migrazioni (Iom) nel 2014 la probabilità di essere sfollati a causa di un disastro è salita del 60% rispetto a 40 anni fa.

L’incontro, aperto dal magnifico rettore della Pontificia università Lateranense, Enrico dal Covolo e moderato da Gad Lerner, ha confermato che «Sul tema dei migranti pesano pregiudizi e luoghi comuni: si teme l’invasione, la diffusione del terrorismo, della malavita e delle malattie; si teme che l’emergenza si traduca in minaccia per la nostra economia. In realtà, tutti gli studi confermano che non si tratta di un’emergenza ma di un cambiamento geopolitico e demografico strutturale che condizionerà i prossimi decenni; non c’è nessuna invasione in atto nel vecchio continente e le attuali migrazioni sono più una risorsa che un problema, perché contribuiscono a risolvere alcuni problemi della vecchia Europa».

Secondo Rossella Murini, presidente di Legambiente, «Siamo di fronte ad un cambiamento storico sia sul piano sociale e antropologico che geopolitico, ed è per questo che servono visioni politiche lungimiranti. La solidarietà e lo spirito di accoglienza, che pure sono valori belli e importanti, non bastano a trovare le soluzioni. Di contro, rintanarsi nella logica del fortino assediato, come tanti in Europa stanno facendo, frena la nascita di nuove soluzioni politiche capaci di governare il cambiamento in corso. La rivoluzione energetica e la lotta per contrastare i cambiamenti climatici rappresentano l’antidoto strategico più sicuro per costruire una seria giustizia climatica a livello globale e per creare nuove occasioni di lavoro, premessa indispensabile per ridurre la povertà, marginalizzare le cause di conflitto, ridurre i flussi migratori e provare ad invertire quella che in modo così incisivo Papa Francesco ha definito ‘La terza guerra mondiale a pezzi’”».

L’Internal displacement monitoring centre del Norwegian refugee council, che studia il fenomeno degli sfollati interni agli Stati a livello mondiale, «Dal 2008 al 2015 ci sono state 202.4 milioni di persone delocalizzate/sfollate, il 15% per eventi geofisici come eruzioni vulcaniche e terremoti, e l’85% per eventi atmosferici. Nel solo 2015 gli sfollati interni allo stesso Stato sono 27,8 milioni, di cui 8,6 mln provocati da conflitti e violenze e 19,2 mln provocati da disastri naturali, intensi e violenti».

Nel suo rapporto Global Trend 2016, l’Unhcr dà numeri ancora più preoccupanti: «40,8 milioni di profughi interni/sfollati nel 2015».

L’Unccd 2014 Desertification Report stima che «Entro il 2020, 60 milioni di persone potrebbero spostarsi dalle aree desertificate dell’Africa Sub-Sahariana verso il Nord Africa e l’Europa». UN Water parla di «1,8 milioni di persone che entro il 2025 vivrà in condizioni di scarsità idrica assoluta, mentre 2/3 della popolazione globale potrebbe soffrire tensioni cagionate dalla difficoltà di accesso all’acqua».

Le previsioni sul potenziale numero di migranti ambientali entro il 2050 variano da 50 milioni a 350 milioni; la stima più citata è quella fornita da Myers, che prevede 200 milioni di potenziali migranti ambientali entro il 2050.

Legambiente, che ha presentato il rapporto “Migranti, migranti ambientali e nuova cittadinanza” sottolinea che «L’incertezza sulle valutazioni esplicita la difficoltà a definire la figura stessa del migrante ambientale e proietta un altrettanto forte incertezza nella individuazione degli interventi. Eppure, è evidente che ci troviamo di fronte ad un intreccio perverso di cause, tra loro complementari, che ha reso molte terre inabitabili a causa di guerre, cambiamenti climatici e disastri ambientali, fame, povertà, disuguaglianze, dittature e persecuzioni. In questo contesto la lotta per l’accaparramento delle fonti energetiche, delle risorse idriche e delle terre fertili gioca un ruolo decisivo».

Il rapporto di Legambiente fa anche il punto sulla situazione attuale in Italia e sfata ancora una volta alcune convinzioni: «Il paese in Europa con più rifugiati in rapporto alla popolazione residente è la Svezia con un rapporto di 11/1000, mentre in Francia il rapporto è di 3.5/1000 e in Italia è di 1/1000.  Ad oggi l’Italia ha accolto 176.000 richiedenti asilo nel 2016 – ospitati presso hotspot e centri governativi (15.000), strutture temporanee (137.000) e rete Sprar (23.000) – provenienti principalmente da Eritrea, Nigeria, Somalia, Sudan e Siria, distribuiti in Sicilia (16%), Lombardia (13%), Lazio (9%), Campania (8%), Piemonte e Veneto (7%). Dei 2600 comuni coinvolti, cui meno di mille hanno attivato i progetti SPRAR (per la protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati). La maggior parte dei progetti sono stati attivati in Toscana e Emilia Romagna, pochissimi in Veneto. I rifugiati ricollocati presso altri stati europei sono 1.758. Si tratta soprattutto di eritrei (1.663) diretti soprattutto in Finlandia. Gli immigrati regolari sono l’8.3% della popolazione residente (Istat), l’11,3% tra gli under 14 e l’1,1% tra gli over 65. Complessivamente, questi rappresentano il 40% della popolazione in stato di povertà relativa. Il 57% degli immigrati regolari vive in 4 Regioni: Lombardia (22.9%), Lazio (12.5%), Emilia Romagna (10.9%) e Veneto (10.5%). Nell’anno scolastico 2013-2014 gli alunni stranieri sono stati poco più di 802.000, di cui 415.000 nati in Italia. Le spese per prima accoglienza, cura e educazione minori stranieri per il 2016 ammontano a circa 3.3 Miliardi.

Legambiente

Il rapporto fa anche notare che «I migranti ambientali non rientrano nella figura di rifugiato riconosciuta dalla Convenzione di Ginevra, per cui a livello di protezione internazionale non hanno alcun diritto e questo fa sì che il sistema internazionale di protezione sia del tutto inadeguato ad affrontare quanto sta avvenendo in questi anni. E’ perciò urgente superare la definizione di rifugiato prevista dalla Convenzione di Ginevra del 1951 e dai Protocolli successivi. Se manca una definizione riconosciuta formalmente a livello internazionale di migranti ambientali e permane una indeterminatezza sulla molteplicità e sulla complessità delle ragioni dietro la scelta di migrare, un dato rimane inequivocabile: i migranti ambientali fuggono da condizioni di inabitabilità del proprio territorio, determinata o da eventi disastrosi ed improvvisi o dal lento trasformarsi delle condizioni ambientali, in un caso come nell’altro, i cambiamenti climatici sono alla base di questi fenomeni»

Il Cigno Verde conclude: Occorre che l’Europa si faccia promotrice presso l’ONU di una revisione della Convenzione di Ginevra perché vengano riconosciuti diritti ai profughi economici ed ambientali. E’ maturo il tempo per introdurre il diritto d’asilo unico per tutta l’Unione Europea, che riconosca, sul modello della legislazione svedese e finlandese, anche i profughi ambientali ed economici. Oggi, per chi si vede respinta la domanda d’asilo, l’unico escamotage è la protezione umanitaria, che, di massima, dura due anni, è fortemente discrezionale e non consente il ricongiungimento familiare. Le attuali regole moltiplicano il numero degli irregolari che finiscono per divenire persone a rischio di illegalità, esposte allo sfruttamento e alle organizzazioni criminali».